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Hiroshi Yamauchi, Nintendo: Hiroshi contro tutti (3 di 3)

Hiroshi Yamauchi
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Mentre Hiroshi Yamauchi diventava il proprietario della squadra di baseball dei Mariners, in Giappone il Super Famicom proseguiva la conquista dell’egemonia del mercato senza molti sforzi, cavalcando l’onda del successo del Famicom (il cui canto del cigno fu il tuttora godibilissimo Super Mario Bros. 3, pubblicato nei primi mesi del 1990) e del sistema d’intrattenimento portatile ideato da Gunpei Yokoi come naturale evoluzione dei Game and Watch, il Game Boy, destinato a divenire un autentico fenomeno di costume, il simbolo di un’epoca, come lo era stato il Walkman per quella precedente.

In America ed in Europa, tuttavia, l’immissione tardiva della nuova console sul mercato e una campagna di marketing feroce da parte di Sega per spingere la propria, validissima, macchina a 16-bit (Il Mega Drive o Genesis) complicarono un po’ la vita al Super Famicom. Al punto che nel Vecchio Continente il Mega Drive, trasportato anche dall’impatto della nuova mascotte Sonic, personificazione della badassness su cui la compagnia faceva perno, rimase sempre la console più venduta, nonostante l’hardware decisamente superiore del Super Nintendo. Nello scontro tra i due colossi giapponesi, noi videogiocatori vincemmo tutti: entrambe le console godettero di ampie librerie costellate di titoli indimenticabili.

Yamauchi, fermamente convinto che fossero i giochi a fare la differenza, più che rispondere per le rime a colpi di campagna pubblicitaria, si concentrò nuovamente sul software, su ricerca e sviluppo e su nuove partnership: dai chip integrati nelle cartucce che rendevano possibili calcoli altrimenti impensabili sulla console come in Star Fox, sviluppato in collaborazione con Argonaut Software, alla partnership con Rare per la realizzazione del titolo renderizzato Donkey Kong Country, senza dubbio il titolo più graficamente impressionante della generazione a 16-bit, dal suo speculare opposto Yoshi’s Island, che liberò il potenziale artistico della mente di Shigeru Miyamoto, alla collaborazione con Silicon Graphics per la progettazione di una futura console a 64-bit concentrata sull’elaborazione di grafica tridimensionale.

Yamauchi aveva pensato di potenziare le possibilità tecniche e prolungare la vita dello SNES con una periferica per la lettura di dispositivi ottici, che stavano facendo miracoli per il settore PC, non dissimile a quella realizzata da Sega con il Mega-CD. Il partner scelto da Nintendo per realizzare questo add-on, denominato Nintendo Play Station, era Sony, che aveva già prodotto i chip audio del Super Famicom.

Tuttavia poco prima dell’entrata in produzione della periferica, l’accordo saltò, per motivi tutt’oggi non divulgati ma probabilmente legati alle royalties sulle licenze dei titoli pubblicati su supporto CD richieste da Sony: Yamauchi aveva fatto la fortuna di Nintendo con un’aggressiva policy sulle licenze e non era disposto a cedere quegli introiti a Sony o a nessun altro.

In barba ad ogni accordo, Nintendo formò una nuova partnership con la Philips, diretta rivale di Sony, mentre questa continuò a lavorare in proprio sulla tecnologia esistente fino a trasformarla in una console indipendente – non l’originale PlayStation, come si potrebbe credere, bensì una console mai commercializzata che però consentì a Sony di crearsi un suo know-how del mercato dei videogiochi, a cui era fondamentalmente estranea.

