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Donne che hanno fatto, e fanno, la storia della politica

Reading Time: 22 minutes

Contenuto aggiornato da Marianna Usuelli

Quali sono le donne che hanno fatto la storia della politica? E quali la stanno facendo ora, ai giorni nostri? Quali hanno occupato posti di comando, quali hanno guidato movimenti rivoluzionari e ispirato popoli e persone? Abbiamo stilato la nostra lista, se avete suggerimenti su come integrarla scrivete le vostre proposte nei commenti o a info@lenius.it.

1. Emmeline Pankhurst

Nata a Manchester nel 1858, è stata la principale esponente delle suffragette, movimento di portata internazionale che all’inizio del novecento si batteva per il riconoscimento del diritto di voto anche alle donne. Nel 1903 la Pankhrust fondò in Inghilterra l’Unione sociale politica e femminile per dare una forma concreta alla battaglia per l’uguaglianza portata avanti dalle donne durante le manifestazioni in strada.

Il suo temperamento audace le provocò in più occasioni diversi problemi: nel 1905 fu incarcerata per essere intervenuta e aver interrotto una riunione del Partito Liberale per chiedere che venisse discusso il tema del diritto di voto alle donne. La battaglia ideologica di quegli anni fu bruscamente sospesa dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ma la Punkhurst non interruppe la propria instancabile attività di propaganda: nel periodo della Grande Guerra viaggiò molto all’estero visitando tra gli altri anche gli Stati Uniti, il Canada e la Russia.

Nel 1918 fece ritorno nella sua Inghilterra quando già il Parlamento aveva esteso il diritto di voto alle donne. Vinta la battagli per l’uguaglianza elettorale, nel 1926 la Punkhurst decise di dedicare il resto della sua vita alla carriera politica fra le fila dei conservatori pur rimanendo un riferimento globale per i movimenti femministi da allora fino ad oggi. Continuerà a dare il suo appoggio alle cause femministe fino al giorno della sua morte, il 14 giugno del 1928.

@BBC Radio 4

2. Sophie Scholl

Tra le donne che hanno fatto la storia della politica, vi è certamente chi ha militato e ispirato movimenti di resistenza, come Sophie Scholl. Sophie Scholl nasce nel 1921 a Forchtenberg in Germania e fu uno degli esponenti di spicco del movimento anti-nazista studentesco “Rosa Bianca”. Dopo l’arresto del fratello nel 1937, sospettato di far parte di gruppi clandestini contrari ad Hitler, matura la propria avversione verso il regime nazista. Nel 1942 entra all’Università di Monaco per avviarsi negli studi per l’insegnamento e qui comincia a frequentare le amicizie del fratello presso la Facoltà di Medicina. Dopo l’arresto del padre a causa di sue aperte dichiarazioni pubbliche contro il Führer, decide di entrare nel gruppo della “Rosa Bianca”, formato da studenti universitari contrari al Terzo Reich.

La loro azione si concentra soprattutto nella diffusione di volantini che incitano alla resistenza non violenta da parte dei cittadini contro le autorità del regime. A causa di una segnalazione degli inservienti dell’università, nel 1943 viene arrestata assieme al fratello mentre distribuiscono di nascosto il loro ultimo volantino. Viene torturata per diversi giorni dai poliziotti della Gestapo e viene dichiarata colpevole dal Tribunale del Popolo. Gli viene inflitta la pena di morte per decapitazione subito dopo l’esito del processo. Nell’ultimo interrogatorio, un uomo della Gestapo che la interrogavae le chiese:

Signorina Scholl, non si rammarica, non trova spaventoso e non si sente colpevole di aver diffuso questi scritti e aiutato la Resistenza, mentre i nostri soldati combattevano a Stalingrado? Non prova dispiacere per questo?

Lei rispose calma e decisa:

No, al contrario! Credo di aver fatto la miglior cosa per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena!

Sophie Scholl rimane un simbolo universale della Resistenza al nazional-socialismo e diversi Paesi hanno eretto monumenti in memoria dei ragazzi della “Rosa Bianca”. La storia e la forza di Sophie e dei suoi amici sono ben raccontati dal film del 2005 “La Rosa Bianca–Sophie Scholl” del regista tedesco Marc Rothemund.

@wikipedia

3. Nilde Iotti

Nata a Reggio Emilia nel 1920, Leonilde Iotti (conosciuta da tutti come Nilde) è stata una partigiana e esponente di spicco del Partito Comunista Italiano nella Prima Repubblica, ed è forse la più nota tra le donne che hanno fatto la storia della politica in Italia.

Rimasta orfana di padre in giovane età, Nilde ereditò il suo attivismo da sindacalista dedicando buona parte della sua vita all’impegno politico. Dopo l’armistizio del’8 settembre 1943 entra nella Resistenza unendosi ai “Gruppi di difesa della donna”. Nel ’46 entra nel Partito Comunista e viene designata come membro dell’Assemblea Costituente per la nuova Carta Fondamentale dello Stato Italiano. Nel frattempo, entra a far parte della dirigenza nazionale del PCI e diventa la compagna del segretario Palmiro Togliatti.

