Site icon Le Nius

Rom a Milano, la situazione ad un mese dallo sgombero

Reading Time: 5 minutes

Il 25 dicembre, insieme al Natale, si celebrerà il primo mese dallo sgombero del maggiore campo rom di Milano, tra via Brunetti e via Montefeltro. Un campo che, come abbiamo raccontato, era abitato da circa 900 rom fuoriusciti da altri insediamenti sgomberati nei mesi precedenti, primo fra tutti il campo autorizzato di via Triboniano, su cui la giunta Moratti aveva investito 800.000€ per renderlo “abitabile”, prima di distruggerlo con le ruspe in vista dell’Expo lasciando per strada le famiglie che vi abitavano.

La nuova giunta milanese, in particolare attraverso l’Assessore alla sicurezza e coesione sociale Marco Granelli, ha dichiarato a più riprese di non voler ripetere gli errori dei predecessori e di voler realizzare l’annunciato programma di “superamento dei campi” evitando la creazione di nuovi insediamenti analoghi. Vediamo dunque qual è la situazione oggi a Milano.

Sgombero Rom Milano, le soluzioni proposte dal Comune

Come dichiarato il 5 dicembre dallo stesso Granelli a Radio Popolare, con lo sgombero del 25 novembre i Centri emergenziali messi a disposizione per il “Piano Rom” si sono riempiti, ma secondo la versione ufficiale (diffusa anche attraverso una nota sulla pagina facebook di Palazzo Marino) nessuna persona sarebbe stata rifiutata.

Le uniche eccezioni sarebbero relative a quei casi che non rispondevano ai “requisiti”: in sostanza il Comune non ha accettato chi in passato aveva rifiutato una struttura d’emergenza e chi ha usufruito di quella sorta di “incentivo al rimpatrio” che la Moratti si era inventata sperando di convincere i rom ad andarsene per sempre in cambio di una donazione una tantum.

Tralasciando la pur doverosa riflessione sull’ammissibilità di “requisiti d’accesso” in casi d’emergenza, le testimonianze dirette raccolte dal Naga, che lavora da anni a stretto contatto con i rom dei campi irregolari, hanno rilevato una situazione diversa (come avevamo peraltro già intuito a 48 ore dallo sgombero): molte famiglie, seppur in possesso dei famigerati “requisiti”, sono in realtà state rifiutate e lasciate fuori dai Centri di Emergenza.

Molte di queste hanno trovato ospitalità presso amici o parenti in altri campi, mentre altre dormono ora sotto i ponti o si accampano di notte nei prati vicino alla ferrovia. Come racconta il Naga, “le tende vengono poi nascoste nei dintorni e, durante il giorno, [i rom] si muovono per la città senza una meta precisa: non è difficile pensare in che condizioni fisiche e mentali, considerando anche che uno di questi rom è stato sottoposto ad un intervento chirurgico per un tumore alla testa e che deve regolarmente assumere medicinali antiepilettici e farmaci salva vita”.

Granelli, d’altra parte, continua a negare questa situazione, sostenendo che la proposta dell’Amministrazione sarebbe stata accolta solo da 254 persone. Guarda caso esattamente la capienza dei due centri: fortunata coincidenza, verrebbe da pensare.

Invece un altro assessore, Pierfrancesco Majorino, responsabile per le Politiche Sociali, presente insieme a Granelli allo sgombero del 25 novembre, si lamenta sulla sua pagina facebook: “Con la popolazione rom facciamo una gigantesca fatica. Molti tra loro non accettano le nostre proposte”.

Resta dunque una domanda: se accettassero tutti la proposta del Comune, dove verrebbero messi? Cosa è stato proposto, per esempio, alle famiglie sgomberate settimana scorsa dal campo Lambro-Forlanini? E cosa verrà proposto alle restanti 2.000 persone che vivono nei campi che vorrebbero essere “superati”?

