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Qualche risposta ai commenti sui migranti

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@Rocío Fdez. Ledesma

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Che non cambierà minimamente le cose, s’intende. Anzi, forse le peggiorerà. Generando ulteriori commenti farciti di insulti, luoghi comuni, frasi trite e ritrite, verità assolute, maiuscole e a senz’h. Che però, qua e là, sollevano – quasi involontariamente – questioni che proviamo a non ignorare.

Prendiamo un post qualsiasi, uno degli ultimi pubblicati sulla nostra pagina Facebook. Il post ha avuto 44 commenti che, considerando anche risposte e controrisposte, diventano 229. Prendiamone alcuni e diamo delle risposte un po’ più articolate di quelle che riusciamo a dare su Facebook alle argomentazioni dei commentatori, organizzate per categoria.

Prima gli italiani

Questa categoria di commenti prende diverse sfumature: politica, economica, antropologica, etica. Cerchiamo di considerarle tutte, presentando un campionario di commenti e relative risposte.

Se dovessimo dare una risposta letterale, probabilmente la risposta sarebbe: pochissime. Ma qui la questione sollevata è un’altra: l’idea che ad essere protetti dovrebbero essere “prima gli italiani” e in particolare quei milioni di italiani in povertà. È una mia deduzione, Salvatore non lo scrive esplicitamente, ma altri lo fanno e il tema è questo, e ci porta dritti in un ginepraio.

Con quei soldi potremmo aiutare i poveri italiani, parte I

La prima questione è economica. Il sistema di salvataggio e accoglienza dei migranti in arrivo sulle coste italiane è costato 4,3 miliardi nel 2017. Questi soldi servono in parte per finanziare le operazioni in mare delle navi della guardia costiera e in parte per finanziare il sistema di accoglienza (hotspot, SPRAR, CAS, CPR, che abbiamo spiegato qui).

Attorno a questi 4,3 miliardi si scatenano le più diverse fazioni, e vanno chiarite due cose.

La prima è che 4,3 miliardi sembrano tanti – lo sono, in effetti – ma il loro impatto si ridimensiona se lo mettiamo nel contesto del bilancio di un paese come l’Italia. L’Italia spende circa 450 miliardi di euro per il sistema di welfare. 4,3 miliardi rappresentano quindi l’1% della spesa pubblica per il welfare.

La seconda è che questi soldi difficilmente potremmo usarli per altro che non sia la gestione dell’accoglienza dei migranti.

Questo commento è vero e non è vero allo stesso tempo. L’Europa ci dà solo una parte molto piccola di quei 4,3 miliardi (77 milioni di euro), ma ci consente di utilizzarli in deroga rispetto al percorso economico che l’Italia sta facendo per arrivare a rispettare alcuni parametri economici concordati con l’Unione Europea. Succede anche per altre spese considerate “eventi eccezionali”, come quelle legate a terremoti o attacchi terroristici.

Cosa significa? Che questo costo, o almeno parte di esso (2,7 miliardi), può essere sostenuto anche se non rientra nei vincoli concordati con l’UE e che possiamo sostenerlo per questo scopo e solo per questo.

È assurdo? Sì, può sembrare. Ma è il frutto di un accordo politico con l’Europa. Alcuni paesi europei hanno ostacolato la ricerca di una soluzione comune alla gestione dell’accoglienza dei migranti in arrivo via mare dal Mediterraneo, che è rimasta in capo ai paesi più esposti – Italia, Grecia, Spagna. In cambio il governo italiano ha negoziato questo compromesso, che la spesa sostenuta per gestire l’accoglienza fosse fuori dai vincoli di bilancio.

Con quei soldi potremmo aiutare i poveri italiani, parte II

C’è poi una questione economica, politica e sociale più ampia dei soli 4,3 miliardi, che riguarda tutto il sistema di welfare, e che appare molto semplice: ho un tot di soldi con cui posso fornire X servizi e sussidi. Li fornisco a tutti gli italiani che ne hanno bisogno, poi se ne avanzo li do anche agli stranieri. Anche a voler mettere da parte l’etica, ci sono un po’ di elementi che complicano la faccenda.

Primo. Non è che ho un tot di soldi che piovono dal cielo, ma quanti soldi investo in politiche sociali è una scelta politica. Almeno in parte, certo, perché ci sono i vincoli di bilancio e tutti i criteri economici da rispettare, però posso scegliere politicamente se investire più soldi per una voce di bilancio piuttosto che per altre. Che poi ora come ora è un casino perché per un sacco di materie queste scelte le fanno le regioni, e in ogni regione la situazione è quindi molto diversa.