Nel 1948 viene eletta alla Camera dei deputati e riconfermata per diverse successive legislature. Nel corso della sua carriera parlamentare, ha portato avanti diverse battaglie per le donne: fu la prima firmataria di una proposta di legge per istituire una pensione e un’assicurazione per le casalinghe; partecipò attivamente alla battaglia referendaria in difesa del divorzio; promosse la legge sul diritto di famiglia; diede un grosso contributo per far approvare la legge sull’aborto.

Nel 1979 viene eletta al primo scrutinio Presidente della Camera, prima donna in assoluto a ricoprire tale carica. Il suo incarico viene riconfermato per diverse legislature e addirittura nel 1987 ottiene dal Presidente Cossiga il mandato per la formazione di un nuovo Governo. Anche se il mandato si conclude senza esiti, Nilde Iotti rimane al momento la prima ed unica donna nella storia italiana alla quale sia stato affidato il compito di formare un esecutivo.

Nel 1991 declina l’invito di Cossiga per la sua nomina di Senatore a vita, preferendo proseguire il suo mandato come Presidente della Camera. Un anno dopo, comparirà fra i nomi dei possibili successori alla Presidenza della Repubblica proprio dello stesso Cossiga. Nel 1999 si dimette dalla carica di Presidente della Camera fra gli applausi dei parlamentari a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Muore nello stesso anno, lasciando un vuoto incolmabile nella politica del Paese.

@patria indipendente

4. Tina Anselmi

Nata a Castelfranco Veneto (Treviso) nel 1927, Tina Anselmi è stata una donna di grande spessore nella politica italiana. Da giovane, si unì alla Resistenza come staffetta partigiana nella brigata indipendente “Cesare Battisti” e del Comando regionale del Corpo volontari della libertà. Dopo la guerra, diventa sindacalista nel settore tessile e porta avanti la sua militanza all’interno della Democrazia Cristiana. Nel 1968 viene eletta nella Camera dei Deputati e occuperà in maniera continuativa il suo seggio fino al 1992. Nel corso della sua carriera da deputato ha fatto parte delle Commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali, concentrandosi sopratutto sui problemi della famiglia e della donna.

Nel 1976 viene nominata ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale per il governo Andreotti III e diventa il primo ministro donna della storia italiana. In seguito ha ricoperto anche altri incarichi ministeriali: è stata tre volte sottosegretaria al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e due volte ministro della Sanità. Fra i suoi più importanti contributi vanno ricordati la legge per le “pari opportunità” ed è stata tra gli autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel 1981 viene nominata Presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli. Nel 1992 compare fra i nomi dei candidati alla Presidenza della Repubblica, lanciata soprattutto dagli autori della popolare rivista satirica “Cuore”. Nello stesso anno, esce dal Parlamento dopo essere stata iscritta di proposito in un seggio perdente da Arnaldo Fontani, allora segretario della DC. È deceduta nel 2016 e al suo funerale hanno presieduto Pietro Grasso, Presidente del Senato, e Laura Boldrini, Presidente della Camera.

@patria indipendente

5. Margaret Thatcher

Anche conosciuta come “Lady di ferro”, Margaret Thatcher nasce nel 1925 a Grantham ed è tra le prime politiche a cui pensiamo in tema di donne che hanno fatto la storia della politica. Laureata come chimico, lavora nella ricerca scientifica dal 1947 fino al 1951. Grazie ai suoi pregressi studi di avvocato, lascia la carriera scientifica per dedicarsi al lavoro di agente fiscale. Proprio in questi anni inizia il suo impegno politico: trasferitasi a Dartford, si presenta alle elezioni locali sia nel ’50 che nel ’51 senza però riuscire a sconfiggere il candidato laburista. Tuttavia la sua popolarità riesce a strappare al Labour diversi elettori, risultato che la mette in evidenza fra le fila del partito Conservatore. Nel 1959 viene eletta nella Camera dei Comuni proprio coi conservatori. Da qui inizia il successo della sua carriera politica: dal 1970 al 1974 ricopre il ruolo di Ministro dell’Istruzione e delle Scienze per il governo Heath e nel ’75 arriva alla leadership del partito scalzando lo stesso Heath.

Nel 1979 porta il Partito Conservatore alla vittoria delle elezioni e viene nominata Primo Ministro, incarico che ricoprirà per ben tre mandati fino al 1990. Proprio durante il suo decennio di potere si consolida il suo appellativo di “Iron Lady”: la Thatcher prese in mano le redini della politica inglese puntando su un forte sentimento nazionalista e abbattendo le barriere istituzionali alla creazione per un libero mercato privo di qualunque controllo da parte dello Stato. Forte del suo decisionismo e del suo apparente buonsenso, è riuscita a realizzare un programma di completa deregolamentazione di lavoro e mercato del capitale, con anche la privatizzazione delle industrie che lo stato britannico aveva nazionalizzato dopo la guerra per rilanciare l’economia. Ha inoltre promosso una campagna personale contro il socialismo in economia, allineandosi alla linea di pensiero condotta dal Presidente americano Reagan. Alcuni storici parlano di una vera e propria “purga thatcheriana” riferendosi alle politiche economiche e le posizioni promosse dalla Thatcher. L’atteggiamento nazionalista con cui aveva promosso il proprio programma politico portò l’Inghilterra anche in una guerra contro l’Argentina per il controllo isole Falkland nel Pacifico.

