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Dopo Brexit: i patrioti Farage, Cameron e Johnson

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@ Gage Skidmore via VisualHunt / CC BY-SA

Il referendum sul Brexit, che ha sancito la volontà del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, ha dato uno spaccato chiaro della classe politica d’oltremanica. Se in Italia ci lamentiamo molto della classe politica, nel Regno Unito rischiano di essere messi addirittura peggio.

L’eredità politica del referendum lascia un paese diviso a metà fra chi ha votato Remain e chi Leave. Londra, Scozia e Irlanda del Nord vorrebbero a maggioranza restare nell’Unione, Galles e il resto dell’Inghilterra vogliono lasciarla. Come ben sappiamo hanno prevalso i Leave, seguendo leader quali Nigel Farage e Boris Johnson, principali sostenitori dell’uscita del Regno Unito dall’Europa.

Se ancora non sono evidenti tutte le implicazioni che la vittoria dei Leave avrà in futuro (se escludiamo l’immediato crollo della sterlina e le relative conseguenze economiche), la certezza è che i leader che hanno determinato questa situazione si sono dimostrati, per dirla con Christoph Waltz,

come topi che abbandonano la nave che affonda.

Nigel Farage

Leader del partito UKIP e principale sostenitore del Brexit poche ore dopo il voto intervistato dalla ITV ammette che una delle principali promesse elettorali che hanno convinto milioni di britannici a votare Leave non si può mantenere (350 milioni di sterline a settimana attualmente destinati all’UE sarebbero stati investiti su scuola e soprattutto sanità) e pochi giorni dopo si dimette dicendo di “volersi riprendere la sua vita”, dopo aver raggiunto l’obiettivo di riprendersi il suo paese. La realtà è che non ha la minima idea di come gestire l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, e ha pensato bene di lasciare dopo la sua più grande vittoria

Boris Johnson

L’eclettico ex sindaco di Londra sostenitore del Brexit, che tutti davano per prossimo leader del Partito Conservatore si è sfilato per la carica da leader. Scelta inspiegabile e impensabile alla vigilia del voto e anche alla luce dei risultati. Al di là delle dichiarazioni di facciata e della guerra interna ai tories Johnson teme probabilmente le conseguenze del Brexit e non vuole essere lui a guidare l’uscita dall’Unione, affrontandone le conseguenze.

David Cameron

Premier, leader del Partito Conservatore, ha voluto il referendum per riaffermare la sua leadership interna al partito e vincere le elezioni. Già aveva usato l’arma referendaria per rafforzarsi e rafforzare il Regno Unito, con il referendum per l’Indipendenza della Scozia, e gli era andata bene. Sulla Brexit invece ha perso senza appelli. All’indomani della sconfitta si è dimesso, giustamente. Dopo il casino che ha creato è il minimo, ma lascia il paese in balia dell’incertezza assoluta, non volendosi assumere la responsabilità di guidare il Regno Unito fuori dall’Europa.

Partito Laburista

La sinistra in questo momento storico non riesce a organizzarsi e approfittare delle défaillance altrui. Il Partito Laburista britannico non fa eccezione. La maggioranza degli elettori laburisti ha votato Remain, il partito ufficialmente sosteneva la campagna per restare nella UE, ma non si è speso molto per le sorti del referendum. Invece di sfruttare la crisi totale della destra, che è andata completamente in confusione con l’esito elettorale (vedi i tre soggetti sopra citati) i laburisti inglesi hanno pensato bene di attaccare il proprio leader, Jeremy Corbyn eletto a settembre 2015, accusato di non aver fatto granché il Remain. Lo scopo è tutto interno: prendere la sua poltrona sul trono laburista.

Così facendo i politici britannici oltre alla confusione totale hanno raggiunto altri due fantastici risultati di cui Sua Maestà la Regina Elisabetta sarà entusiasta: il rischio dissoluzione del Regno stesso con l’Irlanda del Nord che parla di tornare a far parte della Repubblica d’Irlanda, e la Scozia dove se si votasse oggi la maggioranza della popolazione sceglierebbe l’indipendenza. In più membri importanti del Commonwealth come Australia e Canada hanno manifestato la volontà di uscire dalla sfera di influenza di Londra.

A regnare, oggi, più che la Regina, è l’incertezza. I valorosi “patrioti” artefici di questa devastante pagina della storia Europea e britannica si sono dimessi da incarichi di responsabilità ma rimangono ancorati sulle proprie poltrone, come Farage che non lascerà il Parlamento europeo, continuando a percepire un lauto stipendio. Come sempre, la working class può attendere.

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