Secondo. Il tot di soldi che ho, come Stato italiano, è cronicamente insufficiente, e i margini di manovra sono molto ridotti, perché ci sono i vincoli di bilancio e perché se no faccio saltare tutti i conti e dopo sai la povertà. Come faccio quindi a mantenere il tot di soldi che ho e anzi a sperare di aumentarli? Devo incassarne di più. Da chi li incasso? Dai cittadini.

Non ci addentriamo qui in tutta una serie di azioni che si potrebbero fare per incassare un po’ di più dai cittadini più ricchi, ma concentriamoci su una banale considerazione. Se i cittadini diminuiscono, soprattutto i cittadini produttivi, quelli che pagano più di quello che ricevono per sostenere chi è in pensione o in difficoltà, il mio tot di soldi sarà sempre minore.

Se da fuori arrivano nuovi cittadini, magari giovani e produttivi, certo sono persone in più a cui dare sussidi e servizi, ma è molto meno del contributo che apportano a quel tot di soldi che mi serve per garantire sussidi e servizi anche agli italiani. Insomma se non ci fossero gli stranieri il tot di soldi diminuirebbe, non sarebbe di più come sembra intuitivamente di poter credere.

Qualcuno potrebbe dire: beh, ma teniamo solo gli stranieri produttivi, quelli regolari che lavorano e pagano le tasse. Va bene, ma davvero pensate che uno straniero arriva in Italia e possa cominciare a pagare le tasse dal giorno uno? La gran parte degli stranieri che ora qualcuno difende (più che altro come giustificazione per poter attaccare gli altri, quelli appena arrivati) era irregolare, era clandestino, era disoccupato, prendeva sussidi, non pagava tasse. E se avrete pazienza anche molti di quelli che ora odiate faranno lo stesso percorso. Dopodiché, ne odierete degli altri.

Il mito della comunità italiana

Una sfumatura antropologicamente interessante del “prima gli italiani” è che va emergendo il mito della comunità italiana. Una comunità coesa, in cui tutti si vogliono bene e sono pronti ad aiutarsi l’uno con l’altro, purché l’altro non sia straniero. Ma da dove spunta questa improvvisa solidarietà nazionale, questo slancio quasi romantico verso “i nostri poveri”, questa disponibilità assoluta a mettere al centro delle politiche i poveri (purché italiani)?

Il sistema di welfare è uno dei più interessanti campi in cui si misurano i confini della cittadinanza. I criteri di accesso ai servizi e ai contributi rispondono a scelte politiche, a volte morali, da sempre. Così, il criterio della nazionalità è ora invocato tra le righe come criterio di esclusione dal sistema di welfare. Solo gli italiani dovrebbero avere diritto a sussidi e servizi.

Attualmente il criterio adottato è quello di residenza. Per accedere a molti servizi sono necessari tre anni di residenza, in molti casi e sempre di più sono necessari cinque anni di residenza. Dipende dalla regione. A molti ora questo criterio sembra insufficiente. Non più la residenza, ma la cittadinanza dovrebbe sancire il confine del welfare. Naturalmente questo implicherebbe per i cittadini non italiani anni, decenni di vita sotterranea, privi di contributi e servizi. Impraticabile.

E una volta stabilito questo tanto reclamato criterio di nazionalità, quale sarebbe il prossimo passo? Una comunità finalmente serena e unita, dove tutti hanno diritto a tutto? O vorrete poi stabilire altre classifiche, altri criteri di esclusione? Siete davvero pronti a difendere con le unghie il diritto di un carcerato, o un tossicodipendente, a ricevere assistenza – peraltro assai più costosa di quella per un migrante – dallo Stato, purché italiano?

Gli italiani non fanno business

Qui si innesta un altro livello di polemica: gli italiani dovrebbero venire prima, ma arrivano dopo perché c’è tutto un sistema che sui migranti ci lucra e quindi non si occupa degli italiani perché lì non ci si lucra.

Ora, ho già trattato il tema ampiamente in questo articolo. Mi limito qui a riprendere un paio di cose.