La carriera politica della Thatcher si conclude nel 1990 con le sue dimissioni da Primo Ministro dopo diversi contrasti formatisi col partito dei conservatori dovuti alle sue riforme fiscali e il suo remare contro il progetto della nascente Unione Europea. Dopo le dimissioni, ha ricoperto il ruolo di consulente per la Philip Morris ed è rimasta uno delle più autorevoli commentatori della politica inglese fino agli anni 2000. Scomparsa lentamente dalla vita pubblica, nel 2013 i famigliari danno notizia della sua morte a causa di un ictus che l’ha colpita nella stanza di un albergo di Londra.

@wikipedia

6. Donne che hanno fatto la storia della politica: Golda Meir

Figura di spicco della politica israeliana e prima donna in assoluto a ricoprire la carica di primo ministro dello Stato di Israele. Nasce a Kiev nel 1898 come Golda Mabovitz da una famiglia di ebrei ucraini. Perseguitati dal regime dello zar, la famiglia fugge nel 1906 negli Stati Uniti a Milwaukee nel Winsconsin. Nel 1921 si trasferisce col novello sposo in Palestina in un kibbutz dove inizia la sua vera a propria formazione politica e il suo primo impegno nella causa israeliana. Nel 1924 si trasferisce con la famiglia a Gerusalemme, dove diventa segretaria dell’Unione delle Donne Lavoratrici e si scrive al neonato partito dei lavoratori che poi confluirà nel partito laburista israeliano. Con la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, grazie alle sue conoscenze familiari negli Stati Uniti, comincia a raccogliere fondi per la promozione per lo Stato Indipendente di Israele. Nel 1948, anno ufficiale della nascita di Israele, torna in Palestina e diventa uno dei membri del Consiglio Provvisorio di Stato, nonché firmataria della dichiarazione d’indipendenza.

Dal 1948 in poi ricoprirà molti importanti incarichi istituzionali: Ministro del Lavoro, Ministro degli Esteri e anche candidata Sindaco per i laburisti per la città di Tel Aviv. Nel 1955, sotto richiesta di Ben Gurion, uno dei padri fondatori israeliani, lei e altri dirigenti politici cambiano il proprio cognome per dargli un’assonanza più “ebraica”: con una certa contrarietà, Golda adotta il cognome “Meir” per cercare di mantenere il più possibile la vicinanza al cognome “Meyerson” del marito nel frattempo defunto. Nel 1963 le viene diagnosticato un linfoma e nel 1966 si dimette dal suo incarico di Ministro degli esteri pur mantenendo il suo seggio alla Knesset, il Parlamento israeliano. Nel 1968 decide di tornare attivamente in politica per evitare la spaccatura del partito laburista. Sotto la sua leadership, la sinistra israeliana riesce a vincere le elezioni e Golda viene nominata Primo Ministro. Diventa così la prima donna a ricoprire la più alta carica dello Stato israeliano.

Molto ben vista dagli altri leader internazionali, Nixon in primis, ha un rapporto molto conflittuale con la stampa estera. Probabilmente proprio per questo motivo matura un profondo sentimento di amicizia col giornalista italiano Indro Montanelli, col quale manterrà i contatti fino anche agli ultimi anni di vita. Il temperamento duro e intransigente della Meir si manifesterà appieno dopo i tragici fatti di Monaco ’72. Al tempo Primo Ministro, Golda si rifiuta categoricamente di trattare coi terroristi di “Settembre nero” che tengono in ostaggio gli otto atleti israeliani. Data la fermezza del governo israeliano, la polizia federale tedesca tenta un blitz per liberare gli ostaggi ma i terroristi reagiscono con violenza compiendo un massacro. La vendetta della Meir e di Israele si consuma ben presto nel segreto: sotto suo ordine, gli agenti del Mossad israeliano riescono a rintracciare e uccidere i responsabili della strage di Monaco. L’operazione passerà alla storia come “Collera di Dio”. Nel 1974 Golda Meir rassegna le proprie dimissioni dopo le forti accuse di inadeguatezza dopo le gravi perdite subite l’anno precedente dopo l’attacco a sorpresa di Egitto e Siria durante la festività dello Yom Kippur. Malgrado un’inchiesta interna avesse sollevato la Meir da qualunque responsabilità, non riusce a superare lo smacco subito e decide di ritirarsi dalla vita politica attiva all’età di 76 anni. Muore nel 1978 dopo essersi arresa alla leucemia in lunga una battaglia durata dodici anni.

