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Alla scoperta dell’ozploitation

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Uno dei film che quest’anno ha fatto più parlare di sé è senza dubbio Mad Max: Fury Road diretto da George Miller, con Tom Hardy e Charlize Theron.
Non solo post-apocalisse, non solo effetti speciali, non solo mezzi di trasporto che non si fermano mai ma anche infinita, sconfinata e rovente Australia. Già, perché è proprio lì, nel Gran Deserto Australiano, che Miller ha girato la sua ultima fatica.

E lo sapevate che i film australiani vengono identificati con il termine Ozploitation?

La storia è bizzarra. L’origine del termine Ozploitation deriva dal documentario di Mark Hartley Not Quite Hollywood: The Wild, Untold Story of Ozploitation!, in cui Hartley traccia le fila della nuova onda di film low-budget girati in Australia – soprattutto horror, ma anche commedie e action – durante gli anni ’70 e ’80.

In tutta questa storia c’entra anche Quentin Tarantino, che aiutò Harley nel suo progetto e che inventò il termine Aussiesploitation, riferito ai cosiddetti B-Movies australiani, spesso infarciti di sesso e violenza. Harley abbreviò il termine e lo sostituì con Ozploitation, definizione con cui oggi ci si riferisce ai film australiani, anche a film ad alto budget, come appunto Mad Max: Fury Road.

E agosto, con le città che si svuotano e il caldo torrido che ci perseguita, è sicuramente il mese ideale per una maratona… agli antipodi.

Film australiani – Vai alla scheda del primo film

Wake in Fright di Ted Kotcheff (1971)


Australia, outback. Nell’immaginaria cittadina di Tiboonda, una sorta di Alice Springs immaginifica, un insegnante e i suoi studenti, grondanti di sudore e infastiditi dalle mosche, attendono il suono della campanella che segnerà l’inizio delle vacanze natalizie. Al drin, gli studenti si dileguano in un attimo e il nostro sogna di dirigersi a Sydney dalla fidanzata surfista. Le cose però non andranno proprio così e, convinto dai locali a scommettere per far passare il tempo, il protagonista perderà tutti i suoi soldi (tranne un dollaro) e sarà costretto a rimanere lì, prigioniero del deserto, la terrà della libertà per eccellenza.

Prendi un intellettuale colto, educato e intelligente e mettilo in un nucleo sociale basato sul potere del più forte, dove per dimostrare di essere veri uomini bisogna bere birra a fiumi, anzi, a torrenti, approfittare delle proprie donne, fare a pugni e sgozzare canguri a mani nude. Questo è ciò che è accaduto al protagonista del film che, complice il caldo, la noia e la birra, si è lasciato andare ai più primitivi degli istinti.

Wake in Fright afferra i bassifondi dell’animo umano e li sbatte con forza sotto il sole cocente d’Australia. È la desolazione del cuore e della mente, un viaggio psichedelico senza luogo e senza tempo, segnato solo dal numero dei boccali di birra, dal ritmo dei colpi di fucile e dalla fortuna roteante di una moneta, testa o croce. Si vince o si perde, in ogni caso, si beve. Oltre che dei suoi vestiti, dei suoi libri, dei suoi soldi e dei suoi occhiali, l’insegnante si spoglia così anche della sua dignità.

Un thriller psicologico con il mostro più spaventoso di tutti: noi stessi. Quando uscì, Wake in fright mise gli australiani di fronte a uno specchio, riflesso di una società inaccettabile. Il film, nonostante una proiezione al Festival di Cannes, venne ben presto ripudiato in patria e non se ne seppe più nulla per trentotto anni. Poi venne ritrovato su un camion diretto al macero, restaurato da Martin Scorsese e onorato nella collana Masters of Cinema dall’inglese Eureka!

Una storia che vale da sola un altro film.
RARITÀ.

Film australiani – Vai alla scheda del secondo film

Long weekend di Colin Eggleston (1978)


Sempre nel periodo della new wave ozploitation, uscì questo film, emblema del rapporto uomo-natura. Un rapporto che in Australia è amplificato, per la conformazione naturale del territorio e per la fauna che lo popola.

