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La crisi climatica impatta soprattutto sulle donne

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Si dice spesso che il cambiamento climatico colpisce tutti, senza fare sconti o preferenze. È vero, ma non fino in fondo. Il cambiamento climatico, in realtà, sta rendendo sempre più nette le disuguaglianze economiche e sociali, colpendo soprattutto quelle fasce di popolazione che dipendono, per la loro sussistenza e per quella delle loro famiglie, da risorse e cicli naturali legati a loro volta proprio al clima. L’emergenza climatica, quindi, non colpisce tutti allo stesso modo: le donne, ad esempio, sono più esposte degli uomini alle sue conseguenze.

Secondo quanto riportato nella Risoluzione del Parlamento europeo sulle donne, le pari opportunità e la giustizia climatica approvata nel 2018:

– L’80% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico sono donne.
– Nelle calamità naturali le donne e i bambini hanno una probabilità di morire 14 volte superiore a quella degli uomini.
– Le donne costituiscono il 70% degli 1,3 miliardi di persone che vivono in povertà nel mondo, e i poveri vivono più frequentemente in aree marginali vulnerabili alle inondazioni, agli innalzamenti del livello del mare e ai temporali.

Quali sono le ragioni che stanno alla base di questi dati? Come impatta la crisi climatica sulle donne? Come viene affrontata la questione a livello politico e scientifico?

L’impatto della crisi climatica sulla vita quotidiana di milioni di donne

Come mai il cambiamento climatico colpisce di più le donne? Tra le ragioni vi è il ruolo sociale che ancora oggi molte donne ricoprono soprattutto nei paesi in via di sviluppo e nelle aree rurali dove, a fronte di una quasi totale responsabilità per l’approvvigionamento di cibo e acqua, corrisponde una forte discriminazione in termini di accesso alle risorse e ai beni produttivi.

Secondo la FAO, infatti, nei paesi in via di sviluppo il 43% della forza lavoro del settore agricolo è costituita da donne, percentuale che sale al 90% in Africa sub-sahariana dove le donne, tuttavia, possiedono solo l’1% del terreno arabile. Per il 79% di queste l’agricoltura è la principale risorsa alimentare e di guadagno, e circa due terzi dei 600 milioni di allevatori di bestiame è di sesso femminile .

Nella maggior parte di questi paesi, la responsabilità di far fronte alle esigenze alimentari del proprio nucleo familiare incide negativamente anche sulla salute delle donne, sulla possibilità di ricevere un’istruzione e perseguire le proprie ambizioni.

Una giovane donna va a prendere l’acqua in bicicletta, villaggio di Sorobouly, Boromo, Burkina Faso | climatevisuals.org

In Africa sub-sahariana 14 milioni di donne e 3 milioni di ragazze, per lo più adolescenti, sono costrette a compiere tragitti giornalieri di almeno mezz’ora per andare a raccogliere la legna per cucinare, e prendere l’acqua potabile che verrà poi trasportata in contenitori che pesano, in media, tra i 18 e i 25 chili. Senza contare il rischio di subire violenze o essere rapite durante il tragitto.

Con l’aumento della siccità dovuta al cambiamento climatico, sia la strada che il tempo impiegato per la ricerca dell’acqua sono destinati ad aumentare. A questo si aggiunge un rischio maggiore di rimanere vittime delle ondate di calore o di contrarre malattie quali malaria e Dengue, il cui vettore – la zanzara – a causa dei cambiamenti climatici ha espanso il suo areale e allungato la stagione di attività.

In situazioni di crisi come quelle che si scatenano con i disastri naturali, poi, donne e ragazze faticano ad avere accesso anche ai servizi sanitari ed igienici di base, come quelli necessari ad affrontare il ciclo mestruale, obbligandole a stare a casa e, spesso, ad abbandonare la scuola.

A sottolineare il legame tra clima e genere è anche un recente report dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) che, attraverso l’analisi di più di mille fonti scientifiche e statistiche, ha sottolineato come gli impatti che il cambiamento climatico ha sull’ambiente provochino un aumento della violenza nei confronti delle donne, spesso già costrette a vivere in condizioni di isolamento e privazione.

