Open, Agassi: un film in 10 video13 min read
Reading Time: 9 minutes10. Il ritiro
https://youtu.be/x702JRLrfos?t=6m
Percorro zoppicando la hall del Four Seasons la mattina dopo, quando un uomo esce dall’ombra. Mi prende per un braccio.
Lascia perdere, dice.
Che?
È mio padre – o il fantasma di mio padre. È cinereo. Pare che non dorma da settimane.
Pa’? Di che stai parlando?
Lascia perdere. Va’ a casa. Ce l’hai fatta. È finita.
Dice che prega che mi ritiri. Dice che non vede l’ora che abbia finito, così non dovrà più guardarmi soffrire. Non dovrà più assistere ai miei match con il cuore in gola. Non dovrà stare alzato fino alle due di notte a guardare un match dall’altra parte del mondo per scoprire qualche altro enfant prodige che potrei dover affrontare presto. È stufo di tutta questa miserabile faccenda. Sembra che… è mai possibile?
Sì, lo leggo nei suoi occhi.
Conosco quello sguardo.
Odia il tennis.
Dice: Non ti sottoporre più a una cosa del genere! Dopo ieri notte non devi dimostrare più niente. Non ti posso vedere così. È troppo penoso.
Allungo una mano e gli tocco la spalla. Mi dispiace, pa’. Non posso lasciar perdere. Non può finire con me che lascio perdere.
Trenta minuti prima del match faccio un’iniezione di antinfiammatorio, ma è diverso dal cortisone. È meno efficace. Contro il mio avversario del terzo turno, Benjamin Becker, riesco a stento a tenermi in piedi.
Guardo il tabellone segnapunti. Scuoto la testa. Continuo a chiedermi: È mai possibile che il mio ultimo avversario debba essere un tizio che si chiama B. Becker? Avevo detto a Darren che avrei voluto finire affrontando qualcuno che mi piace e che rispetto, oppure qualcuno che non conosco.
E ho ottenuto il secondo.
Becker mi fa fuori in quattro set. Sento distintamente il nastro del traguardo che si taglia contro il mio petto.
Gli ufficiali di gara degli US Open mi permettono di rivolgere qualche parola ai tifosi sugli spalti e a casa prima di dirigermi negli spogliatoi. So esattamente quello che dirò.
Lo so da anni. Eppure mi ci vuole qualche istante per trovare la voce.
Il tabellone segnapunti dice che oggi ho perso, ma quello che non dice è ciò che ho trovato. Negli ultimi ventuno anni ho trovato la lealtà: avete fatto il tifo per me sul campo e anche nella vita. Ho trovato l’ispirazione: avete voluto che ce la facessi, talvolta anche nei momenti più bui. E ho trovato la generosità: mi avete offerto le spalle su cui salire per raggiungere i miei sogni – sogni che non avrei mai realizzato senza di voi. Negli ultimi ventuno anni ho trovato voi, e porterò con me voi e il vostro ricordo per il resto della mia vita.
(Open, J.R. Moehringer, cap.29, p.480-481)