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Il gender swap nei videogiochi

Poison Ultra
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Se c’è una nozione che il femminismo è riuscito a far passare nel senso comune nel corso degli anni è che il genere di appartenenza di una persona, o di un personaggio, ha scarsissima rilevanza in moltissimi predicamenti della vita pratica. Eppure, nell’ormai più che trentennale storia dei videogiochi, è accaduto che proprio l’appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro diventasse un nodo gordiano per gli addetti ai lavori.

Il caso più noto è quello di Strutzi (Birdo in tutti i Paesi occidentali al di fuori dell’Italia), la strana creatura rosa dal naso a trombetta incontrata per la prima volta nel titolo del 1988 Super Mario Bros. 2 – gioco per altro particolarmente ricco di aneddoti, stranezze e misteri. Nel manuale di istruzioni dell’epoca, Birdo ci viene presentato come un maschio che “crede di essere una femmina e vorrebbe essere chiamato Birdetta.” Ma cosa…?!

Sì, nel 1988 Nintendo ha probabilmente introdotto il primo travestito nella storia dei videogiochi.

Con il passare degli anni la politica della grande N riguardo a Birdo si è fatta progressivamente più fumosa, probabilmente perché qualcuno si è accorto che l’uso in chiave ironica dell’autoidentificazione sessuale del personaggio avrebbe potuto offendere la sensibilità delle persone LGBT. Ma con l’avvento di Internet, nonché di una pletora di zelanti forsennati pronti a screenshottare a fini para-legali (e sputtananti) qualsiasi documentazione compromettente apparsa online anche solo per qualche millesimo di secondo, era difficile insabbiare le prove.

Tanto più che nel corso degli anni Nintendo torna sui suoi passi più volte: per esempio la dicitura del trofeo di Smash Bros Brawl (2008) dedicato a Birdo, riprende più o meno inalteratamente quella del manuale di Super Mario Bros. 2. Il nome giapponese di Birdo è Kyasarin, traslitterazione nipponica di Catherine che potrebbe far pensare ad una chiara identità femminile, ma al contrario la scelta di un nome delicato e straniero viene invece impiegato come strumento di iper-femminilizzazione e appropriazione camp, come può essere per i nomi altisonanti adottati dalle Drag Queen, ed è perfettamente allineato alla natura vanitosa e ammiccante di Birdo.

A complicare ulteriormente la faccenda c’è il rapporto di Birdo con Yoshi: i due sono di fatto una coppia (nel senso che formano un team) in una serie di giochi come Mario Tennis, Mario Party e Mario Kart. E Proprio dal sito web giapponese di Mario Kart: Double Dash apprendiamo che Birdo “sembra essere la fidanzata di Yoshi o in verità dovremmo dire… il suo fidanzato?!” (「ヨッシーの彼女に見えて実は彼氏!?).

Tra l’altro anche il sesso di Yoshi non è cosa certa: sebbene sia largamente riconosciuto come “maschio”, depone le uova e così la descrizione del sito web di Mario Kart: Double Dash assume impreviste sfumature #Giacobbo. Stavano solamente facendo dell’autoironia sulla confusa posizione di Nintendo circa l’identità sessuale del personaggio di Birdo o insinuavano qualcosa anche su Yoshi? Si tratta della prima coppia gay Nintendo o di un rapporto tortuosamente eterosessuale in cui Yoshi è l’elemento femminile? L’ironia del web si è scatenata sulla dubbiosa questione.

Pur volendo focalizzare la nostra attenzione sui casi di gender swap nei videogiochi, impossibile non sconfinare nelle limitrofe e multiformi questioni di gender connesse. Quanti vostri amici sono rimasti a bocca aperta quando avete fatto loro presente che Birdo è un maschio? Birdo è rosa, ha delle lunghe sopracciglia e un fiocco in testa e questi attributi, nel lontano 1988 come oggi, sono perfettamente sufficienti perché il pubblico riconosca il personaggio come femminile.

