Rom, nuovo sgombero a Milano5 min read
Reading Time: 4 minutesLo sgombero del campo Rom di Via Brunetti e Via Montefeltro
La mattina di lunedì 25 novembre il Comune di Milano ha effettuato il maggiore sgombero di un campo rom da quando governa la giunta Pisapia. Era dall’aprile 2011 che non si operava un “allontanamento” – per usare la terminologia ufficiale – da un “campo rom” di circa 900 persone. In quel caso, peraltro, si era trattato di un campo regolare, Triboniano. Oggi, invece, le ruspe e la polizia sono arrivati in un doppio campo non autorizzato, diviso tra via Brunetti e via Montefeltro.
Lo chiamano campo rom, ma è un semplice piazzale d’asfalto riempito di baracche di legno e lamiera, di fronte a un edificio semi-distrutto usato come discarica. Il Comune infatti non è mai passato a ritirare l’immondizia, non ci sono servizi igienici, né luce, né gas, né acqua.
Le forze dell’ordine si sono presentate dopo le 8, per lo stupore di alcuni rom, oramai “veterani dello sgombero”, abituati ad essere svegliati prima dell’alba ed evacuati in fretta e furia. Oggi invece hanno dovuto aspettare le 9 prima di ricevere la comunicazione ufficiale secondo cui avrebbero avuto tempo fino alle 17 per andarsene e che all’esterno del campo si raccoglievano i nomi per l’inserimento nei centri di accoglienza temporanea.
In realtà, gran parte degli abitanti se ne era andata prima. Come in occasione di ogni sgombero, alcuni chiedono ospitalità a cugini e amici sparsi in altri insediamenti di Milano, mentre chi non ha nessuno finisce per strada, sotto i ponti e vicino ai binari della ferrovia. A volte alcuni abbandonano l’Italia (di solito per tornare dopo poche settimane) su uno dei tanti furgoni che partono ogni domenica verso l’Europa orientale dal piazzale della Stazione Centrale di Milano.
Chi non può andarsene prima, rimane in silenziosa attesa dell’annunciato arrivo della polizia. Prima delle 6, iniziano a smontare le assi di legno e le lamiere metalliche che formano la loro casa – potrebbero tornare utili nel luogo dove andranno – e, ancora in silenzio, si allontanano lungo la strada. Diretti dove? Non si sa, o forse sì. Ma facciamo un passo indietro.
La storia del campo Rom di Via Brunetti e Via Montefeltro
Via Montefeltro, zona Certosa, quartiere Varesina. Un paio di vie incastrate tra viale Espinasse e lo svincolo autostradale che conduce all’area dove sorgerà l’Expo 2015. Sul lato opposto del cavalcavia si intravede il quartiere Musocco e la Certosa di Garegnano, un monastero del 1349 incastonato nel cemento sorto dove una volta era aperta campagna.
Su questo lato dell’autostrada, invece, via Montefeltro e via Brunetti appaiono come non-luoghi di periferia punteggiati di fabbriche e capannoni, le aree residenziali infatti si sono spostate negli anni verso viale Espinasse e la zona del Musocco. Una parte di questi capannoni, che un tempo erano uno stabilimento del gruppo Finmeccanica e la sede di Italmondo, ora abbandonati, sono abitati da circa 1 anno da una comunità rom che è andata via via crescendo, giungendo a circa 900 presenze.
La maggior parte di queste famiglie sono arrivate in seguito allo sgombero del 2011 del campo regolare di via Triboniano, a poche centinaia di metri di distanza, sul quale l’amministrazione precedente aveva investito 800.000 euro per attrezzarlo e renderlo “vivibile” con roulotte, accesso all’acqua, servizi igienici e allacciamenti elettrici. Ma in vista dell’Expo la stessa amministrazione Moratti aveva vanificato lo sforzo economico precedente e rimesso per strada gli abitanti. Molti dei quali sono dunque finiti in via Montefeltro.
Le relazioni del Campo Rom con il quartiere
La presenza dei rom si è fatta naturalmente sentire nel quartiere: durante l’estate gli abitanti hanno organizzato una fiaccolata e lanciato diversi appelli al sindaco per via dell’aumentare dei furti e degli scippi. È stata anche creata una pagina facebook, Gente di Musocco, uno spazio di confronto tra gli abitanti che hanno effettuato un notevole sforzo nel tenere a bada le prevedibili derive razziste e fasciste che in altre occasioni e in altri quartieri hanno avuto la meglio, si pensi al drammatico sgombero del campo di via Dione Cassio nell’aprile 2013.
Ma anche tra i rom circolavano opinioni contrastanti riguardo allo sgombero: alcuni avrebbero voluto restare per via della mancanza di alternative, altri preferivano l’operazione di allontanamento a causa delle condizioni precarie del campo, sia dal punto di vista igienico-sanitario che per le relazioni con il quartiere.
La Giunta Pisapia e la politica sui Rom
L’unico punto d’accordo è la critica verso i centri di emergenza proposti dal Comune come soluzione all’interno della cosiddetta “Strategia di superamento dei campi” dell’amministrazione Pisapia.
Il piano, fondato sulle “Linee Guida Rom, Sinti e Caminanti” approvate nel novembre 2012, prevede un percorso di integrazione fondato su una permanenza di 40 giorni (rinnovabili fino a massimo 4 volte) nel centro di assistenza, sull’inserimento lavorativo attraverso l’assegnazione di borse-lavoro e, in alcuni casi, sull’assegnazione di case popolari.
Questa proposta ha tuttavia diversi coni d’ombra. Prima di tutto i letti disponibili: considerando sia la struttura di via Barzaghi che quella di via Lombroso, inaugurata quest’anno, sono in totale meno di 300. In gran parte occupati.
In secondo luogo, chi ha usufruito di questi centri e i volontari del Naga che li hanno visitati hanno denunciato una serie di problemi che sarebbe interessante approfondire in un’inchiesta specifica: si parla di famiglie divise, regole ferree, totale assenza di privacy, assenza effettiva di percorsi formativi e di integrazione, gestione economica inefficiente. I resoconti negativi hanno portato molti rom a rifiutare l’offerta dell’amministrazione, cosa su cui sembra puntare il Comune quando offre sì e no 200 letti a 900 persone (200 secondo la versione ufficiale).
Resta il fatto che, alla fine della permanenza nel Centro, quasi nessuno degli utenti ha ottenuto una casa o un lavoro e finora non sono state assegnate più di 5 borse-lavoro e qualche incarico nella vendemmia. Il loro destino sarà un altro campo, in attesa di essere nuovamente sgomberato.
Viene dunque da domandarsi che senso abbia un progetto basato sull’investimento di preziose risorse per soluzioni a brevissimo termine, che non fanno altro che innescare un nomadismo centrifugo, un circolo vizioso che rafforza le fragilità e che spinge i rom sempre più verso i margini geografici e sociali della città.
Immagini| Nikolas Kallmorgen Travel Photographer