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“Più forti dell’invidia”: 30 anni di Berlusconi dalla A alla Z

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In trent’anni di Milan Silvio Berlusconi ha sollevato trofei, cantato con Seedorf, speso montagne di denaro e discusso con la polizia a Gijón durante una trasferta di Coppa Uefa, ma soprattutto ha parlato, rilasciando dichiarazioni sul Milan, sul gioco del calcio e sulla vita in generale.

Alfabeto berlusconiano: trent’anni di dichiarazioni sul calcio, dalla A alla Z

A come Anna Frank

C’è anche il celebre Diario tra le misure consigliate da Silvio Berlusconi per combattere il razzismo e la violenza negli stadi. È il novembre del 1992 e, di fronte a episodi di violenza neonazista in Germania e in Europa, anche il calcio italiano si interroga.

Il presidente del Milan ha le idee chiare: «Parole. Parole. Parole. Demagogia. Un abbaiare alla luna senza costrutto e senza risultati. Non nego che l’ondata che viene dalla Germania e dai suoi figli d’arte abbia una base ideologica più forte delle altre, ma anche in questo caso ci andrei piano. Siamo di fronte a piccoli delinquenti comuni. Fra parentesi, sempre i soliti: ieri antimeridionali, oggi antineri, domani antisionisti. Professionisti veraci dell’atto vandalico. Intervenga lo Stato. Si faccia avanti la magistratura. Le questure sanno tutto di questi signori. Li precettino e li tengano lontano dagli stadi: tutti al cinema, la domenica pomeriggio, sorvegliati, perquisiti, circondati. Che vedano lì, su schermo gigante, la partita in diretta. E magari gli regalino anche una copia del Diario di Anna Frank. Sono cose che vado ripetendo dal 1986, solo che nessuno mi dà retta».

Pochi anni prima, d’altra parte, lo stesso Berlusconi, imbevuto di fair-play da diciannovesimo secolo («E poi vorrei che non ci fossero fischi all’annuncio delle formazioni rivali, che San Siro ridiventi lo stadio della signorilità, della classe dello stile, del rispetto»), aveva proposto di bandire da San Siro qualunque tifoseria ospite: «Più che drastica, direi una soluzione seria. Tutto questo dispiegamento di violenza è molto triste. Anche a me piace la contrapposizione delle bandiere, ma forse nel calcio del futuro gli stadi saranno così, con lo spettacolo di colore di una sola squadra. Cosa che succede regolarmente all’estero. È facile decidere con quasi 66.000 abbonamenti alle spalle».

Pur vantando collaborazione con la polizia («L’anno scorso abbiamo regalato loro due macchine da scrivere elettriche, perché non avevano di che redigere i verbali dei facinorosi fermati») e un certo atteggiamento dei propri giocatori I nostri ragazzi non fanno polemiche, non protestano oltre il consentito: chiediamo loro di evitare qualsiasi gesto o frase che possa esasperare la folla. Abbiamo fatto uno spot televisivo contro la violenza e lanciato una campagna con passaggi frequentissimi sui nostri network»), Berlusconi non raccoglie consensi: PCI, MSI e radicali si dichiarano contrari alla proposta.

B come Biscardi

A fine aprile del 1988, a pochi giorni da uno storico Napoli-Milan, fa sapere di non nutrire grande stima per il Processo condotto dall’Aldo nazionale: «Se smettessero di farlo alla Rai, potremmo prenderlo noi, e metterlo al posto di ‘Drive in’, è un programma di grande comicità involontaria».

Cinque anni dopo, messa da parte l’ironia, telefona incazzato in diretta: «La vostra è una trasmissione ignobile. Io mi sono stufato di certi nipotini di Stalin… il vostro è un programma ignobile… professionisti della mistificazione. Mi hanno avvertito mentre mi stavo ancora portando verso casa, mi ha chiamato Mentana, e alcuni collaboratori del Milan. Mi hanno riferito cosa stavate dicendo di me… Le nostre televisioni hanno fatto aumentare il pluralismo, così i telespettatori non devono più assistere a tg lottizzati ed è migliorata anche la qualità dei programmi. Ma non certo del vostro. Il vostro programma non è migliorato affatto».
Poi, passata la rabbia: «Mi sono sfogato. Sa, mi avevano alterato… Biscardi, credo di averle fatto fare uno scoop».