Del resto quando Namco commercializzò Miss Pac-Man, il seguito di Pac-Man, utilizzò una strategia simile aggiungendo allo sprite di Pac-Man un fiocco e del rossetto. È una sorta di paradigma accettato con cui abbiamo familiarizzato tramite i cartoni di Walt Disney (Topolino/Minni, Paperino/Paperina) nonostante tantissime donne non usino il rossetto o non indossino mai il colore rosa o applicandomi un fiocco in testa e recandomi dal salumiere questi non mi rileverà improvvisamente come appartenente al genere femminile. Ma la rappresentazione delle donne nei videogiochi è una questione ampia e spinosa nella quale non intendo avventurarmi in questo post.

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Un caso altrettanto celebre e altrettanto sbagliato su plurimi livelli, seppur molto diverso, è quello della punk Poison, apparsa per la prima volta nel cabinato da salagiochi di Final Fight (1989).

Nella versione originale Poison è una ragazza, come dovremmo prontamente intuire dalle sue lunghe folte chiome rosa, ma durante la localizzazione fu deciso che colpire una donna non era accettabile per il mercato USA e così Poison fu reso un transgender. Seriamente.

Perché a malmenare un transgender non c’è nulla di male.

Sempre per lo stesso motivo, in seguito al playtesting effettuato da Capcom prima del lancio americano del porting di Final Fight per Super Nintendo, fu presa la decisione radicale di rimuovere Poison (e i tutti i color swap su di lei basati) dal gioco per rimpiazzarla con due personaggi maschili, Billy e Sid.

Queste bizzarre scelte di adattamento furono l’inizio di un guazzabuglio di informazioni al contempo ufficiali e contraddittorie sul genere di appartenenza di Poison: secondo il libro All about Capcom head to head fighting games, Poison era stata concepita come personaggio femminile e fu trasformata in un trans, per paura che le associazioni femministe querelassero Capcom; il profilo del personaggio in Capcom Classic Collection del 2005, invece, non solo la indicano come cross-dresser, cioè un individuo di genere maschile vestito da donna, ma alludono al fatto che Roxy (un color swap di Poison) l’abbia in forte antipatia non apprezzando questo travestitismo basato sulle sue fattezze. Uhm.

Yoshinori Ono, il produttore di Street Fighter IV, incalzato da qualche giornalista gigione, ha confuso ulteriormente le acque dichiarando: “Let’s set the record straight: in North America, Poison is officially a post-op trans woman. But in Japan, she simply tucks her business away to look female”.

Questa dichiarazione va considerata tenendo bene a mente il noto spirito goliardico di Ono e l’innegabile fatto che negli anni la vaghezza e l’ambiguità riguardanti genere di appartenenza di Poison siano diventati mitologici per la comunità dei videogamer, spingendo Capcom stessa a capitalizzare questo aspetto particolare del personaggio. Al lancio di Final Fight: Double Impact nel 2010, ad esempio, come gadget promozionale nelle cartelle stampa fu allegato uno spray per capelli colore rosa shocking che riportava la dicitura: “For men, women, and everything in between”.

Ciliegina sulla torta è l’animazione della sua Ultra in Ultra Street Fighter 4, nella quale, alla fine di una sequenza di colpi, Poison appioppa un sonoro calcio sotto la cintola dell’avversario, che reagisce come se avesse gli zebedei a prescindere dal suo sesso: l’esuberanza dell’ambiguità sessuale di Poison evidentemente crea dei cortocircuiti anche nell’identità di genere dei suoi sfidanti.

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Rimanendo in ambito picchiaduro, furono invece i responsabili dell’adattamento europeo di Bloody Roar (1997) a decidere che l’aspetto metrosexual di Fox fosse poco digeribile per il vecchio continente e accreditarlo come di genere femminile nonostante fosse un uomo sia nell’originale giapponese che negli Stati Uniti.

È notevole quanto la sensibilità personale del team di adattamento incida di volta a volta su differenti progetti in una vera schizofrenia di direzioni – non si tratta di un’operazione coordinata come, per esempio, quella famigerata di adattamento dei cartoni animati giapponesi sulle reti Mediaset negli anni ’80 e ’90.

