Il verbo del Topo. Intervista a Roberto Gagnor5 min read

19 Marzo 2014 Cultura -

Il verbo del Topo. Intervista a Roberto Gagnor5 min read

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Siamo cresciuti leggendo storie di paperi e topi capaci di coniugare a menadito i verbi e in grado di usare termini strambi, forse arcaici, ma dal sicuro impatto: colubrina, tapino, crapulone, rio destino e via dicendo.

Qualche settimana fa La Lettura, l’inserto domenicale del Corriere della Sera, ha lanciato un allarme: l’italiano di Topolino starebbe cambiando. In peggio s’intende. È davvero così? Di questo, e di tanti altri aspetti legati al mondo delle storie disneyane, ho discusso con Roberto Gagnor, uno dei più noti e attivi sceneggiatori Disney in attività.

Il verbo del Topo. Intervista a Roberto Gagnor
Dal primo marzo insegni ai ragazzi della Scuola Holden come si scrive un fumetto…
è una Palestra, un corso breve strutturato in cinque giornate tra marzo e aprile, per un totale di trenta ore.

Di che si tratta esattamente?
Prima di tutto ho sfatato qualche luogo comune sulla scrittura disneyana perché è un lavoro, ed è un lavoro difficile. Poi ho iniziato a lavorare sulla caratterizzazione dei personaggi: paperi e topi sono famosi da decenni, e trovare la loro voce è la cosa più difficile. Gli allievi lavoreranno a un loro soggetto e a qualche pagina di sceneggiatura, e i migliori tre finiranno sulla scrivania del mitico Tito Faraci, che si occupa delle nuove leve del Topo. Se son sceneggiatori… fioriranno!

Leggendo il programma delle lezioni mi cade l’occhio su alcune tematiche o, sarebbe meglio dire, direttive: no politica, no religione, la malattia e la morte. Come vengono – o non vengono – affrontati certi temi?
Topolino ha un target, che è quello dei bambini dagli 8 ai 10 anni. Poi, di fatto, viene letto da tutti – e questa è una cosa ottima, naturalmente. Ma bisogna sempre pensare che si scrive prima di tutto per un pubblico giovanissimo. Per cui, si cerca di evitare cose come la morte, la malattia, che magari possono essere troppo vicine alla loro vita reale. Esistono valori tipici delle storie Disney, ma una storia di Topolino non deve servire a dare messaggi politici o religiosi.

Da qualche parte ho letto che Topolino è di tutti. In che senso?
Che è davvero di tutti. I personaggi non hanno un’appartenenza etnica, religiosa o culturale. Non sono di destra o di sinistra. E anche se scherzano sull’attualità, vanno a toccare quanto c’è di universale e di umano, in tutti noi. Oggi come ieri o domani. Al netto di qualunque opinione o religione. Forse è questo che li rende tanto forti. Classici, citando Calvino: non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire.

La tua ricetta: tre cose che non devono mai mancare in una storia Disney.
L’originalità, la tradizione, la caratterizzazione dei personaggi. E poi le gag. E il cuore. Dannaz, sono cinque!

Lo scorso 2 febbraio La Lettura del Corriere ha lanciato un allarme: l’italiano che si legge su Topolino sta cambiando. Cito: l’eccellenza linguistica delle storie nostrane sarebbe venuta meno, per il dilagare di un italiano spiccio e avvizzito. Che posizione prendi?
Credo che non sia vero. La lingua cambia insieme al mondo, e Topolino ne prende atto, ma resta sempre un baluardo di una lingua comunque più elegante, sofisticata ed educativa di quella del mondo reale. La lingua di Topolino prende dal mondo reale, certamente (e sarebbe assurdo rinchiudersi in una bolla passatista), ma continua ad offrire un linguaggio fatto di parole più difficili della media, che educano il lettore a scoprirne il significato, o almeno a farsi domande. Una lingua che scopre il mondo, oltre a raccontarlo: e che fornisce gli strumenti per capirlo, dalle storie ai redazionali. Per non parlare della sempre crescente complessità delle storie dal punto di vista prettamente fumettistico: tavole mute, flashback e flashforward, metafumetto. Il tutto, ogni settimana, con autori come Faraci, Artibani, Ziche, Vitaliano. Non è poco.

L’altro giorno ho letto Paperino e i gamberi in salmì (1956) di Romano Scarpa, geniale, bellissimo ma c’erano tanti di quei passati remoti da rendere la lettura davvero rallentata. Non esiste un modo per stare al passo coi tempi e mantenere un profilo linguistico alto? Penso alla storia sul Festival di San Demo (parodia uscita da poco, nella settimana di Sanremo) che per certi aspetti è quasi formativa, vedi l’uso degli hashtag che fanno i protagonisti per comunicare tra loro, per esempio…
La bussola è sempre quella dei personaggi. Si può stare al passo coi tempi, ma senza snaturarli. È questo il difficile: capire quanto siano classici, quindi modernissimi. Gli hashtag, ma in generale i social network, sono parti importanti del mondo d’oggi, anche per noi autori: ma non bastano, per fare una bella storia. E Topolino ha un suo livello da difendere. Scrivere su Topolino significa scrivere bene, o almeno cercare di farlo. Il che vuol dire scrivere storie belle e appassionanti, ma anche usare un linguaggio di un certo tipo. È la battaglia quotidiana mia, dei miei colleghi e della redazione: innovare, ma in una tradizione di alto livello. Che è il bello, e il difficile, della cultura di massa.

Possiamo concludere dicendo che una storia Disney può usare i verbi giusti e parole ricercate ma al tempo stesso spiegare pure come funziona un hashtag?
Si devono saper usare i verbi, o scrivere “un po’” con l’apostrofo e non con l’accento! Come si deve saper usare Twitter, ormai. Anzi: scrivere bene è fondamentale, nei social media. Certo, non è la scrittura di un secolo fa. Ma la lingua, la cultura non si perdono, se sappiamo usarle. E Topolino serve anche a questo.Il verbo del Topo. Intervista a Roberto-Gagnor

Immagini / Roberto Gagnor / The Walt Disney Italia

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Federico Vergari. 3 giugno 1981. Giornalista pubblicista. Un saggio sul rapporto tra politica e fumetto pubblicato nel 2008 con Tunué. Scrive un po’ di tutto sul suo blog ilcanedaguardia.blogspot.com. Per lenius.it si occupa esclusivamente della nona arte. II fumetto.
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