Ne regalerà un altro, nel 2009, ai tempi della telenovela sulla cessione di Kaká, annunciando la permanenza del numero 22 in un tripudio di Tiziani Crudeli in estasi: «Do a te, data l’antica amicizia, una notizia che farà contenti tutti i tifosi del Milan in Italia e all’estero: Kaká rimane al Milan. Dobbiamo dire che è davvero un ragazzo straordinario, perché noi non potevamo che metterci nelle sue mani, non potevamo pensare che un ragazzo restasse qui controvoglia avendo invece la possibilità di andare a guadagnare molto di più, lui ha dato la preferenza a quello che il cuore gli dettava, ha detto che preferisce rimanere al Milan e che rimanendo al Milan non chiederà aumenti contrattuali per i prossimi anni. Io, come è stato per Shevchenko, non è che puoi imporre a qualcuno di restare in squadra controvoglia, il giocatore che è stato vincolato contrattualmente, che guadagna la metà di quel che avrebbe potuto guadagnare, dopo un po’ potrebbe essere portato a non essere felice, a non essere contento, tutti i presidenti come padri dei loro ragazzi non possono vincolare con un contratto chi ha invece per una carriera ancora così stretta come quella di un calciatore, ancora quattro cinque anni nel caso di Kaká, ma io contavo e lo sapevo che Kaká aveva una grande voglia di restare al Milan e Kaká ha pensato e ha detto che i soldi non sono la cosa più importante. Quindi abbiamo la gioia non solo di mantenere con noi Kaká, ma di dire che Kakà è veramente un ragazzo super, un ragazzo straordinario, un esempio per tutti e credo che questa cosa faccia bene a tutti ai tifosi del Milan, ma faccia bene anche a tutti quanti perché può essere portato a esempio di chi crede in qualcosa, crede nell’amicizia, crede nello spirito di bandiera, crede nella società e nel presidente che hanno hanno avuto fiducia in lui e che non rinuncia, non vuole cambiare soltanto per i soldi, credo che bisogna dire “viva Kakà”, è veramente un modello per tutti quanti».

@rainews

C come Crostate

Nel calcio moderno i nemici si annidano ovunque: se il grande merito di Arséne Wenger è stato quello di eliminare i Mars dalla dieta dei giocatori dell’Arsenal, qualche anno prima Berlusconi ha dovuto lottare contro le temibili crostate.

Corre l’estate del 1986 quando il Milan, invitato il Trofeo Gamper, perde in semifinale contro il Barcellona: 3-1, gol della bandiera di Hateley su assist di Wilkins. Il presidente, stupito che dopo riso e filetto i calciatori abbiano concluso con una torta, non ha dubbi sui colpevoli: «Le crostate mi piacciono molto, ma trovo strano che al menu dei calciatori non si applichino certe norme dietetiche. Non c’è una dieta di sostegno idonea allo sforzo che richiede un incontro di calcio. Siamo troppo ancorati alla cosiddetta cucina nostrana che è fatta anche di imbecillità: almeno c’è un punto su cui lavorare. Tutto fa parte di un discorso d’immagine globale. Sarà una sciocchezza, ma a Barcellona, in uno stadio con 120 mila persone, i nostri giocatori avevano le tute nuove ma cinque della panchina, sotto la tuta, magliette vecchie e brutte. Sono dettagli, ma anche a quelli è giusto badare».

Due anni dopo, con lo Scudetto cucito sul petto e l’Ambrogino d’Oro ricevuto dal sindaco Pillitteri, rivendica la sua scelta vincente: «Quando due anni fa a Barcellona esordii col problema della crostata, fui accolto con ironia. In realtà era una dieta da turisti in vacanza, non da atleti. La società voleva risolvere problemi grandi e piccoli perché entrando nel Milan ci eravamo accorti che occorreva una rivoluzione».

Non sono ammesse maggiori libertà per quanto riguarda il bere: nel decalogo consegnato dal presidente a Oscar Washington Tabarez nel 1996 è scritto che “anche il barista di Milanello deve rifiutare di servire una bevanda alcolica a un giocatore, se ne venisse richiesto, sapendo di compiere un’azione utile per la squadra”.