@Government press office

7. Indira Priyadarshini Nehru-Gandhi

Nasce a Allahabad nel 1917 ed è figlia di Jawaharlal Nehru, figura di spicco nella lotta dell’India dall’Impero Britannico. Studia proprio in Inghilterra dove conosce il marito Feroze Gandhi, del quale prenderà il cognome. Tornata in India e svolto la gavetta politica come assistente del padre nel frattempo diventato Primo Ministro. Alla morte di quest’ultimo nel 1962 viene nominata Ministro dell’Informazione e delle Telecomunicazioni con il governo Shastri. Nel 1966 viene nominata Primo Ministro e avvia un programma di modernizzazione del Paese, con tanto di industrializzazione dell’economia e riforme sociali. Le nuove politiche di rottura col passato suscitano la forte opposizione dei conservatori, provocando la scissione del Partito del Congresso in due tronconi: uno progressista e uno conservatore. In campo internazionale, ha lavorato per intrattenere buoni rapporti con l’URSS ed è riuscita a rafforzare il ruolo dell’India come potenza regionale.

Malgrado godesse di ampio supporto politico, le riforme di Indira non portarono i risultati sperati nella lotta alla povertà e il processo di modernizzazione non si rivelò così attuabile nella sua interezza. Ad influenzare i risultati negativi furono anche gli alti costi sostenuti per mantenere lo sforzo bellico nella terza guerra indo-pakistana, che portò l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan, e il conseguente esodo di profughi in India. Il 1975 è uno degli anni più neri della gestione Gandhi: un tribunale la giudica colpevole di brogli elettorali e la condanna all’interdizione dai pubblici uffici per sei anni; nello stesso periodo, forti spinte secessioniste attraversano tutto il Paese e, per tutta risposta, il Primo Ministro proclama lo stato di emergenza adottando diversi provvedimenti autoritari e di censura nei confronti delle opposizioni e dei giornalisti. Vengono sospesi i diritti civili e promulgate leggi speciali per rendere inefficace la sentenza che rendevano Indira ineleggibile.

Alle elezioni del 1977, prevedibilmente, il suo partito viene sconfitto e lei è costretta anche a scontare diversi giorni di galera. Uscita dal carcere, si riorganizza e in breve tempo riesce a fondare un nuovo partito: l’Indian National Congress. Nel 1980 si presenta alle elezioni con la sua nuova creatura e riesce a vincerle. Viene nuovamente nominata Primo Ministro e si trova subito a dover gestire una situazione difficile: deve sedare la rivolta del movimento estremista sikh che vuole ottenere l’indipendenza del Punjab indiano, Stato nella parte nord-ovest del Paese. Per rispondere alle minacce secessioniste, Indira decide di ricorrere all’esercito che espugna il Tempio sacro dei sikh. Ne segue una violenta e sanguinosa occupazione che porta anche a un bombardamento che causa la morte di molti oppositori politici. Indira Ghandi viene assassinata nel 1984 dalle sue guardie del corpo di origine sikh, desiderose di vendetta dopo i massacri conseguenti all’occupazione.

@U.S. Embassy New Delhi

8. Haydée Tamara Bunke Bider

Tra le donne che hanno fatto la storia della politica dalla parte della rivoluzione, non possiamo che citare Haydée Tamara Bunke Bider.

Più nota come Tania la Guerrigliera, Tamara Bunke è nata nel 1937 a Buenos Aires da genitori comunisti tedeschi scappati dal nazismo. Assieme a Che Guevara, col quale ha condiviso l’ultima battaglia, rimane una delle icone rivoluzionarie più importanti della storia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la famiglia tedesca esiliata in Argentina fa ritorno nella Germania dell’Est decisa a vivere gli ideali socialisti. Qui Tamara studia e si interessa molto delle vicende dell’America Latina, in particolare di Cuba.

Nel 1960 ha l’occasione di fare da interprete a Che Guevara ospite all’Università di Lipsia per una conferenza. L’anno successivo parte per Cuba per andare a lavorare come interprete e si impegna anche nella lotta all’analfabetismo andando ad insegnare nei villaggi più isolati. Comincia inoltre a partecipare attivamente alle iniziative rivoluzionare della Cuba di Castro. In queste occasioni entra sempre più a stretto contatto con Ernesto Che Guevara per il quale svolgerà anche lavori di spionaggio che lo aiuteranno ad arrivare in Bolivia per la sua ultima impresa rivoluzionaria. Nel ’66 mentre si trova in Messico, riceve la tessera del Partito Comunista Cubano firmata da Fidel Castro in persona.

Alla fine dello stesso anno raggiunge il Che in Bolivia e si occupa del reclutamento e spostamento dei nuovi volontari per la causa della rivoluzione boliviana. Nel 1967 cade in un’imboscata assieme al suo distaccamento e perde la vita al guado Puerto Mauricio sul Rio Grande. I racconti rivoluzionari narrano che il Che, saputo della sua morte, soffrì al pari della perdita di un parente. I resti del suo corpo vennero rinvenuti solo nel 1998 e deposti nel Mausoleo di Che Guevara in una bara avvolta dalla bandiera cubana.

