Hiroshi Yamauchi: come uscì dalla crisi Nintendo del 19838 min read

24 Gennaio 2014 Giochi -

Hiroshi Yamauchi: come uscì dalla crisi Nintendo del 19838 min read

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Come scrivevo, Yamauchi era determinato a percorrere la via dell’intrattenimento elettronico con effetti imprevedibili ai più.

I piani di Nintendo per creare una macchina per l’intrattenimento casalingo iniziarono con un progetto di Masayuki Uemura, direttore capo del Team di Ricerca e Sviluppo 2: originariamente si voleva realizzare un sistema a 16 bit che incorporasse molte delle funzioni di un personal computer e fosse munito di disco rigido, tastiera e lettore floppy disk. Yamauchi non era per niente convinto di questa direzione e spinse il progetto verso una più tradizionale console a cartucce intercambiabili sullo stile di quelle precedentemente prodotte da Atari e Coleco: nella sua visione di uomo comune, tastiere e floppy disk avrebbero spaventato il pubblico di bambini, casalinghe, anziani e in generale chiunque non avesse confidenza con l’informatica, restringendo notevolmente il target di mercato potenziale del prodotto.

Il nome del progetto durante lo sviluppo era “GameCom” ma la moglie di Uemura suggerì che fosse cambiato in “FamiCom”: in giapponese la parola “pasocon” (contrazione di “pasonal compyuta”) indicava il PC e questa macchina, né personal computer né home computer, si sarebbe posta come un “family computer”, per gli amici “famicom”.

Family computer

Quando il progetto Famicom fu ultimato, Yamauchi ne era talmente convinto che promise alla nota catena di elettronici Yodobashi, punto di riferimento dei consumatori nipponici per quanto riguarda l’elettronica, che ne avrebbero vendute più di un milione di unità in un anno, previsione che fu ampiamente superata.

Il lancio dell’hardware, funestato solo da una partita di schede madri con chip non funzionanti, avvenne il 15 luglio 1983, accompagnato dalle versioni casalinghe di tre successi arcade di Nintendo: Donkey Kong, Donkey Kong Jr. e Popeye.


Yamauchi, privo di qualunque background in elettronica o videogiochi, dopo avere tarpato le ali ai progetti “polifunzionali” di Uemura e scelto uno schema di colori “da giocattolo” per la console (bianco e rosso come un cartellone pubblicitario per smart antenna che lo aveva colpito), si convinse che la chiave del successo per la nuova macchina Nintendo fosse il software, i giochi, e che non fossero tanto i programmatori a potere creare dei giochi di successo ma piuttosto i creativi: investì risorse di conseguenza e si prese l’onere di decidere in prima persona quali giochi venissero pubblicati e quali no.

Gli effetti del potere decisionale assoluto sull’intera libreria del NES dimostrarono che aveva un intuito formidabile. Soprattutto per un uomo che aveva dichiarato:

“Ho giocato un solo videogioco nella mia vita, Pong, ed ho odiato ogni singolo secondo dell’esperienza”.

Tuttavia il 1983 è una sorta di annus terribilis per l’industria del videogiochi: sul mercato statunitense avvenne quello che è ricordato come “video game crash of 1983“: un periodo di recessione che vide gli utili prodotti della giovanissima industria dei videogiochi calare da 3,2 miliardi di dollari a 100 milioni di dollari nell’arco di un anno.

La causa principale della crisi fu la proliferazione sul mercato di una quantità impressionante di titoli di scarsa qualità o addirittura non completamente funzionanti durante la seconda generazione di console, che demotivarono gli utenti e trascinò anche Atari, che con il suo Atari 2600 era in quel momento la leader del mercato, sull’orlo della bancarotta. In Giappone questa crisi di mercato passa per questo alla storia come “Atari shock”.