Una coppia litigiosa decide di rilassarsi trascorrendo i tre giorni di un weekend lungo in una spiaggia deserta. Appena arrivati, i presentimenti non sono dei migliori, ma loro vanno avanti, imperterriti, senza curarsi della natura che li circonda, inquinando e uccidendo solo per il gusto di farlo. Ma la natura, si sa, è viva. E sa reagire.

Il film, semplice e lineare nella sua costruzione, ha il pregio di saper accumulare una tensione costante utilizzando tutti gli elementi naturali a disposizione, fino alla risoluzione finale, in cui flora e fauna si coalizzano contro gli esseri umani. L’inquietudine è data anche da alcuni elementi surreali ricorrenti, visivi e uditivi, che aumentano quel senso di impotenza dell’uomo rispetto a ciò che lo circonda.
Come Wake in Fright, ancora attualissimo (e ovviamente inedito in Italia).

DA RECUPERARE.

Film australiani – Vai alla scheda del terzo film

Wolf Creek 1 e 2 di Greg McLean (2005 e 2013)


Facciamo un balzo nel presente e arriviamo all’ozploitation oggi. L’Australia è presa d’assalto dai turisti, soprattutto backpackers, che affascinati dalle sue foreste primordiali, dai suoi deserti popolati dai dingo, dalla sua natura selvaggia e ribelle, vanno alla ricerca dell’avventura in the middle of nowhere. E le probabilità di tornare da dove sono venuti diminuiscono drasticamente se, in quel quadrato di nulla, si imbattono in Mick Taylor, all’apparente un rozzo contadino, in realtà un intelligente e sofisticato serial killer.

La storia si ispira a fatti realmente accaduti e ai numerosi casi di persone scomparse che si verificano ogni anno Downunder.

Oltre ai protagonisti in carne e ossa, McLean filma con talento documentaristico la sua madre patria, valorizzandone la sua naturale bellezza e i suoi immensi spazi aperti, per poi ribaltare tutto, appenderci letteralmente a testa in giù e mostrarci il lato oscuro di quella terra senza confini dominata da isolamento e aridità.

Il secondo capitolo mantiene il serial killer protagonista, ma la storia ricomincia da zero e dà vita a un sequel indipendente ancora più spassoso del primo.

Nel film del 2005 abbondano torture e sangue, in quello del 2013 le torture non mancano, ma il vero punto di forza è l’ironia: il malcapitato inglese di turno – catturato dopo un bellissimo inseguimento on the road che strizza l’occhio a Duel di Spielberg dovrà dimostrare al vecchio Mick di conoscere usanze e tradizioni australiane, per conservare le sue dita. E così l’horror, oltre a tenerci incollati allo schermo, ci dà lezioni di cultura generale australiana.

Film australiani – Vai alla scheda del quarto film

The rover di David Michôd (2013)


Quella di The Rover è invece un’Australia più apocalittica, dominata dalla violenza e dall’istinto di sopravvivenza.

Eric (Guy Pierce) è un lupo solitario con un tragico passato. Una banda di giovani teppisti gli ruba l’auto, l’unica cosa che gli è rimasta e, nel tentativo di evitare il furto, Eric ferisce Ray (Robert Pattinson) che resta sanguinante sull’asfalto, abbandonato dai suoi. Eric non demorde e, con in ostaggio il problematico Ray, è determinato a recuperare la macchina e ad uccidere quei maledetti.

Un viaggio tra polvere e bush (così si chiama il paesaggio di arbusti australiano) che è anche un viaggio lontano da se stessi: più che un ritrovamento dell’io, un abbandono di esso in cui però si ritrovano le due anime, quelle di Eric e di Ray, accomunate da un sentimento profondo di collera e rancore.
Ancora una volta la desolazione del paesaggio australiano si fonde perfettamente con la desolazione dell’anima.

Non resta che chiudere le persiane e accendere lo schermo: l’Ozploitation vi aspetta.
Buone visioni!

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