@quotidiano.net

D come Dio

Nel momento in cui sta finalmente per raggiungere la gloria eterna, a un’ora dalla sua prima finale di Coppa dei Campioni, Berlusconi si raccomanda alle divinità: «Mi sono fermato dieci minuti in raccoglimento nella cappella del Nou Camp. Mi vergogno un po’, ma ho chiesto l’aiuto del Dio degli eserciti. Gli ho detto, sfruttando le mie doti di encantador: noi siamo la civiltà religiosa e democratica, noi portiamo benessere; loro, i romeni, hanno portato con il comunismo oppressione e povertà. Hanno perso il loro tempo a studiare Marx. Ecco perché la Steaua ha perso la partita, non solo il tempo: da marxisti atei, a chi potevano raccomandarsi?»

I nemici di Dio e della democrazia sembrano coincidere con i nemici del Milan: nel 1993 Berlusconi arriva a tirare in ballo Robespierre e i suoi scorgendo un «giacobinismo diffuso e una cultura dell’invidia attorno ai successi del Milan. Fenomeni che non si adattano ad un paese democratico e liberale qual è l’Italia. Per tutti l’obiettivo deve essere quello di superare il Milan, ma senza cambiare le regole del gioco».

@todaysport

E come Edilnord

«Ho fatto l’allenatore: la mia squadra, l’Edilnord, vinceva tutto. Un giorno i miei ragazzi si imposero 2-0 contro il giovane Milan di Zagatti. Mio fratello Paolo segnava caterve di gol. Fedele Confalonieri è stato un discreto dilettante. Adriano Galliani stava all’ala destra».

Fondatore e presidente della Torrecalla-Edilnord, Berlusconi non solo tira le righe del campo, recluta i giocatori, cura l’abbigliamento e organizza i ritiri, ma allena anche la squadra. Un patrimonio di conoscenze che, una volta al Milan, non ha paura di utilizzare: a Sacchi, nel 1989, spiega che «siccome eravamo in una situazione d’emergenza, bisognava studiare una soluzione d’emergenza. Beh, se io fossi stato in panchina avrei mandato Maldini e Rijkaard là davanti, sicuramente qualcosa sarebbe successo. Quando allenavo e mi mancava un attaccante, mandavo avanti il più forte della difesa, una carta a sorpresa fuori dal cilindro. Con la fantasia spesso si vince».

Due anni più tardi si paragona a Orrico: «Quando facevo l’allenatore, cambiavo sempre il mediano di spinta durante la partita, perché così garantivo alla squadra un supporto forte e continuo. Mi sembra che anche Orrico applichi gli stessi concetti».

Precursore del turnover («ai centrocampisti facevo giocare solo un tempo, così davano l’anima: erano super per mobilità, pressing e chilometri percorsi»), un uomo di tal fatta non può certo farsi sorprendere dall’avvento del tiki-taka: «Ora si dice “gioco alla Barcellona”, ma io lo praticavo già da allenatore: 24 passaggi corti di fila, mai più lunghi di quattro metri, perché con i cross 9 volte su 10 si perde palla. Contro il gioco dialogato del Barcellona suggerisco di anticipare qualche passaggio con un uomo della difesa. Ho vinto tutti i campionati giovanili e un po’ di esperienza l’ho portata».

@gazzaspace

F come Futuro

Ha visto il futuro e ha visto che funziona.