Il report include i risultati di una serie di interviste condotte in luoghi dove i crimini ambientali sono molto frequenti e, tra le persone coinvolte nell’indagine, sei su dieci avrebbero notato un netto incremento di episodi di violenza ai danni di attiviste per il clima, migranti ambientali, rifugiati e donne che vivono in aree dove i crimini ambientali sono all’ordine del giorno. Tali episodi includono violenza domestica, stupri, induzione alla prostituzione, e sfruttamento minorile.

Ad una riduzione nella disponibilità di alcune risorse fondamentali, quali materie prime e acqua, corrisponderebbe inoltre un aumento dei soprusi nei confronti delle donne. In alcune società poligame dell’Africa orientale, ad esempio, l’organizzazione gerarchica è strettamente collegata all’età: le donne anziane ricoprono posizioni dominanti rispetto alle giovani e possono decidere quanto, quando e chi può accedere al cibo.

Con le risorse alimentari sempre più scarse a causa degli impatti del clima sull’agricoltura e sulle risorse naturali in generale, bambine, ragazze e giovani donne devono allontanarsi dai villaggi e intraprendere lunghi viaggi alla ricerca di cibo, oppure sono costrette a sposarsi giovanissime per uscire dalla precarietà e salvaguardare il restante nucleo familiare che, con una persona in meno da sfamare, ha più cibo a disposizione.

La questione di genere nel dibattito politico e scientifico sul cambiamento climatico

Nonostante queste evidenze, ci sono voluti quasi 20 anni perché la questione di genere entrasse a far parte del dibattito politico e scientifico sul cambiamento climatico. È solo nel 2009, infatti, nel corso della quindicesima Conferenza delle Parti sottoscriventi la Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) che nasce il Women and Gender Constituency, allo scopo di assicurare che le donne fossero incluse nel dibattito sul cambiamento climatico e tenute in considerazione come una delle soluzioni.

Nel 2014, a Lima, viene approvato il Lima work program on gender, uno specifico programma biennale dedicato alla promozione della parità tra uomo e donna, e al raggiungimento di una politica climatica che integri una prospettiva di genere sia nella ricerca di soluzioni concrete che nel dibattito negoziale attraverso l’approvazione di uno specifico Gender Action Plan.

Quest’ultimo viene approvato nel 2017 e sottoposto ad un intricato processo di revisione nel corso della COP25 di Madrid. Prevede una serie di obiettivi e attività in 5 aree prioritarie il cui obiettivo principale è sottolineare e diffondere la conoscenza relativa alla relazione tra clima e genere.

La consapevolezza che esiste un nesso tra le due tematiche dovrebbe, nelle aspirazione del Gender Action Plan, essere ben visibile e tenuto in considerazione nelle modalità in cui la Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico viene implementata, così come nelle attività di tutti gli organi scientifici e politici che ne hanno la responsabilità.

Due donne lavorano in un progetto di agricoltura sostenibile in Kenya | climatevisuals.org

L’ONU sembra dunque aver capito la necessità di rafforzare la partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, compreso quello relativo al cambiamento climatico e questo anche in risposta al fatto che meno del 30% dei rappresentanti degli organismi negoziali sono donne.

A far emergere il dato è il Green New Deal for Europe, un movimento sociale che, per sua stessa definizione, nasce per chiedere un approccio transnazionale e intergenerazionale alla crisi climatica al fine di attuare una transizione giusta, ossia pensata per non lasciare indietro nessuno e che produca piani, politiche e investimenti che portano a un futuro in cui tutti i lavori siano sostenibili e dignitosi, le emissioni nette azzerate, la povertà eradicata e le comunità fiorenti e resilienti.

Lo stesso Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), nel suo Quinto Rapporto di Valutazione pubblicato nel 2014 ha riconosciuto come i cambiamenti climatici colpiscano più duramente la donna e siano suscettibili di allargare il divario e acuire la discriminazione basata su genere, classe, etnia, età e disabilità.