@wikipedia

9. Donne che hanno fatto la storia della politica: Eva Peron

Ultima di cinque figlie nate da una relazione illegittima, Evita (Eva) Maria Ibarguren Duarte nasce a Los Toldos, vicino Buenos Aires, nel 1919. A 15 anni si separa dalla famiglia e si trasferisce a Buenos Aires per vivere il suo sogno da attrice. Grazie al successo ottenuto con una trasmissione radiofonica, partecipa ad un festival di raccolta fondi per le vittime di un terremoto e qui incontra quello che sarà il suo futuro marito: il colonnello Juan Domingo Peron. I due cominciano una relazione e si sposano nel 1945. Peron era uno dei generali che partecipò al colpo di Stato contro il presidente Ramon Castillo nel 1943 ed era rimasto ai vertici del governo post-golpe come Ministro della Guerra e successivamente ministro del Lavoro. Le sue iniziative a favore dei sindacati e degli operai gli portarono numerosi consensi e inaugurarono quello che verrà successivamente identificato come “movimento peronista”. Nel 1945 fu costretto a dimettersi a causa dell’opposizione interna all’esercito e venne arrestato. I lavoratori scesero immediatamente in strada per chiedere la sua scarcerazione. Peron fu presto liberato e si presentò alle elezioni del 1946 vincendole.

Pur essendo un estimatore di Franco e Mussolini, non instaurò una dittatura repressiva ma attuò comunque un programma di nazionalizzazione e promosse molte iniziative a favore dei lavoratori. Accanto a lui in ogni occasione, c’era sua moglie Eva Peron sempre più popolare agli occhi del popolo argentino. Grazie alla sua posizione di first lady, promosse diverse riforme in favore delle donne operaie e si occupò di mantenere buoni rapporti con la Chiesa Cattolica. Fu grazie a lei che nel 1947 le donne argentine ottennero il diritto di voto. Nello stesso anno promosse la legge che equiparava i diritti civili e politici delle donne a quelli degli uomini.

Nel 1948 nacque anche la Fondazione Eva Peron, da lei presieduta, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle fasce più deboli e povere della popolazione. L’attività della Fondazione consisteva nel distribuire ogni anno enormi quantità di macchine per cucire per favorire l’occupazione femminile, nel sostenere le famiglie più bisognose, nel trovare e creare alloggi per anziani e donne, nell’ospitare nelle case-scuola moltissimi bambini, nel costruire ospedali. Nel 1949 fonda il Partito Peronista Femminile, con l’obiettivo di creare una struttura solida per portare avanti le battaglie delle donne argentine. Nel 1950 le viene diagnosticato un tumore all’utero. L’anno successivo il marito vince nuovamente le elezione e lei rimane al suo fianco per tutta la campagna elettorale, malgrado il suo corpo fosse già notevolmente debilitato a causa della malattia. Muore nel 1952 e il suo corpo imbalsamato rimane esposto fino al 1955, l’anno del colpo di Stato che depone il marito.

@wikipedia

10. Wangari Maathai

Wangari Maathai, anche conosciuta come la “signora degli alberi”, è nata a Nyeri in Kenya nel 1940. Ottiene la cattedra di veterinaria all’università di Nairobi appena dopo essersi laureata in scienze biologiche. È stata la prima donna keniota a laurearsi e a ricoprire un incarico tanto importante. Dal 1981 al 1987 è stata la presidentessa del Consiglio nazionale delle donne del Kenya. Nel 1977 ha fondato il movimento “Green Belt Movement, un’organizzazione incentrata sulla salvaguardia dell’ambiente e il miglioramento della qualità della vita delle donne.

La crescita dell’organizzazione è rapidissima: alla fine degli anni ottanta, vengono coinvolte più di tremila donne e le sue iniziative vengono esportate dal Kenya anche in Tanzania, Uganda, Malawi, Lesotho, Etiopia e Zimbabwe. Dall’anno della sua fondazione, il movimento ha piantato più di 51 milioni di alberi lungo tutto il continente africano per combattere la desertificazione e contrastare il deterioramento del terreno. Sono oltre 30 mila le donne a cui è stata insegnata la silvicoltura, la lavorazione degli alimenti e l’apicoltura. Nel 2004 Wangari Maathai viene insignita del Premio Nobel per la Pace “per il suo contributo ad uno sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace”. Muore nel 2011 all’età di 71 anni a causa di un tumore dopo anni di battaglia.

@lorena pajares

11. Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi è stata leader dell’opposizione al regime militare dell’attuale Myanmar, insignita del premio Nobel per la pace nel 1991.