Oltre al guazzabuglio con il mai commercializzato lettore CD dello SNES, in quegli anni, nonostante il successo indiscutibile di Super Nintendo – che in ultima analisi piazzò a livello mondiale 49 milioni di console contro i 41 di Mega Drive – Yamauchi si trovò alle prese con diversi grattacapi:

  • l’insuccesso di un nuovo progetto di Yokoi in cui aveva creduto molto, il Virtual Boy, talmente fallimentare sul mercato giapponese e statunitense da non essere neanche rilasciato in Europa
  • la progressiva trasformazione della brillante Silicon Graphics, con cui stava collaborando per lo sviluppo di una console incentrata sull’elaborazione di grafica tridimensionale, in quello che Businessweek definì “una confraternita universitaria di ubriaconi”
  • le ripercussioni della causa antitrust contro Nintendo intentata (e vinta) dalla Federal Trade Commission e il malcontento degli sviluppatori, che si trovavano “motivati” a sviluppare per i competitors Sega e Sony

 

Nel 1995 Yamauchi utilizzò l’annuale Shoshinkai Exibition per annunciare l’imminente lancio della nuova console a 64-bit incentrata sulla grafica tridimensionale, nome in codice “Ultra 64”, e per sviare l’attenzione dal fallimento del Virtual Boy e la mai avvenuta materializzazione di un supporto CD per il Super Famicom, promesso per anni.

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Il Nintendo 64 fu rilasciato sul mercato giapponese il 23 giugno 1996 insieme al destabilizzante, incredibile Super Mario 64. Semplicemente non esistevano altri giochi del genere all’epoca e il successo fu immediato.

Tuttavia Yamauchi stesso aveva dichiarato che il Nintendo 64 era difficile da programmare e che questo avrebbe limitato lo sviluppo di titoli scadenti, mettendo in fuga i team di programmazione più deboli. La complessità dell’architettura del N64, insieme alla decisione di non adottare un sistema ottico per immagazzinare i dati nata forse dalla frustrante esperienza dello sviluppo del lettore CD per Super Famicom, fu estremamente controproducente: la scarsità di memoria a disposizione scoraggiò molti progetti che le terze parti avevano inizialmente pianificato per la pubblicazione su Nintendo 64.

Una compagnia come Konami, che aveva sempre supportato Nintendo, riuscì a pubblicare 13 giochi su Nintendo 64 nell’arco temporale in cui ne fece uscire più di 50 su PlayStation. Il successo della prima console tridimensionale di Nintendo è quasi interamente merito di titoli sviluppati da Nintendo stessa e da second parties come Rare.

E mentre Square ed Enix, tra le altre, per questioni di spazio e facilità di programmazione spostavano su PlayStation i loro progetti nati su N64, l’intero genere dei giochi di ruolo alla giapponese visse una sorta di secondo Rinascimento, dopo l’epoca d’oro a 16 bit, portando il fumantino Yamauchi a sbottare nel 1999 in una delle sue dichiarazioni più celebri:

“Le persone che giocano ai GDR sono individui depressi che se ne stanno nelle loro stanze buie a giocare da soli”.

Ouch. Si potrebbe scrivere un articolo intero con queste dichiarazioni da samurai di Yamauchi e sul suo temperamento assolutamente poco politically correct già anomalo nel settore dei videogiochi ma completamente alieno per il mondo del business giapponese.

Alla fine dell’epoca i titoli a disposizione per Nintendo 64 saranno 387 contro i 1122 sviluppati per PlayStation. Genkyo Takada, capo dello sviluppo hardware, quasi rispondendo alla dichiarazione fatta da Yamauchi all’inizio della vita del Nintendo 64, chiosò la situazione: “Quando progettammo il Nintendo 64, pensammo che lo sviluppo di giochi avanzati diventasse naturalmente più difficile tecnicamente. Ci sbagliavamo. Adesso abbiamo compreso che è la velocità media di crociera che conta, non il momentaneo picco di potere”.

Nonostante il successo commerciale di Nintendo 64 sia, solo comparativamente, opinabile, la console rappresentò indubitabilmente un punto cardine nell’evoluzione dei videogiochi. Titoli come Super Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time diedero vita ad interi nuovi generi e definirono i cardini dei giochi tridimensionali basati sull’esplorazione, tanto che tutt’oggi non capita di rado di sentire l’espressione “Z targeting” – termine con cui questa meccanica venne introdotta in Ocarina of Time – quando si intende “agganciare la visuale ad un nemico” in un gioco d’azione.

