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La crisi del Qatar e l’ipocrisia di sauditi e americani

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@businessinsider.com

Lo scorso 5 giugno l’Arabia Saudita e molti altri Paesi arabo-sunniti hanno deciso di chiudere i propri rapporti col Qatar, accusandolo di sostenere in segreto diverse formazioni terroristiche. Su Twitter Trump si è schierato a favore dell’iniziativa, confermando il coinvolgimento degli Usa nella questione.

L’interesse degli Stati Uniti e i veri motivi di questa nuova profonda crisi in Medio-Oriente vanno ricercati nella storia recente del ricco Paese arabo e dei suoi rapporti con le altre realtà sunnite.

L’isolamento del Qatar in breve

Era ormai diverso tempo che l’Arabia Saudita muoveva pesanti accuse al Qatar. Malgrado la loro appartenenza sunnita, i sovrani qatarioti in più occasioni hanno dimostrato di non essere ostili all’Iran, principale nemico del blocco dei Paesi sunniti del Medio Oriente. In molti hanno inoltre accusato il Qatar di non fare niente di concreto per contrastare formazioni terroristiche sciite attive nella Penisola Araba. Ad avvallare le antipatie saudite nei confronti del Qatar ha giocato un ruolo importante anche al Jazeera, principale emittente di lingua araba che ha la sua sede proprio in Qatar: il network non ha mai celato la sua simpatia nei confronti di Fratelli Musulmani, movimento radicale musulmano da sempre in contrasto con le monarchie arabo-sunnite della Penisola.

Apparentemente, il livello di tolleranza ha superato il limite solo dopo le dichiarazioni che la Qatar News Agency, agenzia statale qatariota, ha attribuito all’emiro del Qatar Sheikh Tamin bin Hamad al Thani:

Non c’è saggezza nel nutrire l’ostilità nei confronti dell’Iran.

Sempre secondo la News Agency, queste parole farebbe seguito ad altre dichiarazioni in cui l’emiro condanna l’inclusione degli Hezbollah libanesi e di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche: secondo al Thani sono dei “gruppi di resistenza” e non “gruppi terroristici”. Poco dopo l’uscita della notizia, l’agenzia statale si è affrettata a smentire quanto diffuso tramite i suoi canali, scaricando la paternità di quelle interviste fasulle a degli hacker che avevano violato il loro sistema informatico.

L’Arabia Saudita, tuttavia, non ha “voluto” credere alle giustificazioni dell’emittente e ha approfittato dell’occasione per completare l’isolamento del Qatar. La controversa presa di posizione dei sauditi è stata seguita da altri Stati arabi di appartenenza sunnita: gli Emirati Arabi, lo Yemen, il Bahrein, le Maldive e anche il governo della Libia Orientale, sostenuto da Egitto ed Emirati ma non riconosciuto dall’Onu. Il personale diplomatico dei Paesi coinvolti verrà ritirato e le forze armate qatariote saranno espulse dalla coalizione araba che sta combattendo in Yemen contro i ribelli Houthi.

Immediate le reazioni delle varie compagnie aeree che operano nella regione: Etihad, la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi, è stata la prima a sospendere i voli per il Qatar, seguita da Emirates, Flydubai ed Egypt Air. Allo stesso modo, Qatar Airways ha annunciato la sospensione delle tratte per l’Arabia Saudita. Ai cittadini qatarioti presenti all’estero, sono state comunque concesse due settimane di tempo per rientrare in patria prima della completa chiusura delle frontiere. Anche l’accesso al sito di al Jazeera è stato bloccato nel blocco dei Paesi isolazionisti.

Il ruolo degli Usa nella crisi del Qatar

Dietro alla decisione dell’Arabia Saudita sembra esserci anche l’influenza degli USA. Secondo molti, al vertice tenutosi a Riad fra Trump e gli emiri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi, il Presidente degli Stati Uniti avrebbe spinto affinché i Paesi Arabi alleati isolassero il Qatar e gli altri Stati non apertamente schierati contro il terrorismo e i nemici dell’America. Le rassicurazioni offerte da Trump potrebbero essere state l’incoraggiamento necessario convincere la coalizione araba al passo decisivo.

Secondo Robert Malley, coordinatore dei rapporti col Medio Oriente sotto l’amministrazione Obama:

Chiaramente, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sapevano di avere qualcuno alla Casa Bianca che avrebbe coperto loro le spalle. Questo mette il Qatar in una posizione difficile: perseguire un radicale cambiamento nella politica o finire nell’isolamento più profondo.