Nonostante la diffusa percezione che l’home gaming fosse un mercato ormai morto negli USA, il successo ottenuto in patria convinse Yamauchi a commercializzare direttamente il prodotto negli States, affidando la nuova divisione americana di Nintendo al genero Minoru Arakawa, invece di delegare la distribuzione nordamericana alla mal ridotta Atari (sarebbe stato un curioso ribaltamento della situazione di pochi anni prima, quando Nintendo era stata il distributore nipponico del Magnavox ).

Nintendo Family Computer

Il lancio della console nipponica sul mercato statunitense operò di fatto un completo risanamento del settore: prima del Famicom, ridisegnato e ribattezzato per l’occasione “Nintendo Entertainment System”, il pubblico era abituato a fare i conti con una pletora di diverse iterazioni dello stesso titolo su sistemi diversi con spiccate differenze di grafica, suono, level design e qualità generale.

Nintendo si poneva in forte contrasto con questa tendenza grazie ad un hardware standardizzato che garantiva praticità, fruibilità immediata e allontanava le brutte sorprese. Un sigillo di qualità era apposto sulle confezioni di software prodotto su licenza ufficiale.

Nintendo sigillo qualitàDietro questo sigillo si celava anche una precisa policy sui contenuti: nel porsi come interlocutore preferenziale delle famiglie, oltre che a garantire il corretto funzionamento del software, Yamauchi scelse di adottare una severa politica di censura su turpiloquio, contenuti di natura grafica o sessuale e tematiche politiche e religiose. I casi più celebri di giochi “censurati” su console Nintendo sono forse il porting di Maniac Manson della Lucasfilm e, in epoca SNES, Mortal Kombat di Midway: entrambi i titoli subirono molte modifiche per potere essere pubblicati sulle console della “grande N”.

Anche se negli anni seguenti compagnie concorrenti come Sega e Sony stigmatizzeranno il presunto perbenismo di Nintendo, attaccandolo direttamente o comunque facendovi perno per presentarsi con un’immagine più “cool” e mirare direttamente alla componente ribelle dell’acquirente adolescente, bisogna tenere presente che fino al 1994 non esisteva alcun organo preposto al monitoraggio dei contenuti dei videogame (come l’odierno PEGI) e la decisione di Nintendo di autoregolarsi per non incappare in questioni legali risulta in ultima analisi soprattutto un atto di buon senso.

Già nel 1988 gli analisti di settore erano concordi nell’affermare che il NES aveva di fatto rivitalizzato da solo un’industria morente. Nel 1990 diventò ufficialmente la console per videogiochi più venduta mai realizzata. Yamauchi era riuscito ad avere il monopolio su un’intera fetta di mercato, come aveva sempre voluto: le terze parti erano le benvenute a sviluppare per NES ma solo ai suoi termini:

  • l’intera produzione delle cartucce era a carico del publisher e doveva essere pagata in anticipo;
  • non era possibile riconsegnare le cartucce a Nintendo in caso ci fossero intoppi durante lo sviluppo;
  • le software house potevano pubblicare solo un numero predefinito di titoli all’anno sulla console (Yamauchi pensava in questo modo di promuovere una maggiore qualità dei giochi. Con un ragionamento simile in seguito dichiarerà di “avere reso il Nintendo 64 difficile da programmare in modo di scongiurare la produzione di titoli scadenti”);
  • i titoli che apparivano su NES non potevano apparire in altri formati prima di un determinato tempo;
  • a Yamauchi spettava comunque decidere se il gioco fosse pubblicabile o meno.

Questi termini severi si dovettero allentare quando la compagnia fu accusata di violazione delle leggi antitrust ed esposta alle indagini della Federal Trade Commission, sezione fiscale del FBI.

A molte software house il comportamento “imperialista” di Yamauchi in merito alla concessione delle licenze di publishing non andò mai a genio e, non appena ci fu una concorrenza commercialmente rilevante per la quale sviluppare, non furono poche le compagnie, Electronic Arts in primis, a fare un sistematico endorsing dei brand rivali. Questo fenomeno, unito ad un certo ritardo nell’immissione sul mercato di una nuova macchina e alla mancanza di un dispositivo ottico per l’archiviazione dei dati, sarà il principale responsabile del passaggio della leadership di mercato da Nintendo a Sony nei tardi anni ’90.