Rom Milano, i centri di emergenza

Al di là dei dubbi sui numeri, è sicuramente vero che una buona parte dei rom rifiuta le proposte di accoglienza del Comune. Per capirne i motivi, è sufficiente parlare con qualcuno di loro: “Alla fine qual è la differenza tra qui e il campo? Pensano di aiutarci solo perché ci mettono un muro intorno?” è il commento più diffuso. Alcune donne ammettono: “E’ vero che qui non ci sono i topi, ma per il resto qui non stiamo meglio, anzi: i bambini si ammalano molto di più!”.

In effetti, lo sgombero è avvenuto all’inizio del freddo invernale, che ha portato con sé i classici malanni di stagione. Le famiglie, ammassate in grandi stanzoni contenenti dalle 30 alle 50 persone ciascuno, hanno iniziato a passarsi ogni raffreddore e ogni mal di gola, fino a quando hanno dovuto chiedere l’intervento dei medici volontari del Naga. “I bambini non dormono”, quelli sani vengono svegliati dalla tosse dei malati e le maestre a scuola si sono già accorte che i ragazzi dormono sui banchi. “Le maestre non capiscono, pensano che ora abbiamo tutto per stare bene, non sanno che qui la nostra vita è ancora più difficile di prima”.

La vicinanza forzata è sicuramente una delle principali ragioni di disagio: per aumentare la privacy, ogni famiglia ha inventato delle paratie di fortuna con teli, asciugamani e coperte. Ma in questo modo non viene certo fermata la circolazione dei virus. I quali peraltro non vengono fermati nemmeno dai medici, la cui presenza non è prevista: i malati infatti non vengono curati, perché all’interno delle strutture d’emergenza non c’è assistenza medica.

Inoltre non viene distribuito cibo, le docce sono fredde e la stanza prevista per i pasti non è riscaldata. Chi riesce a procurarsi del cibo perché ha la fortuna di avere un lavoro o perché riesce a ottenere una decina di euro per la propria famiglia facendo l’elemosina (questa cifra è considerata un successo), mangia seduto sul proprio letto.

Una lamentela molto diffusa riguarda poi le limitazioni d’uso per le lavatrici. Ogni famiglia può usarle solamente durante una finestra prestabilita di 2 ore in un’intera settimana. I rom, che non sono certo dotati di un guardaroba standard per i canoni del milanese medio, si trovano a usare gli stessi vestiti sporchi anche per diversi giorni. “Nel campo avevo le mie quattro pareti e la mia bombola, scaldavo l’acqua e lavavo anche tutti i giorni: ora cosa dico ai miei bambini che vengono presi in giro dai compagni di classe perché hanno vestiti puzzolenti?”.

Infine, una considerazione sulla divisione delle famiglie. Uno dei vanti dell’amministrazione comunale è quello di non separare le famiglie dopo gli sgomberi. In effetti, se ci si basa sulla famiglia ristretta, ciò è vero: i genitori e i figli restano insieme nei centri emergenziali, mentre nonni, zii e cugini non sono considerati parenti stretti.

Se consideriamo però la cultura rom e soprattutto la precarietà della situazione in cui vivono, è impossibile ignorare l’importanza della famiglia allargata per il sostegno reciproco. Al di là dell’appoggio morale, in situazioni del genere l’aiuto di uno zio che ha trovato lavoro in cantiere o di una cugina che possa occuparsi dei bambini durante il giorno possono valere la differenza tra avere o meno qualcosa nel piatto alla sera.

In sostanza, il progetto di superamento dei campi con la proposta di avvio di un percorso di integrazione a medio termine sarebbe in teoria più che valida. Ma le modalità concrete di attuazione del piano osservate finora danno la sensazione che l’obiettivo principale dell’azione sia in realtà quello di nascondere i rom alla vista dei milanesi, a costo di chiuderli dietro a un muro vuoto di cemento e di promesse.

Immagini| Nikolas Kallmorgen Travel Photographer

CONDIVIDI
Exit mobile version