Le proposte per cambiare il calcio non mancano: dall’abolizione delle squalifiche («Non è giusto che tutta una squadra paghi l’errore di un suo solo giocatore. Credo che una sanzione pecuniaria parametrata agli introiti annui del giocatore sarebbe sicuramente più efficace») alla riduzione della Serie A a sedici squadre nelle stagioni precedenti i Mondiali, dalla moviola in campo («Non usare il supporto televisivo in campo perché non tutti gli stadi sono all’altezza è come non mettere il polmone d’acciaio a Milano perché non lo si può installare contemporaneamente in una città del profondo sud: le cose vanno fatte una alla volta») alla panchina allargata («La panchina allargata è un obbligo, magari bisognerebbe portarci tutti i giocatori, perché la tribuna può indurre stati d’animo negativi. E magari fare quattro cambi invece che due in Coppa Italia») e alle sostituzioni illimitate («Ed è ora di pensare ad altre innovazioni, magari prese dal basket: tempo reale, sostituzioni illimitate, pensate a un Falcao o a un Platini che negli ultimi anni di carriera giocano un quarto d’ora, danno il massimo e poi vengono sostituiti»), senza dimenticare l’abolizione del pareggio («a fine partita, calci di rigore») e poi ancora «il tempo reale, il doppio arbitro, le multe per il gioco scorretto e il rigore da concedersi soltanto nel caso che un possibile gol venga evitato con un fallo».

A volte ha avuto anche ragione, come in occasione della regola che vieta al portiere di raccogliere con le mani un retropassaggio: «Mi dispiace contraddire Capello, ma io condivido questa norma: velocizza il gioco e non credo che avrà come unico effetto quello di spingere portieri e difensori a spedire la palla in tribuna. Inoltre, penso che si dovrebbero istituire due nuove regole. La prima relativa al tempo reale, la seconda ai palloni a disposizione per ogni partita. La norma dice che devono essere solo due, ma io penso che non dovrebbero esserci limitazioni, in modo da evitare perdite di tempo ogni volta che si deve recuperare il pallone finito fuori campo».

Quasi cyberpunk agli esordi (1986: «In tempi strettissimi siamo riusciti a convincere l’Inter e il Comune a dotare l’anello inferiore di San Siro di poltroncine numerate, abbiamo usato un nuovo programma software per trovare la banca idonea per gli abbonamenti, stiamo studiando un biglietto computerizzato per la prenotazione di partita anche a lunga gittata e attraverso il telefono quest’anno si sono abbonati oltre 2000 tifosi milanisti»), non sempre le sue visioni sono diventate realtà: nel giugno del 1993 proclama che «Ruud [Gullit] tornerà da noi, sarà una star della nostra televisione». Cosa ci siamo persi.

G come Giovani

L’illuminazione arriva un giorno di fine luglio del 2009, quando nel Transatlantico di Montecitorio racconta a Umberto Bossi e a un parlamentare democratico-milanista di non voler più comprare trentenni, «anche perché guadagnano molto: punteremo su chi ha meno di 23 anni, giovani ma forti».

Tre anni più tardi non ha cambiato idea e, a chi gli chiede di Sneijder, risponde che «cerchiamo ragazzi che diverranno i campioni del futuro, d’ora in avanti arriveranno al Milan solo giocatori di 22 o 23 anni, non di più».

In fondo è accaduto che «dopo ventisei anni i più grandi campioni per ragioni di età se ne sono andati e abbiamo puntato sui giovani ai quali bisogna dare tempo per essere competitivi e affermarsi. Abbiamo un attacco straordinario di giovani che farà scintille».

Da lì a dare i numeri in campagna elettorale il passo è molto breve: «Stiamo esaminando cento giovani in tutto il mondo, speriamo di prenderne una quindicina per tornare a vincere in Italia, in Europa e nel mondo in poco tempo. La squadra che aveva vinto tutto negli anni scorsi è finita per raggiunti limiti di età. Ora, con i prezzi che ci sono in giro, non possiamo prendere undici top player che richiedono stipendi fantascientifici, quasi da gioco del Monopoli».

Ospite di Barbara d’Urso, non riesce a trattenersi ed esalta Hachim Mastour: «Nel nostro settore giovanile abbiamo un ragazzo di nemmeno 15 anni che è capace di fare canestro con i piedi».

@calciomercato.com

H come Helveg

Anni prima delle barzellette sulle intuibili differenze tra supposte e carciofi, Berlusconi racconta una storiella edificante con protagonista il danese Thomas Helveg, non brillantissimo nel derby del 7 gennaio 2001: «In mezzo alla giungla arriva un uomo, si ferma, estrae dalla custodia il violino, e incomincia a suonare. Un leone si ferma ad ascoltarlo, poi due, poi dieci, poi cento. Ma arriva un altro leone, si avvicina all’uomo e lo divora. Ecco, è arrivato il sordo e il concerto è finito, commenta seccato uno dei leoni vicini. È come con Helveg, entra in campo e spara palloni a destra e sinistra: è la fine del concerto».