Non furono poche, in ogni caso, le software house che riuscirono a capitalizzare l’immensa (per l’epoca) base istallata della macchina Nintendo: Capcom, Squaresoft, Konami, Enix, Taito, Namco e altre crebbero in quegli anni proprio grazie ai titoli pubblicati per la console e molte iconiche saghe di videogiochi come Final Fantasy, Castelvania e Megaman nacquero su NES proprio come la triade first-party composta da Super Mario, Zelda e Metroid.

Yamauchi giochi famicom

Alla fine degli anni ’80, l’esuberante iniziativa di compagnie giapponesi come NEC e Sega nel fare concorrenza a Nintendo con il lancio di TurboGrafx 16 e Mega Drive, macchine a 16 bit decisamente più potenti del NES, e il supporto che stavano ricevendo dalle terze parti, accelerarono i piani di Nintendo per l’introduzione sul mercato di un successore del Famicom in grado di offrire una qualità audio-visiva paragonabile. Yamauchi non aveva un grande interesse nel rimpiazzare il NES, che già stava nei salotti di milioni di famiglie, con una console che si sarebbe dovuta riconquistare da zero una base installata paragonabile e in quest’ottica aveva rilasciato sul territorio giapponese il Famicom Disk System, un add-on che aggirava alcune limitazioni tecniche della macchina senza costringere l’utente a sostituire la console con un’altra.

Yamauchi Super MarioIl Super Famicom, progettato ancora una volta da Uemura, fu rilasciato in Giappone il 21 novembre 1990, accompagnato da soli due giochi: Super Mario World e F-Zero (dimostrazione tecnica del celebre Mode 7 della console), generando un clamore mediatico senza precedenti.

L’attesa era tale che per evitare l’interferenza della Yakuza e il contrabbando di unità, Yamauchi decise di fare consegnare le console ai rivenditori durante la notte.

I disturbi alla circolazione e alla quiete pubblica che accompagnarono le tre ore in cui le 300.000 unità consegnate al giorno del lancio andarono esaurite furono tali che il governo giapponese fece firmare un accordo a Nintendo nel quale quest’ultima si impegnava a consegnare ai rivenditori i successivi lotti di console esclusivamente durante i fine settimana.

Anche il lancio americano non fu tranquillo: nonostante più di due anni prima Sega avesse lanciato il “Genesis” (nome statunitense del Mega Drive) a 189 $, l’introduzione della console a 16-bit Nintendo a Natale del 1991 fu accompagnata da forti polemiche sul costo della console (200 $ circa) da parte di genitori che vedevano il nuovo hardware come una sorta di truffa di marketing ai danni della famiglia del ceto medio. Più che un accanimento contro la compagnia però questo era il sintomo di una realtà nordamericana in cui ormai giocare “con il Nintendo” era diventato sinonimo di giocare con i videogame.

In questi anni la competizione con SEGA originò una delle più crude e lunghe “console war” della storia dei videogiochi, in cui Yamauchi ebbe modo di dimostrare le sue qualità di leader e di cui parleremo, insieme a molto altro, tra 2 settimane, nell’ultima parte del nostro portfolio su Hiroshi Yamauchi.

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Mercante di parole giramondo. Mentre si dedicava allo studio delle humanae litterae nascosto dentro una giara di rupie, è naufragato sulle coste dell’arcipelago giapponese dov’è scampato alla morte venendo colpito in testa da un funghetto 1UP. Ha divorziato dai carboidrati complessi e benché si possa pensare che sia pigro, tecnicamente è solo impostato in modalità risparmio energetico perché mangia solo cibo ipocalorico.
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