Primo. Come ricorda Mirna e a differenza di quanto scritto da Roberta, non è che agli italiani non ci pensa nessuno. Il sistema di welfare è naturalmente fatto di tante componenti – pensioni, indennità, sussidi di disoccupazione, servizi sociali, formazione ecc. – che vanno a beneficio in grande misura “degli italiani”.

Dentro questo sistema le cooperative (le coop, come vengono amichevolmente chiamate) sono impegnate in prima linea, gestendo servizi per persone anziane, disabili, minori, tossicodipendenti ecc. In molti casi gestiscono questi servizi in appalto dagli enti locali, perché si è compreso nel tempo che la gestione diretta da parte dello Stato era troppo costosa e inefficiente (si può ridiscuterne, ovviamente). In alcuni casi i costi di gestione sono in parte o totalmente coperti dagli utenti, che pagano le rette dei servizi.

In tutti questi casi, c’è certamente un margine di guadagno da parte delle cooperative (il temutissimo business). Come è normale che sia, l’organizzazione vuole gestire servizi che non siano in perdita e questo succede per tutti i servizi, per migranti, anziani o disabili che siano.

Secondo. Detto questo, i problemi sono tantissimi. Il sistema di welfare italiano è molto frammentato – significa che trovate situazioni diversissime in base al territorio dove vivete – e nel tempo sono stati fatti sprechi, alcuni servizi funzionano certamente male, le ore di assistenza che fornisce lo stato per le persone non autosufficienti, ad esempio, sono in molti casi del tutto insufficienti lasciando sole le famiglie. Sono problemi annosi, presenti da ben prima che sbarcasse il primo migrante in Italia, e non è certo chiudendo i servizi per i migranti che miglioreremo gli altri.

Non possiamo mantenere tutta l’Africa

Questa è la categoria dell’enorme confusione su numeri, caratteristiche, fenomeni e anche di una certa tendenza a giustificare la propria ritrosia – a volte il proprio razzismo – dietro l’idea che non è che sono io che non li voglio, sono loro che sono troppi.

L’idea è che il fenomeno migratorio nel mondo corrisponda ai milioni (anzi, milioni di milioni!) di persone che vengono TUTTE, inesorabilmente, in Italia. Questi numeri sono quantomeno confusi. Sono milioni chi? Tutti gli stranieri presenti in Italia sì, sono circa 6 milioni. Solo i richiedenti asilo sbarcati sulle nostre coste e ora nel sistema di accoglienza quello dei 4,3 miliardi? Sono circa 150 mila, e qualcuno lo fa notare.

Gli altri chi? Gli irregolari? Sono circa 500 mila, se li uniamo ai richiedenti asilo arriviamo a 650 mila. Dove sono i milioni di milioni?

La realtà è che poco interessano i numeri. Quando le persone parlano di migranti montando polemiche a non finire si riferiscono in molti casi a coloro che arrivano via mare e fanno domanda di asilo ed entrano nel sistema di accoglienza. Hanno in mente i circa 650 mila che lo hanno fatto negli ultimi quattro anni. Che è una cosa buffa perché da un anno ormai è un fenomeno decisamente poco significativo: sono 44 mila i migranti arrivati da agosto 2017 ad agosto 2018.

Il problema, al di là dei numeri, è però che questa rappresentazione di questa specifica situazione migratoria si estende a tutto il fenomeno delle migrazioni, e quindi, per restare solo in Italia, a tutti gli altri 5 milioni di stranieri che risiedono regolarmente, che a parole loro vanno anche bene, ma alla fine anche no, perché finisco per non distinguere più niente in questo affastellamento di immagini di sbarchi, tweet mirabolanti, polveroni mediatici.

Sono tutti migranti economici

Connessa alla questione dei numeri, c’è quella della legge e delle etichette. Non solo sono tanti, ma “non ne hanno diritto”. Qui un esercito di giuristi improvvisati distribuisce patenti di validità delle domande di protezione internazionale delle persone che arrivano in Italia.

Come avevo già scritto qui, tuttavia, quella tra migrante economico e rifugiato è una distinzione dai confini labili e molto controversi. Eppure è definitivamente sdoganata l’idea che essere un migrante economico sia una specie di delitto, e che questi migranti economici siano dei furbacchioni che si travestono da rifugiati pur di entrare in Italia.

Certo è che arrivare via mare, o comunque illegalmente, nel nostro paese e fare domanda di asilo è ormai l’unico modo per entrare in Italia. Ed è questo che spinge anche quei furbetti dei migranti economici a utilizzare questa strada (peraltro mettendo a rischio la vita, non dimentichiamolo mai).