In un qualche ufficio, alcune eminenze grigie deputate, probabilmente con un grado di comprensione del mondo dei videogiochi pari al mio del mercato NBA, hanno messo i videogiocatori e le sensibilità di intere nazioni su un bilancino decidendo se fossimo pronti o meno a recepirli. Per ogni Benimaru Nikaido (The King of Fighters, 1994) o Bridget (Guilty Gear XX) che non hanno avuto bisogno di essere spiegati o modificati, ci sono un Fox o una Poison.

Relativamente meno noto è il caso di Caina, uno degli antagonisti principali di Wild Arms 2 (2000).

Nella versione originale, Caina è un giovane ufficiale innamorato del suo generale, Vinsfield Rhadamanthus: un sentimento privato e unilaterale che scaturisce dalla profonda condivisione degli ideali del generale di Odessa e dalla sua figura carismatica e paterna – i due hanno circa 20 anni di differenza.

Nell’adattamento occidentale, invece, Caina è una donna ma le ragioni del cambiamento non sono chiare quanto possiate immaginare dalle righe precedenti: che sia bastata l’appena abbozzata infatuazione a senso unico di Caina per Vinsfield a far decidere di epurare ogni sfumatura omosessuale dal personaggio? O nell’ambito di un adattamento in inglese davvero carente per il titolo, gli addetti ai lavori semplicemente non avevano capito si trattasse di un uomo? I vestiti, il taglio di capelli e le pose di Caina sono estremamente femminili… E le parole giapponesi prive di genere.

Questo episodio, più o meno inalterato, si è ripetuto per Cupid, un NPC di Breath of Fire V (2003): nella versione originale Cupid è un potente sottoposto del capo dell’antagonista principale del gioco, con il quale ha una relazione intensa e ricambiata. Cupid è estremamente efebico ed effeminato e nell’adattamento statunitense è diventato una donna, perdendo inevitabilmente parte della caratterizzazione sull’altare di un’assurda discriminazione.

Casi di adattamento del genere sono stati abbastanza frequenti negli anni da diventare oggetto di ironia dei giocatori e degli sviluppatori nipponici. Nel recente Disgaea: D2 (2013) i protagonisti vengono colpiti da una strana maledizione a sfondo videoludico: mentre Etna si trova improvvisamente con la palette cromatica alterata e la scritta 2P (secondo giocatore) che le fluttua costantemente sulla testa, Laharl assume improvvisamente fattezze femminili. Uno dei suoi servitori commenta laconico: “la tua (proverbiale ndr) avversione alle donne prosperose risultava troppo ambigua per il mercato americano”.

Un anno prima di Breath of Fire V, Capcom fu protagonista di un altro garbuglio simile in un titolo insospettabile: Megaman Zero (2002). Per motivi che possono essere presumibilmente legati solo al suo design o al nome derivante dal greco antico Harpya (Arpia), Capcom fece doppiare Harpua con un tono femminile e i giocatori non si posero neanche il problema. Nei successivi giochi della saga però il personaggio tornò ad essere improvvisamente maschio anche in Occidente e i fan fecero giustamente notare il pasticcio a Capcom – come demolire la continuità dei tuoi stessi giochi da soli e senza motivo.

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I cambiamenti di genere del tutto arbitrari – a volte insospettabili – sono meno infrequenti di quanto si possa immaginare. Blanca, Gracie e Sahara di Animal Crossing: City Folk? Nella versione originale erano maschi. Pur spremendomi le meningi, facendomi un tè e guardando fuori dalla finestra, l’unico caso a cui riesco a trovare una possibile spiegazione è quello di Gracie la giraffa: si tratta di una stilista e, un po’ macchiettisticamente, nella versione giapponese è un uomo dal fare pittoresco.

La scelta potrebbe essere stata effettuata o per eliminare ogni ambiguità sessuale dal mondo di Animal Crossing (ma onestamente vi eravate mai fermati a pensare alla sessualità dei personaggi di Animal Crossing prima di leggere queste righe?) oppure, scelta comunque discutibile ma più giustificabile, al fine di non offendere individui LGBT con una rappresentazione stereotipata.