Nata nel 1945 a Rangoon, ex capitale del Myanmar (già Birmania), Aung San Suu Kyi è figlia del generale Aung San, considerato “padre della nazione” in quanto combatté per una Birmania libera dal coloniasmo britannico. Ucciso nel 1947 da un gruppo di paramilitari dell’ex premier poco prima che riuscisse a formare un governo, Aung San sopravvive negli ideali della figlia grazie alla madre, che occuperà il seggio del marito nel primo parlamento della Birmania indipendente e nel 1953 diventerà la prima Ministra del social welfare birmano.

Negli anni sessanta, Aung San Suu Ky studia filosofia, scienze politiche e economia a Nuova Delhi e successivamente a Oxford. Intanto, a partire dal 1962, in Birmania si instaura una dittatura militare caratterizzata dalla violenta repressione degli oppositori e di qualsiasi forma di protesta. La figlia di Aung San rimpatria dopo quasi vent’anni, nel 1988, e inizia subito il suo impegno politico contro la dittatura, che la porterà a fondare nello stesso anno la Lega Nazionale per la Democrazia. Ma l’attivismo della leader è continuamente ostacolato dal regime, che l’anno dopo le impone gli arresti domiciliari, condizione a cui la donna dovrà sottostare a più riprese per diversi anni.

Le elezioni del 1990, le prime da 30 anni, vedono la netta vittoria della Lega Nazionale della Democrazia, ma la giunta dei militari rifiuta il risultato elettorale e estromette Aung San Suu Kyi dal suo stesso partito. Divenuta il simbolo dell’opposizione non violenta al regime militare, l’anno successivo viene insignita del premio Nobel per la pace (che ritirerà solo nel 2012), attirando l’attenzione dell’opinione pubblica globale. Nel corso degli anni successivi, sotto la pressione internazionale, il governo lentamente approva delle riforme che vanno verso una democratizzazione e una liberalizzazione del Paese. Ma si dovrà aspettare 20 anni prima che a Aung San Suu Kyi sia concessa dal regime la completa libertà nel 2010.

Due anni dopo, la leader si candida alle elezioni parlamentari suppletive. Il parlamento rimane ancora dominato dai sodali dell’esercito, ma la Lega Nazionale per la Democrazia guadagna consensi e visibilità, che la porteranno a guadagnare il 70% dei voti alle elezioni del 2015, considerate le prime elezioni libere del paese.

Nel 2016, Aung San Suu Kyi è nominata Ministra degli Esteri e, poco dopo, consigliera di Stato. Da allora si è visto un netto calo della sua popolarità a causa delle violenze perpetrate dall’esercito birmano contro la minoranza musulmana dei Rohingya, condannate dalla comunità internazionale.

Tuttavia, alle recenti elezioni di novembre 2020, la Lega Nazionale per la Democrazia ha incrementato i propri seggi mantenendo la maggioranza assoluta in entrambi i rami del parlamento.

Foto | UN Geneva

12. Angela Merkel

Angela Merkel dal 2005 è la cancelliera tedesca, prima donna a ricoprire tale ruolo in Germania.

Prima di tre figli, Angela Merkel, nata Angela Dorothea Kasner, nasce ad Amburgo nel 1954 da un pastore luterano e un’insegnante di inglese e latino. La famiglia si trasferisce lo stesso anno a Templin, nello stato di Brandeburgo. Merkel cresce quindi nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca) a 80 km a nord di Berlino. A 19 anni comincia a frequentare l’Università di Lipsia, dove si laurea a pieni voti in fisica. Prosegue poi gli studi in chimica quantistica, conducendo un dottorato a Berlino e continuando successivamente a fare ricerca.

È alla fine degli anni ottanta, quando la DDR comincia a vacillare, che si avvicina a un gruppo liberale per poi aderire al neonato partito Risveglio Democratico dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. Il suo pigmalione è Lothar de Mazière, l’ultimo presidente del consiglio della Repubblica Democratica Tedesca, di cui Merkel diventa portavoce nel 1990. Ma a condurla sul proscenio è Helmut Kohl, principale artefice della riunificazione delle due Germanie e primo cancelliere della Germania unita nel 1990. Nel 1991, Angela Merkel viene nominata Ministra per le donne e i giovani e, tre anni dopo, Ministra per l’ambiente e la sicurezza dei reattori.

Divenuta segretaria generale della CDU (Unione Cristiano Democratica della Germania) nel 1998, in seguito a una serie di scandali di corruzione all’interno del partito, Merkel prende strategicamente le distanze dalla vecchia classe politica facendosi leader di una rinascita della CDU e diventandone nel 2000 la Presidente. Spesso paragonata alla Thatcher per essere stata la prima donna a guidare un partito conservatore dominato da uomini, la Merkel tuttavia non ricalca gli stereotipi maschili, non nasconde le sue incertezze, è prudente e meditativa, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Mutti” (mamma) da parte della popolazione tedesca.

Nel 2005 Merkel forma la sua prima grande coalizione e succede a Gerhard Schröder nel ruolo di cancelliera federale. La sua politica tende a una maggiore deregolamentazione economica rispetto alla vecchia CDU ed è caratterizzata dalla ricerca di una rinnovata alleanza transatlantica e da un forte europeismo. Nel 2011, durante il suo secondo mandato, si pone come leader a livello internazionale nella gestione della crisi greca e nel sostegno alle decisioni di politica monetaria di Mario Draghi.

