Blue Jasmine3 min read
Reading Time: 3 minutesUna commedia drammatica, il cui titolo è il nome di una pianta che allude a un nome di donna: Blue Jasmine, cioè “Gelsomino azzurro”. Uno di quei film che, partendo da orecchiabili ritornelli da commedia, virano verso gli striduli acuti del dolore.
Tale pregevole amalgama è ottenuto attraverso l’uso di flashback e l’alternanza dialogica delle due protagoniste, che presentano caratteri complementari. Se una è un personaggio simpaticamente inguaiato, con tratti comici e occhi bassi ma vispi, l’altra è un personaggio parodisticamente altolocato e tragico, che il regista privilegia per compassione, concedendogli lo spazio potente del monologo drammatico e un certo charme.
Le due protagoniste sono sorelle adottate, ma provenienti da geni diversi, che vivono in mondi diversi. Entrambe hanno un nome che è anche quello di una pianta: Ginger significa zenzero, Jasmine gelsomino. Ma apprendiamo che Jasmine in realtà si chiama Jeanette e si è cambiata il nome per sentirsi più chic, come Norma Jeane si cambia in Marilyn.
Lo zenzero non è una gran beltà, ma è una spezia e dà aroma. Il Gelsomino azzurro è un rampicante decorativo, ma senza profumo. Ginger è un po’ eccentrico-sciatta, complessata, finisce sempre con uomini ordinari un tantino scimmiotti, ma ha un che di esuberante. L’altra, decisamente bella, molla l’università per vivere nel lezioso mondo dell’upper class, lasciandosi rimbambire da tipi tutto fumo e niente arrosto, come il marito, che è un piacione disonesto, di professione finanziere. Un piccolo riferimento alla crisi?
In seguito al divorzio e alla psicosi di Jasmine, le due si ritrovano a vivere insieme recuperando il rapporto sororale e iniziando un sofferto processo di crescita. Ovviamente definire l’umore di Jasmine “blue” (triste) è un eufemismo. La poverina tenta di seguire le sue inclinazioni misurandosi per la prima volta con la crudezza della vita, scoprendo che nessuno ti dà niente per niente e che se hai un bel faccino cercheranno di sfruttarlo.
Intanto Ginger prova a chiarirsi le idee attraverso bollenti estasi sensorial-musicali con un tecnico del suono vagamente più bon ton del fidanzato, che però la usa; non tanto perché è sposato, quanto perché non glielo dice. Però se non altro ci ricava un simil i-pod come souvenir.
Avete presente la fiaba del Brutto anatroccolo? è la storia di quell’anatroccolo adottato da un’anatra che crede di essere brutto perché diverso dagli altri anatrini, e invece è un cigno. I temi sono l’identità e l’appartenenza. Se si sdoppia il cigno dall’anatroccolo, spunta una chiave di lettura. Jasmine gioca a fare la parte del cigno, l’altra quella del brutto anatroccolo; sembrano opposte, ma in realtà entrambe non hanno capito chi sono veramente, sono ingenue e non credono in se stesse: sono due pulcini bagnati.
Come in tutte le fiabe, alla fine si assiste a un ribaltamento delle apparenze. Jasmine reagisce alle sue frustrazioni accalappiando un altro uomo di apparenza, anche se meglio dell’ex (ci vuole poco). In ogni caso lei si brucia anche questa carta decidendo di mentire. Quando poi la verità viene a galla, eccola a parlare sola su una panchina, imbruttita.
Ginger, che è più viscerale e diretta nei sentimenti, alla fine ricava qualcosa di più sostanzioso: memorabile la scena in cui, in pieno supermercato, il suo tenero scimmione le chiede in lacrime di ritornare con lui; e non è poco.
[quote align=”center” color=”#999999″]Morale della favola?[/quote]
Dovendo proprio scegliere, meglio essere piccanti che decorative e, in ogni caso, scegliete di essere voi stesse.
Guseppina
La donna deve sempre cercare di essere se stessa, non tentare di mostrarsi come vorrebbe essere perché prima o poi, finisce per perdere la propria identità. Nel film, Ginger è una donna , piena di complessi perché non crede nelle proprie possibilità, ma che riuscirà a riconquistare l'uomo, 'lo scimmione', che aveva perduto, mentre la bella Jasmine che ha puntato solo sulla sua bellezza, sulla apparenza, si ritroverà sola su una panchina.
Chiara
va anche detto che provare a essere se stessi, e questo vale anche per gli uomini, non è affatto facile. di solito si va incontro a grossi periodi di crisi o sofferenza, a volte di grande fatica, perché non c'è nulla là fuori che incentivi le persone a realizzare tutte le proprie potenzialità e la propria reale autonomia, anzi. la politica, l'economia, hanno solo da guadagnare dall'insicurezza e dall'infelicità altrui. l'insicuro lo manovri come vuoi. l'infelice vive di compensazioni, quindi di solito acquista. vale sempre la pena di provare a diventare noi stessi, anche a costo di profondo dolore, il dolore del parto di noi stessi.