@corsport

I come Italiani

Non gli interessano più di tanto, all’inizio: nel 1988 dichiara che «facendo arrivare nuovi stranieri, il miglioramento è scontato» e che comunque «fra pochi anni, nel 1992, non ci saranno più differenze fra i singoli paesi europei. Negare questa realtà, andare contro questo logico sviluppo dei rapporti fra le nazioni, mi sembra totalmente anacronistico».

In fondo ce n’è per tutti: «Non capisco i piccoli club. Ci sono giocatori stranieri che costano poco, che hanno modeste pretese d’ingaggio. Rivolgersi al mercato estero potrebbe risultare un vantaggio anche per loro». Gli italiani, volendo, possono percorrere il viaggio inverso: «Oggi le leggi del mercato privilegiano il mercato italiano, i nostri giocatori guadagnano molti soldi e non hanno alcun interesse a trasferirsi all’estero. Ma anche in questo campo le cose devono necessariamente cambiare»Quando, nonostante il passaggio al tesseramento illimitato di stranieri, viene imposto di presentarne la massimo tre tra campo e panchina, la giudica «una norma contro il buon senso».

Passa qualche anno e Berlusconi riscopre l’italianità: è il 1997 quando annuncia che «il mio sogno è quello di avere una squadra composta da soli italiani da consegnare in blocco alla nazionale come in passato quando c’erano solo tre olandesi. Cercando di pescare anche nelle serie inferiori, con tanti complimenti alla Juve che ha trovato Birindelli in Serie B».

Nel terzo millennio, poi, diventa un tormentone: «Qualora queste trattative non avessero l’esito sperato, andrò avanti con un altro progetto, quello di un Milan tutto italiano. Una sorta di Nazionale italiana in un campionato come il nostro, dove davvero si è ecceduto con gli stranieri, basti pensare che lo scorso anno nella finale di Coppa Italia c’era un solo italiano in campo e che il nostro commissario tecnico azzurro, per fare un attacco competitivo, ha dovuto convocare giocatori oriundi. Spero di costruire un Milan forte che abbia giocatori giovani per poter durare, giocatori italiani e possibilmente giocatori che esprimano la nostra terra lombarda».

In occasione di una visita a Milanello prova anche ad abbozzare una formazione, senza ovviamente risparmiarsi occasionali battute anni Cinquanta: «Abbiamo Donnarumma, tre terzini italiani, anche Calabria è stato chiamato dall’Under 21. In mezzo abbiamo Ely che ha passaporto italiano. In mediana abbiamo Poli, Montolivo e Bonaventura, che io vedo dietro le punte. El Shaarawy non siamo riusciti a convincerlo a fare la punta. Balotelli ha preso un po’ troppo sole, ma è italiano.

L come Lettera

Nella notte del 17 dicembre 1989, con il Milan fresco vincitore della Coppa Intercontinentale, il presidente prende carta e penna e scrive una lettera dove ricorda la sua infanzia di tifoso rossonero in una famiglia della piccola borghesia milanese, dove la domenica si va a messa e poi si mangiano le meringhe sulla tovaglia ricamata.

Il Milan che Berlusconi richiama alla memoria è quello della stagione 1946-47, quando il piccolo Silvio aveva dieci anni: un onesto quarto posto in Serie A dietro a Torino, Juventus e Modena.

 

@gazzettaobjects.it

M come Milan contro Milan

All’indomani della finale di Barcellona la mente è già rivolta a un futuro dove giocare solo contro se stessi: «Nel precampionato saranno abolite le amichevoli con squadre di categorie inferiori, solo incontri di cartello, a cominciare da un suggestivo Milan contro Milan, che possiamo mandare in scena a Padova come a Palermo».