Forte dell’esperienza maturata con Nintendo 64, Yamauchi volle fortemente che la console successiva, nome in codice “dolphin”, ma al secolo Nintendo GameCube, fosse semplice da programmare e, con una ripresa dello spirito Nintendo delle origini, un giocattolo, una macchina dedicata unicamente ai videogiochi e contrapposta alle macchine multimediali (almeno nell’intento) di Sony e della nuova arrivata Microsoft, a proposito dell’ingresso della quale nel mondo delle console Yamauchi volle spendere due parole di cortesia:

“Ci sono tantissime persone che lavorano nel settore ma non sanno nulla di videogiochi. In particolare, c’è una grande compagnia americana che sta sotterrando le software house di soldi. Sembra che immetteranno sul mercato un loro sistema di videogiochi l’anno prossimo, ma vedremo come va a finire l’anno dopo”.

Spesso questa dichiarazione viene citata a memento di quanto Yamauchi si fosse sbagliato sul futuro di Microsoft, una compagnia che – orrore – pagava gli sviluppatori per pubblicare titoli per la propria console, ma bisogna dire che per quanto riguarda il mercato giapponese aveva totalmente colto nel segno. Ad oggi l’impatto di Xbox sul mercato nipponico è totalmente risibile.

Oltre ad assicurarsi che la macchina fosse accessibile per i programmatori esterni, Yamauchi fu inamovibile nel sostenere lo sviluppo di un supporto ottico proprietario e nel volere che GameCube fosse la meno costosa tra quelle presenti sul mercato, in quanto:

“I giocatori non giocano con la console. I giocatori acquistano la console per giocare con un software che gli piace”.

Una dichiarazione lucidissima che mi è tornata in mente quando, alla fine del 2013, Xbox One e PlayStation 4 macinavano numeri incredibili ai rispettivi lanci, senza che ci fosse del software incredibilmente interessante per nessuno dei due sistemi e contemporaneamente, dopo un lunghissimo anno di carestia, su WiiU usciva finalmente il primo titolo da avere “a tutti i costi”, Super Mario 3D World, esecuzione perfetta del genere platform che però non ha certo la forza dirompente di Super Mario 64 o Super Mario Galaxy.

Il 31 maggio 2002 Yamauchi cedette il ruolo di Presidente al Direttore del Corporate Planning, Satoru Iwata, ma rimase comunque tra i Direttori Generali fino al 2005, quando fu costretto al pensionamento dall’avanzare dell’età. Nonostante avesse diritto ad una pensione astronomica (circa 13,5 milioni di €) vi rinunciò completamente, convinto che “Nintendo avrebbe sicuramente trovato un modo più utile di investire quel denaro”.

Dopo l’inizio dell’epoca Iwata e la rinascita di una Nintendo data per spacciata da molti, con il successo di DS e Wii, Yamauchi, detentore di numerose azioni Nintendo, divenne una delle dieci persone più ricche del Giappone. Due anni prima aveva dichiarato:

“Il DS rappresenta un momento critico per Nintendo nei prossimi due anni: se avrà successo ci alzeremo nell’Olimpo, altrimenti sprofonderemo nell’Ade”.

Quando Nintendo fu costretta all’abbassamento prematuro del prezzo di 3DS e WiiU, Yamauchi perse virtualmente 310 milioni di € in quotazioni di borsa. Le sue ultime parole a Satoru Iwata, che ha sempre avuto per l’ex Presidente un atteggiamento di rispetto e deferenza, non devono essere state particolarmente gentili e sono state oggetto di parodie che facevano leva sull’indole leggendariamente poco diplomatica dell’ex Presidente.

Hiroshi Yamauchi morì il 19 settembre 2013, all’età di 85 anni. Il 4 febbraio 2014 Nintendo ha completato un processo di riconfigurazione commerciale, comprando l’ultimo lotto di azioni allocate all’esterno dell’azienda alla famiglia Yamauchi.

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