Quest’ultima ipotesi sarebbe confermata dai tweet pubblicati da Trump dopo l’annuncio dell’isolamento. Di fatto il Presidente americano ha pubblicamente accusato un Paese alleato degli Stati Uniti di sostenere le formazioni terroristiche. I collaboratori della Casa Bianca hanno da subito cercato di minimizzare le parole del Presidente, evidenziando che la politica estera degli Stati Uniti non contempla la rottura dei rapporti fra i Paesi arabi sunniti suoi alleati. Ma c’è un altro fattore di rischio da non sottovalutare. Il Qatar ospita una grande base militare americana e la svolta assunta dalla diplomazia potrebbe compromettere la posizione dei soldati stanziati sul territorio. Il Segretario di Stato Americano, Rex Tillerson, si è affrettato a specificare che la presa di posizione dell’Arabia Saudita non avrà effetti diretti alla lotta al terrorismo e alla guerra contro lo Stato Islamico. Rimangono comunque diversi dubbi sul peso che la base americana ricoprirà nelle prossime settimane nella crisi scoppiata nel Golfo.

Conseguenze della crisi qatariota

L’intento dei Paesi arabo-sunniti e degli Usa è quello di convincere il Qatar ad allinearsi alle loro posizioni anti sciite. L’isolamento è l’ultima carta diplomatica per convincere i sovrani qatarioti.

Nelle prossime settimane è probabile che scendano in campo diversi mediatori per cercare di appianare il solco creatosi nel Medio Oriente. Già nel lunedì nero dell’isolamento, il ministro degli esteri dell’Oman si è recato in Qatar proprio sotto la richiesta del governo qatariota. Anche il Kuwait, che già nel 2014 aveva mediato una crisi simile, non si è apertamente schierato e sembra stia cominciando a muovere la propria macchina diplomatica. A farsi avanti come mediatore è stato anche Erdogan, che monitora preoccupato l’evolversi della situazione.

Il sultano turco si è apertamente opposto all’isolamento del Qatar, garantendo l’estraneità dei sovrani sauditi alle accuse di sostegno al terrorismo. Il conflitto di interessi di Erdogan è però sotto l’occhio di tutti: la Turchia ha sempre appoggiato in maniera poco velata gli interessi dei Fratelli Musulmani e ha favorito in diverse occasioni le formazioni terroriste sunnite che operano nella regione, Isis inclusa.

Il caos scaturito dall’isolamento del Qatar potrebbe portare a sviluppi inediti nello scenario Medio-Orientale, poiché prima d’ora non vi era stata una spaccatura così profonda all’interno dello stesso schieramento sunnita. Alcuni ritengono che questo possa rappresentare il primo passo per la definitiva sconfitta del terrorismo islamico, ma è ancora presto per sbilanciarsi su queste conclusioni, tenendo presente che il principale accusatore, l’Arabia Saudita, è pienamente coinvolta nella nascita dello Stato Islamico e non ha alcuna credibilità in questo tipo di “moralizzazione”, specialmente in fatto di democrazia. Per capire come stanno le cose è molto più utile, per dirla all’americana, seguire l’odore dei soldi, che sia moneta o interesse strategico nel mantenere un pezzo di mondo arabo ostaggio delle sue paure.


Aggiornamento 7 dicembre 2015

Qatar, l’alleato di Stati Uniti e Turchia che sostiene ISIS

Il Qatar è un importante partner strategico dell’Occidente nella Penisola Araba sia sul piano economico, con l’esportazione e distribuzione del petrolio estratto dal Paese arabo, che militare, in quanto sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna sfruttano le basi nel Paese per coordinare le proprie truppe nella regione. È ormai noto alla comunità internazionale che il Qatar sia stato uno dei maggiori finanziatori dell’Isis nella sua fase di nascita e che il sostegno economico al Califfato perduri tutt’oggi. Ma prima di Daesh, altri hanno goduto con meno fortuna dell’appoggio del ricco stato arabo…

Il sostegno del Qatar ai Fratelli Musulmani

Prima e durante le rivoluzioni della primavera araba, è stato appurato che il Qatar ha versato ingenti finanziamenti per diverse formazioni radicali e fondamentaliste in vari Paesi: dai ribelli del Mali del Nord, fino ad Hamas in Palestina, ma sicuramente a beneficiarne di più sono stati i Fratelli Musulmani di Tunisia, Libia ed Egitto. Proprio nel Paese delle piramidi sono stati investiti più di due miliardi e mezzo di dollari per favorire l’ascesa politica di Mohammed Morsi nel post-Mubarak, con anche il supporto dell’intelligence qatarina. Proprio i servizi segreti qatarini avevano messo in guardia il neo-Presidente egiziano da un possibile colpo di Stato da parte dell’esercito dopo la reintroduzione della Sharia in Egitto. Scenario che si è infatti realizzato con il consecutivo arresto di Morsi, il subentro al potere di Al-Sisi e la grande contrarietà del Qatar. Tutt’oggi, i rapporti diplomatici fra i due Paesi non sono idilliaci, come possiamo ben vedere anche dalla situazione in Libia.