Perché leggendo queste righe potrebbe sembrare che il Giappone sia più progressista dei Paesi occidentali sulle questioni di gender: niente di più lontano dalla realtà.

Seppur nei prodotti culturali giapponesi siano apparsi personaggi LGBT di un certo spessore e le infatuazioni tra personaggi dell’stesso sesso vengano indubbiamente trovate interessanti da alcune fasce di pubblico (non necessariamente gay), la realtà di tutti i giorni è ben più complessa e contraddittoria, come molti altri aspetti della società giapponese.

Senza scendere in un’analisi che pur sarebbe interessantissima, ad essere sdoganati e utilizzati (a volte come comic-relief) dalla tv sono spesso travestiti iper-femminili o sassy, come quello che Sega ci fa incontrare nel capolavoro di Yuji Naka Shenmue 2 (2001). Anche in questo caso l’adattamento scelse, forse per non infastidire le minoranze, di rendere Yuan una donna nell’edizione occidentale del gioco, tuttavia la forzatura riesce davvero male in quanto Yuan, modellato sui travestiti della tv, è un’entità distintamente maschile che ingloba dei comportamenti femminili. Più probabile (e, anzi, quasi impossibile) che il giocatore non si accorga che Cupid è un uomo.

Emblematico di questa ambivalenza di progressismo e conservatorismo nipponico sull’argomento è il personaggio di Kanji Tatsumi in Persona 4, titolo che punta il tutto per tutto sulla bontà della scrittura dei suoi personaggi.

Ognuno dei protagonisti di Persona, nell’arco della storia, si trova a fare i conti con una problematica psicologica che viene introdotta e sviluppata nei dialoghi e trova di solito il suo culmine nello scontro con la propria shadow all’interno del Midnight Channel. Introducendo Kanji, lo script del gioco ci fa intendere che al centro della narrativa del personaggio ci sia la sua celata omosessualità, esplicitata dall’infatuazione per il giovane Naoto.

Tuttavia col progredire della trama scopriamo che la questione perno per il personaggio di Kanji non è di orientamento sessuale ma di gender. Gli abitanti di Inaba pensano che sia gay perché sin da piccolo ha dimostrato attitudine ed interesse per i lavori a maglia e la creazione di pupazzi di peluche, attività che “non vanno bene” per un uomo. Kanji come meccanismo di difesa ha shoccato gli abitati del paesino adottando un look iper-mascolino e da ribelle, con tanto di capelli decolorati (tingersi i capelli è vietato in Giappone agli studenti fino alla fine del liceo), iniziando a nutrire lui stesso dubbi sulla propria sessualità solo dopo l’incontro con Naoto Shirogane.

Ma una volta scoperto che il ragazzino prodigio è in realtà una ragazza a cui piace vestire abiti maschili, e affrontata la sua rappresentazione creata dall’inconscio collettivo degli abitanti di Inaba nel Midnight Channel, la sua infatuazione non svanisce né diminuisce: Kanji è semplicemente un ragazzo eterosessuale vessato perché i suoi hobby e comportamenti non sono abbastanza “da uomo”, addirittura portato a interrogarsi sul proprio orientamento sessuale dalla voce corale del paese, che lo vorrebbe gay.

Di fronte a questa rappresentazione così sensibile e matura dei problemi di gender, è incredibile come gli stessi scrittori non si siano fatti problemi a utilizzare la presunta omosessualità di Kanji è in siparietti umoristici che non sfigurerebbero in un film natalizio dei Vanzina, banalizzando una questione che si sono sforzati di trattare con delicatezza e profondità.

La diversa gestione di questioni di immagine intrinsecamente legate a problemi di gender e LGBT da parte degli sviluppatori e degli adattatori di videogiochi può essere allora, oltre che una fonte di aneddoti, una finestra sulla temperie culturale del Paese che produce o adatta i titoli e una spia della maturazione (o mancata maturazione) della sensibilità di pubblico e (soprattutto) addetti ai lavori di una forma di intrattenimento popolare.

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