La resilienza delle donne per affrontare la crisi climatica

Come abbiamo visto, dalla violazione dei loro diritti fondamentali ad un aumento della violenza nei loro confronti fino alla privazione di risorse come acqua e cibo, i cambiamenti climatici incidono negativamente sulla condizione già spesso precaria delle donne, in particolare di quelle che vivono nei contesti rurali dei paesi in via di sviluppo.

Eppure, come dimostrato da alcuni casi documentati ad esempio in un interessante report dell’International Labor Office, le donne non sono solo soggetti vulnerabili e se incluse negli organi politici e decisionali, se viene garantita loro la libertà di scelta, di accesso all’istruzione e alle risorse, diventano motore di sviluppo grazie alla loro capacità di adeguarsi all’ambiente circostante fornendo soluzioni innovative alle sfide culturali, sociali, economiche ed ambientali.

E questo grazie anche alla loro capacità di porsi come attori del cambiamento sociale, di costruirsi fitte reti di relazione, e di far emergere una resilienza che affonda le sue radici in centinaia, migliaia di anni di esperienze e conoscenze tradizionali che, spesso, sono collegate proprio all’ambiente naturale.

Tutte qualità che, a bene vedere, sono fondamentali anche per attivare strategie di adattamento al cambiamento climatico. È stato dimostrato che nei contesti in cui vengono implementate politiche a supporto delle donne, sia dal punto di vista educativo che finanziario, e non solo come beneficiari passivi ma come leader e attivatrici del cambiamento, i risultati sono stati positivi al di là di ogni aspettativa.

Ingegnere solare al lavoro nel villaggio di Tinginapu, Orissa, India | climatevisuals.org

Tra i paesi che hanno dimostrato di saper cogliere l’importanza del sapere tradizionale per l’attivazione di progetti di adattamento al cambiamento climatico che potrebbero essere replicabili anche su larga scala, c’è il Timor Este.

Qui le donne sono le custodi del sapere relativo alla selezione delle sementi e sono responsabili della diversità genetica delle colture. Questa conoscenza, unita a quella del clima, dei cicli naturali e delle caratteristiche delle piante, ha permesso alle donne di dar vita a una strategia di adattamento capace di salvaguardare l’agricoltura locale e che tenga conto dei cambiamenti climatici in atto per garantire la continuità della produzione.

Un meccanismo simile viene attuato nelle Isole Salomon, dove le donne sono costrette a combattere contro l’innalzamento del livello del mare e, di conseguenza, con la penetrazione dell’acqua salata nell’entroterra con ovvie ripercussioni sia sull’agricoltura, e quindi sulla disponibilità di cibo per la comunità, che sulla potabilità dell’acqua. In queste isole del Pacifico, grazie alla loro conoscenza dei semi e delle colture, le donne sono in grado di capire come, cosa e quando coltivare la terra e per difendere i loro campi, ed i loro raccolti, usano la loro capacità di prevedere il meteo e la loro conoscenza dei cicli stagionali.

Attraverso un progetto innovativo e lungimirante, e grazie ai fondi dell’Adaptation Fund delle Nazioni Unite, il Governo delle Salomon ha riconosciuto il ruolo centrale delle donne in agricoltura e nella produzione del cibo e ha dato vita ad un progetto finalizzato a formare le donne affinché imparino tecniche di produzione e conservazione dei prodotti agricoli su piccola scala, inclusa la manutenzione dei mezzi di produzione e la gestione di attività imprenditoriali collegate al settore .

Progetti come quello attuato nelle Isole Salomon, in Timor Est e in molti altri paesi in via di sviluppo, dove gli effetti del cambiamento climatico mettono a dura prova intere società, dimostrano come garantire alle donne un’istruzione e un’autonoma capacità finanziaria, assicurare loro il diritto alla salute nonché abbattere le barriere culturali e legislative che spesso si frappongono alla loro totale emancipazione, siano fattori determinanti per attuare strategie che, su piccola e larga scala, potrebbero contribuire attivamente a risolvere la crisi climatica riducendo al contempo la disparità di genere.

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