Il territorio libico è sostanzialmente conteso fra due diversi governi nazionali: a controllare la parte orientale del Paese è il governo Tobruk, riconosciuto legittimo dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dall’Egitto; la parte occidentale è invece sotto il controllo del governo di Tripoli, fortemente sostenuto dalle formazioni di Fratelli Musulmani e riconosciuto da Qatar e Turchia, che non hanno mancato di rifornirlo risorse più o meno velatamente. La vicinanza del Qatar alle formazioni islamiche fondamentaliste è spiegabile dall’obiettivo della famiglia dei sovrani di formare una grande coalizione Islamica che riunisca tutto il mondo arabo sotto la propria influenza. Sogno che persegue anche il nuovo emiro sovrano Tamim bin Hamad al-Thani: nel 2013 ha costretto il padre ad abdicare ed ha espresso la volontà di “essere ricordato come colui che ha risollevato il mondo arabo”, come ha sottolineato Luciani Tirinnanzi su Panorama. Dopo il ridimensionamento di Fratelli Musulmani, in continuità con le strategie del padre ha subito cercato nuove realtà emergenti a cui offrire sostegno economico al fine di allargare la propria sfera di influenza. E la sua scelta, tra le altre, è ricaduta proprio su una cellula separatista di Al-Qaeda che, proprio in quel periodo, aveva iniziato a farsi chiamare Isis.

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Il Qatar e la vicinanza a Isis

Dopo il fallimento del tentativo di imporre la propria influenza attraverso i regimi democratici con i Fratelli Musulmani, il Qatar ha spostato le proprie attenzioni sul nascente Stato Islamico fornendo loro qualcosa in più di soldi e armi: attraverso le proprie risorse e l’esperienza dei tecnici dell’emittente Al-Jazeera, nella capitale Doha pare siano stati appositamente formati i registi dell’Isis che poi hanno confezionato i famosi filmati di stampo cinematografico per la propaganda jihadista. Non si tratta quindi solo di un supporto economico, ma di un vero supporto mediatico e culturale legato alla visione di un mondo arabo unito. Secondo diversi osservatori i finanziamenti che dal Qatar giungono a Daesh hanno una doppia valenza: da una parte permettono il mantenimento e l’avanzata dei miliziani jihadisti sui diversi fronti aperti dall’Isis; dall’altra, a parere di Daniel Serwer (ex vice ambasciatore americano a Roma), garantiscono al momento un non-coinvolgimento diretto nel conflitto, scongiurando l’organizzazione e la realizzazione di attentati terroristici sul territorio nazionale. La presenza della base militare anglo-americana ad Udeld, dalla quale vengono coordinate diverse operazioni contro l’Isis, sarebbe infatti una motivazione più che sufficiente per spingere il Califfato a prendere di mira anche il Qatar.

Secondo le speranze del sovrano al-Thani, il fatto di finanziare in maniera consistente i terroristi metterebbe al sicuro il Paese da possibili tentativi di invasione da parte del’Isis e rafforzerebbe la speranza di poter dialogare col Califfato, forti delle convergenze culturali che legano fra loro i due Stati sunniti. La doppiezza del Qatar è apparentemente tollerata dagli Usa per la doppia valenza strategica di cui abbiamo parlato all’inizio: il petrolio proveniente dal Paese arabo è troppo prezioso per l’Occidente per compromettere i rapporti coi governanti e, nel Golfo, le basi presenti in Qatar hanno un’importanza militare unica. Secondo un’inchiesta del New York Times, però, la tolleranza degli Stati Uniti certe situazioni potrebbe essersi trasformata in una vera e propria complicità. Ne sono l’esempio una serie di voli di C-17 qatarini volati dalla Libia a Doha per poi dirigersi verso una città turca sul confine siriano: il NYT ritiene fondata l’ipotesi che il carico dei cargo fossero armi e che i funzionari statunitensi responsabili dei permessi di volo necessari per sorvolare le zone di guerra non potessero non saperlo. Ad aumentare le speculazione è il fatto che a pianificare ed a organizzare la logistica di quei voli è stata una società di trasporti che i media statunitensi hanno in passato definito come “l’agente di viaggio della Cia”.

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