Durante la crisi dei rifugiati del 2015 dovuta alla guerra in Siria, Merkel prende delle scelte poco popolari con una forte determinazione, decidendo di accogliere un milione di profughi nel territorio tedesco. Secondo Matt Qvortrup, professore di scienze politiche all’Università di Conventry e autore di una biografia sulla cancelliera tedesca, “la Germania sotto la Merkel è diventata uno stato social liberale basato su valori ecumenici e cristiani”.

Tra le politiche contemporanee, forse è quella che rimarrà più impressa nel tempo tra le donne che hanno fatto la storia della politica. Per dare la misura dell’importanza di Angela Merkel nel panorama politico mondiale, basti dire che durante gli anni della sua presidenza si sono succeduti 4 presidenti degli Stati Uniti, 5 primi nistri britannici, 4 presidenti della Repubblica Francese, 7 presidenti del consiglio italiani. E poi c’è tanto tanto altro.

Nel 2019 Merkel ha appoggiato la candidatura della sua connazionale Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea. Nel 2018, dopo la sconfitta nello Stato tedesco dell’Assia, aveva annunciato che non si sarebbe ricandidata per il quinto mandato nel 2021. Sarebbe una sorpresa se non rispettasse l’impegno preso.

Foto | EU2017EE Estonian Presidency

13. Christine Lagarde

Christine Lagarde è la prima presidente donna della Banca Centrale Europea (BCE). Eletta nel novembre del 2019, guiderà le decisioni di politica monetaria dell’Eurozona fino al 2027.

Lagarde nasce a Parigi nel 1956, da due professori: il padre insegna inglese e la madre letteratura latina, greca e francese. Prima di 4 fratelli, la giovane Christine cresce a Le Havre e si distingue per il suo talento nel nuoto sincronizzato, che la porterà a vincere a 15 anni la medaglia di bronzo ai campionati nazionali. All’età di 21 anni, si laurea in scienze politiche a Aix-en-Provence e prosegue gli studi nella capitale con un master in inglese e uno in diritto d’affari. Nel 1981, trasferitasi negli Stati Uniti già da alcuni anni, Lagarde è assunta nello studio legale multinazionale Baker & McKenzie, dove lavora per 25 anni, diventando la prima presidente donna e non statunitense del consiglio di amministrazione dell’azienda.

All’età di 49 anni, torna in Francia e comincia a dedicarsi alla politica, schierandosi nel centro-destra. Nel 2007, con l’elezione alla presidenza della Repubblica di Nicolas Sarkozy, viene eletta Ministra dell’Agricoltura e della Pesca passando, successivamente, al Ministero dell’Economia, delle Finanze e del Lavoro, affidato per la prima volta nelle economie del G8 a una donna.

Nel 2011, Lagarde si trasferisce nuovamente negli Stati Uniti e, in seguito alle dimissioni di Dominique Strauss-Kahn, all’epoca presidente del Fondo Monetario Internazionale, Lagarde presenta la propria candidatura per ricoprire tale carica. Il 5 giugno dello stesso anno diventa ufficialmente la prima direttrice donna dell’FMI. Durante il suo primo mandato, si distingue per le sue doti diplomatiche durante la crisi economica della Grecia e le riunioni della troika, guadagnandosi la stima di figure a lei politicamente lontane, come Yanis Varoufakis, ex Ministro dell’Economia greco e fermo oppositore delle politiche economiche di austerità, che la definirà “intelligente, cordiale e rispettosa”.

Durante la crisi greca, Lagarde si esprime in maniera critica nei confronti delle politiche di austerità che avevano caratterizzato lo stesso FMI e, verso la fine del suo mandato, prende due decisioni storiche per il Fondo: l’introduzione del renminbi cinese tra le cinque valute di riferimento (insieme a dollaro, euro, sterlina e yen) e una maggiore rappresentazione delle economie emergenti nei meccanismi decisionali dell’istituto.

Qualche mese dopo, Lagarde viene rieletta alla presidenza dell’FMI per altri 5 anni, fino al 2021. Ma nel 2019 Lagarde viene richiamata in Europa per essere candidata alla guida della Banca Centrale Europea, per succedere a Mario Draghi. La scelta di Lagarde come presidente della BCE, nonostante venga riconosciuta la sua autorevolezza e competenza, ha destato varie perplessità per via del suo curriculum più politico e legale che economico.

Foto | MEDEF

14. Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen è la prima presidente donna della Commissione Europea, eletta a dicembre 2019, con termine del mandato al 2024.

Ursula Gertrud von der Leyen (Albrecht da nubile), nasce nel 1958 a Ixelles, in Belgio, da una famiglia tedesca conservatrice. Il padre Erst Albrecht è stato funzionario presso la Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, embrione del progetto europeo, e successivamente alla Cee, la Comunità Economica Europea, istituita nel 1957 col Trattato di Roma.

