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Inter, le ragazze lo sanno

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@ massimo ankor

Dopo essermi guadagnata le occhiatacce di amici e parenti milanisti e aver perso le tracce di pressoché tutti gli juventini che conosco, mi accingo a distruggere definitivamente la mia vita sociale tratteggiando il profilo dell’interista che, si sa, tende ad essere piuttosto permalosetto.

Premetto che gli interisti su di me hanno un effetto nefasto. Innanzi tutto tirano fuori il mio lato qualunquista: è stato proprio osservando la sofferenza stratificata, multiforme e iterata dell’interista che è nato in me il rifiuto di diventare una tifosa vera. Io penso – qualunquismo, lo so – che la vita sia già abbastanza piena di traumi e delusioni: davvero non capisco il motivo per cui bisogna accrescerne il carico tifando Inter. È una domanda che non ha risposta, perché tifare Inter non è una fede, è una malattia. Psichiatrica.

Non esiste un interista che segua poco il calcio: per tutti loro il mondo si ferma quando gioca l’Inter. E non lasciatevi ingannare se un interista appare momentaneamente lontano dalla sua squadra, se non va più allo stadio, se guarda distrattamente una partita: quello non è disinteresse, è dolore. Cosa c’è di più funesto del vedere soffrire ciò che più si ama? Dite che esagero? Non credo. Chiedete alle ragazze degli interisti.

Scenario I
Tu sei bloccata in aeroporto: ti hanno rubato il portafoglio e non puoi comprare il biglietto per il bus che ti riporta in città. Sono le undici di sera, domani hai la sveglia alle 7.15 e sei stanca e stravolta, sbattuta tra non-luoghi da almeno sei ore. Ma non lo farai. Non chiederai al tuo fidanzato di venire a prenderti se lui è interista e l’Inter sta giocando contro il Gabicce Mare. La tua mente non è neanche in grado di elaborare quella soluzione, per cui piuttosto cerchi di rimediare qualche euro attraverso l’abile arte dell’accattonaggio. E per te è tutto perfettamente normale.

Scenario II
Il tuo fidanzato la cui timidezza comporta una certa ritrosia nel verbalizzare i suoi sentimenti verso di te anche dopo sette anni che state insieme, te lo ritrovi tutte le settimane in curva, paonazzo e con i muscoli del collo tesi che grida al vento al mondo e a se stesso una reiterata folle animalesca dichiarazione d’amore alla propria squadra: AMALA. Senza alcun imbarazzo. E per te è tutto perfettamente normale.

La ragazza di un interista sa che deve condividere il suo primato con l’Inter, non ha scelta. Non è un caso che l’Inter sia l’unica squadra in Italia (nel mondo?) che abbia costruito un inno sul modo imperativo del verbo amare: un mantra che si ripetono sempre, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, in Gian Piero Gasperini e in Andrea Stramaccioni.

Lo struggimento e la dedizione del tifoso interista verso la sua squadra hanno molte cose in comune con il rapporto amoroso. L’emozione ben visibile ancora oggi quando guardano la pubblicità della sambuca con la voce di Mourinho è la stessa di una fanciulla sedotta e abbandonata nelle trame dei più convenzionali di un feuilleton ottocentesco.

Così come l’odio livido per le rivali, il godere per loro fallimenti risponde ad un legame che ha del morboso. Capite anche voi che vincere o perdere, in questa dinamica sentimental-amorosa, diventa quasi secondario: è l’esperienza stessa dell’essere interisti che li esalta e ciò che li rende fieri. In un mondo corrotto e venduto, si considerano i depositari di un calcio onesto e quindi perseguitato: questa precisa identità per loro è importante quasi quanto i dolci ricordi del triplete. Chissà se è veramente così, chissà quanto c’è di umile nel loro orgoglioso martirio.

Eppure, nonostante la loro psicosi da perseguitati che perdono solo perché sono onesti, mi fanno simpatia per quel modo tutto interista di credere ancora nella vittoria dopo ogni sconfitta. Non è mica facile, non è mica da tutti.

(Vi avevo già detto del loro effetto nefasto su di me, tirano fuori il peggio: tirano fuori il mio lato interista.)

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