Il sogno sembra prendere forma nell’ottobre del 2014: «Sto lavorando a un progetto che si chiama “Tutto Milan”, una serie di partite da giocare il martedì a San Siro. Una sfida tra un Milan tutto italiano, un Milan azzurro, e un Milan All Stars, composto dai nostri stranieri. La nostra rosa ci consente due formazioni competitive. Il Milan azzurro: Abbiati, Abate, Bonera, Zaccardo, De Sciglio, Poli, Montolivo, Bonaventura, Saponara, Pazzini ed El Shaarawy, più Agazzi, Albertazzi e i vari primavera come riserve con quel Mastour che mi piace moltissimo. Il Milan All Stars: Lopez, Essien, Alex, Zapata, Armero; Van Ginkel, De Jong, Muntari; Honda, Torres, Menez, senza dimenticare Rami, Mexes e Niang. Tra qualche settimana presenteremo questa iniziativa, proponendo anche qualche novità sperimentale come i calci di punizione senza barriera».

N come Nazionale

Tutti ricordano le critiche a Zoff all’indomani della sconfitta con la Francia nella finale di Euro 2000 («Si poteva vincere e bisognava vincere. I problemi riguardano la conduzione della squadra: mi aggiravo come un leone in gabbia per la gravità tattica di quel che vedevo, e quando ancora stavamo sull’1 a 0. Vedevo Albertini galleggiare minimo a quattro metri da Zidane, fonte del gioco avversario. Possibile che solo io l’abbia visto? Era una cosa che non si poteva non vedere, anche un dilettante l’avrebbe vista»), seguite da una rettifica non troppo convinta («Non ce l’ho con Zoff in persona. Volevo solo dire che c’è stata una scelta sbagliata, cattiva, sciagurata, quella di impostare in quel modo la marcatura su Zidane») e accolte malamente da centrosinistra, centrodestra e Giulio Andreotti («A me non piace fare il Cacasenno»).

Ma il presidente del Milan aveva iniziato a dispensare consigli sulla nazionale già nel febbraio 1990: «Se il Milan continuerà su questa strada ottenendo magari successi nelle tre competizioni è necessario che qualcuno si chieda se la Nazionale deve essere la squadra che abbiamo visto finora oppure se l’ipotesi di attingere a piene mani dal Milan non abbia molto più senso. Non ce l’ho con Vicini. Non voglio intralciare il suo lavoro. Lavoro? Beh, lavorare è un’altra cosa. Vicini non ha il tempo necessario per dare alla nazionale un gioco vero. Il Milan questo gioco ce l’ha. Qualcuno si è divertito a vedere Olanda-Italia? Io no. Un’Italia che vuole fare bella figura ha bisogno di idee diverse. Esigo che la mia opinione sia trattata con rispetto, non con reazioni offensive».

Il popolo apprezza e non dimentica: nel 2014, in un sondaggio di Agorà, Berlusconi con il 28% dei consensi batte Grillo (20%) e Renzi (15%) come commissario tecnico ideale degli azzurri.

O come Orazio

Quando non produce in prima persona le parole adatte, Berlusconi va a pescare nel repertorio di citazioni latine. Nella notte di Barcellona, vantandosi di conoscere il latino meglio di Peppino Prisco, proclama ai giornalisti che, come insegna Quinto Orazio Flacco nelle Odi, «nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus», ma che comunque dall’indomani i rossoneri torneranno a navigare il vasto mare, «cras ingens iterabimus aequor».

Si affida alle pagine dell’Ars poetica, invece, dopo una sconfitta interna con la Roma risalente al novembre del 2006: «Quandoque bonus dormitat Homerus», a volte anche il bravo Omero si appisola, può capitare anche al Milan.

P come Pettinatura

Oggi vediamo giocatori con tatuaggi e strane pettinature, in passato io controllavo personalmente anche il nodo della cravatta prima di un’intervista in tv.

Quella per i capelli e la barba è una vera e propria ossessione: hanno dovuto ascoltare i suoi consigli di stile Ronaldo («è giovane, ha solo 30 anni e credo che la cura del Milan gli faccia molto bene; gli ho consigliato di farsi crescere i capelli e di togliere il pizzetto»), Allegri («si pettini prima di andare a fare le interviste»), Pato («l’ho trovato bene, ha cambiato anche pettinatura, significa che ha voglia di ricominciare»), Ibrahimovic («Zlatan, si tagli i capelli»), El Shaarawy («magari se cambiasse anche la pettinatura, però così è riconoscibile anche per i vecchietti come me»; «il ciuffo riempilo di cose pesanti così ti viene normale abbassare la testa e il tiro va basso»), Cerci («mi ha fatto già un promessa, si taglierà la barba per la prima partita»).