Non adesso, che siamo già inguaiati

L’altro grande filone è una cosa del tipo: “a noi vanno anche bene gli stranieri, ma non adesso, che siamo messi male pure noi”. Il tema classico è quello del lavoro: non c’è lavoro per noi, figurati per loro. Da cui l’antipatia verso i migranti economici.

Apparentemente è una osservazione logica ma non lo è. L’organizzazione del mercato del lavoro è molto complessa, ed è su scala globale. Le caratteristiche dei lavoratori stranieri – in gran parte giovani e disponibili a svolgere lavori poco qualificati – sono diverse da quelle dei lavoratori italiani – più anziani e alla ricerca di lavori più qualificati e meglio retribuiti. Di certo la soluzione non è così semplice: togliamo i lavoratori immigrati e lavoreranno gli italiani.

Si dice spesso che gli immigrati fanno “quei lavori che gli italiani non fanno più”. Non so se sia del tutto vero, se la maggior parte delle badanti siano dell’est Europa perché costano meno o perché effettivamente ben pochi italiani sono disposti a fare quel lavoro. Qualcuno però la propone, come soluzione.

Il secondo punto è che si parte sempre dal presupposto che gli stranieri “rubino il lavoro”, mai che lo possano creare. Invece succede, sia direttamente (imprenditori stranieri che assumono lavoratori, anche italiani) sia indirettamente, se pensiamo a tutti i lavoratori impiegati in settori che hanno a che fare con l’esistenza delle migrazioni.

C’è poi chi va più in là, e pone una serie di condizioni per cui sarebbe anche possibile valutare l’accoglienza di stranieri, ma ora no, proprio no.

Qui ci troviamo di fronte alla scoraggiante sensazione che qualsiasi scusa è buona. Se teniamo conto di tutto, ci sarà mai un momento in cui sì evvai prendiamo pure tutti gli stranieri che vogliono? Sarebbe più onesto dire che non li vogliamo.

E quindi?

E quindi si potrebbe andare avanti, e per molto. Rispondere a chi pensa che migrare sia una passeggiata, e che rischiare la vita, le torture, gli stupri, le violenze valga tutto sommato la pena visto che poi si viene mantenuti in alberghi a 5 stelle CON IL WI-FI. O a chi si crede certo che il 95% dei migranti sia come minimo uno spacciatore.

La sensazione, però, è che non serva poi a molto, perché ci sono due aspetti che sono comunque presenti, qualsiasi numero, dato, spiegazione, precisazione tu possa fornire.

Il primo è proprio questo. Anche se non ci sono connessioni dimostrabili tra il fenomeno delle migrazioni e la povertà in Italia, anche se anzi è probabile che proprio la presenza di persone straniere abbia giovato e continui a giovare all’economia e alla società italiana, il fatto che siano arrivate molte persone in un periodo di tempo ridotto genera inevitabilmente questi pensieri.

Il fatto poi che non si parli che di questo sembra far dimenticare che non solo esistono altre questioni (come la povertà e le disuguaglianze) ma anche che risposte per queste questioni già sono in campo e che lo Stato italiano già investe molti ma molti più soldi per gli italiani in povertà che per i migranti che sbarcano sulle nostre coste.

In questo senso la responsabilità di chi vuole immaginare un nuovo progetto che non so nemmeno bene come chiamare (“di sinistra”, “progressista”, “alternativo a Salvini”) non può essere che quella di investire, a livello politico e comunicativo, sul rafforzamento di un sistema di welfare universale, efficiente e dal volto umano capace di dare risorse e servizi ai “nostri poveri” come ai migranti, senza nemmeno che ci sia bisogno di fare questa distinzione.

Il secondo aspetto è che ci sono delle posizioni razziste e cattive, e punto. Alcune sono esplicite, altre cercano di nascondersi dietro discorsi triti e ritriti che “non ci sono le condizioni”, che “sì, ma prima risolviamo i nostri problemi”, che “non sono razzista ma sono troppi”. Ci sono delle persone che non vogliono gli stranieri, che magari prima non volevano i terroni e che domani non vorranno i prossimi nemici pubblici perché forse, in fondo, non vogliono nessuno fuorché se stessi. Anzi, a volte viene il dubbio che non vogliano nemmeno se stessi.

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