Ursula nasce l’anno successivo alla firma del Trattato ed è la terza di 5 fratelli. Cresce in un contesto agiato e frequenta la nuova Scuola Europea, dove tutti i figli del nuovo apparato europeo e internazionale che si stava trasferendo a Bruxelles (Cee, Nato, Euratom) venivano educati in tre lingue: inglese, francese e tedesco.

Dopo la laurea in medicina, conseguita a Hannover nel 1991, si traferisce negli Stati Uniti per il lavoro del marito, Heiko von der Leyen, dove è costretta ad abbandonare il suo per dedicarsi ai figli. Ma quattro anni dopo rientra in Germania e inizia lentamente la sua carriera politica nella CDU, il partito demo-cristiano tedesco, dove si presenterà al tempo stesso come figlia dell’eurocrate Ernst Albrecht e fiera madre di 7 figli.

Soprattutto grazie ad Angela Merkel, che vede in lei tenacia e coraggio, prende avvio la sua ascesa politica. Nel 2005, quando Merkel viene eletta a capo della cancelleria federale, Ursula von der Leyen assume il ruolo di Ministra degli affari familiari e della gioventù. Nel 2009 è alla guida del Ministero del Lavoro, dove con determinazione porterà avanti politiche per il welfare, per l’assistenza ai bambini e i congedi parentali retribuiti.

Dal 2013 al 2019 Ursula von der Leyen è Ministra della difesa. Il suo appassionato europeismo – si definisce “prima europea e solo poi tedesca” – ereditato dal padre, la rende agli occhi dell’asse franco-tedesco la giusta candidata alla guida della Commissione Europea. Grazie all’appoggio del presidente francese Emmanuel Macron, oltre che ovviamente della cancelliera Merkel, Ursula von der Leyen viene eletta nel dicembre 2019 alla Presidenza della Commissione Europea.

Il resto è storia molto recente o che deve ancora venire. In un anno segnato dalla pandemia del Covid-19, von der Leyen sta concentrando le energie sulle misure del pacchetto di ripresa Next Generation EU da un lato e sul Green Deal europeo dall’altro, facendosi promotrice di quella che una recente comunicazione della Commissione Europea ha definito “un’unione vitale in un mondo fragile”.

Foto | EU2017EE Estonian Presidency

15. Kamala Harris

Kamala Harris, con la vittoria di Joe Biden alle elezioni del 3 novembre 2020, è la prima vicepresidente donna e non bianca degli Stati Uniti d’America.

Harris nasce a Oakland, in California nel 1964. La madre, Shyamala Gopalan, era una ricercatrice indiana trasferitasi negli Stati Uniti per studiare a Barkeley e suo padre, Donald Harris, un economista giamaicano. Con genitori di sinistra e attivisti negli anni sessanta e settanta, Kamala Harris ha dichiarato spesso di aver partecipato al movimento per i diritti civili “dal passeggino”.

Dopo essersi diplomata in Canada a Montréal, dove si era trasferita con la madre e la sorella, Kamala Harris prosegue gli studi in scienze politiche e economia alla Howard University di Washington e successivamente alla facoltà di legge di Hastings a San Francisco.

Harris sarà la prima donna a ricoprire una serie di importanti ruoli: prima procuratrice distrettuale di San Francisco (2004), prima procuratrice generale della California (2011), prima donna di origine indiana ad essere eletta al Senato (2017). ed oggi prima vicepresidente donna e non bianca degli Usa.

Nonostante la sua determinazione nello sfondare per prima le barriere dovute alla discriminazione di genere, il posizionamento politico di Kamala Harris è ritenuto da molti ambiguo. Se, da un lato, ha sostenuto con vigore la lotta dei sindacati per i diritti dei lavoratori, dall’altro, viene spesso criticata per il suo passato da procuratrice distrettuale in California, durante il quale non si sarebbe schierata con fermezza contro le violenze della polizia, guadagnandosi l’appellativo di “poliziotta” anche per la sua severità nel combattere i reati.
Nell’attuale clima di forte tensione, Kamala Harris ha condannato aspramente le violenze della polizia sui cittadini afro-americani, ma i suoi annunci durante la campagna elettorale riguardo ai provvedimenti contro il razzismo e le discriminazioni sono percepiti da molti con sfiducia.

Tuttavia, Trump l’ha definita la “persona più di sinistra nel Senato” e tra i repubblicani è considerata molto progressista. L’unica cosa certa è che si tratta di una figura dai posizionamenti politici non prevedibili: è radicale sostenitrice di un Green New Deal e di un controllo delle aziende dell’industria fossile ma, ad esempio, rimane molto più moderata sul rapporto con Israele e sull’immigrazione.

Pandemia, crisi economica, violenze della polizia, ambiente, rapporti internazionali: il mondo è in attesa di vedere come si muoveranno gli Stati Uniti su tutti questi fronti. E, forse, si capirà anche chi è Kamala Harris.

Foto | Prachatai

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