Q per Qui pro quo

Capita a tutti di scambiare un giovane centravanti per il procuratore della Repubblica di Roma: «Ho voluto venire a dare i miei auguri al signor Galliani e al nostro allenatore e a tutti i ragazzi, mi sono tenuto vicino per una mezzoretta i nuovi, a partire da Poli e Saponara, che mi sono piaciuti molto, e anche i due ragazzi, Cristante e Pignatone mi sembra, che vengono dalla Primavera».

Quando le persone non vengono scambiate, poi, possono essere (con)fuse e diventare un’unica creatura, come capita a Maxi Lopez e Mesbah: «Abbiamo il ragazzino dal cognome egiziano che è un campioncino, e poi il centravanti che abbiamo preso dal Lecce è un centravanti vero, combattivo, uno tosto”.

R come Real Madrid

La squadra della capitale spagnola è il vero modello da raggiungere fin dagli inizi, già nel 1988: «A chi assomigliamo? Forse al Real Madrid ma noi siamo meritocratici, loro cooperativistici». Quel Milan ha già però poco da imparare dalle merengues: «Oggi invidio al Real solo un giocatore, Michel. La loro politica di attaccamento ai loro atleti, che restano nel club dall’inizio alla fine della carriera dà ottimi risultati e mi sento di condividerla».

A volte qualcuno dimentica e c’è bisogno di prendere carta e penna: «Confermo, scriverò una lettera, sarà un regalo ad Ancelotti e a Galliani: scripta manent. La mia non è stata una dichiarazione improvvisata, è giusto non parlare al manovratore, ma un presidente soprattutto se capisce di calcio come me, dà una filosofia. Il Milan è come il Real Madrid, deve sempre attaccare».

Solo una cosa Berlusconi continua a invidiare agli spagnoli, uno stadio intitolato a un celebre presidente: «Il Milan è la squadra che ha vinto più trofei al mondo, più del mitico Real Madrid di Bernabeu, al quale è stato dedicato addirittura uno stadio» (giugno 2010); «Guardate me, quando ho comprato la mia squadra ho deciso di renderla la prima al mondo. Ed è successo, Bernabeu ha vinto metà dei trofei che ho vinto io» (aprile 2011); «i 26 trofei già conquistati sotto la mia gestione hanno fatto del Milan la squadra più titolata al mondo e hanno fatto di me il presidente che nella storia del calcio ha vinto di più, dopo di me il presidente che ha vinto di più è il grande Bernabeu del Real Madrid e gli spagnoli riconoscenti gli hanno intitolato lo stadio della capitale» (maggio 2011); «Bernabeu, il numero due della storia del calcio, ha vinto la metà dei trofei che ho vinto io e a lui i tifosi hanno dedicato lo stadio. A me basterebbe che mi dedicassero un’ala, una piccola iscrizione nello stadio di San Siro in cui si dice: «Il Milan ebbe a vincere tutte queste cose sotto la presidenza Berlusconi. Mi accontenterei di questo» (maggio 2011); «Voglio ricordare che sono il presidente che ha vinto più di tutti nel calcio. Il secondo è Bernabeu che ha vinto la metà dei miei trofei…» (novembre 2011),

@cno-webtv.it

S come Spettacolo

«La mia convinzione è fortemente legata al concetto di spettacolo: più si riesce ad esprimere il senso dello spettacolo, in questo senso applicandolo al calcio, e più il livello si eleva».

Il nuovo presidente del Milan, abituato alla televisione, scopre con orrore di dover affrontare anche squadre che non sono il Real Madrid: «Il calcio va sempre più verso una dimensione televisiva, in questa ottica a noi in Coppa Italia ci toccano ancora il Licata e il Campobasso. Con tutto il rispetto ritengo sempre valida l’idea che debba essere potenziato il calcio ad alto livello, con più scontri tra le grandi squadre»; d’altra parte «io stesso vado allo stadio perché faccio il mestiere di presidente, sono un co-protagonista obbligato del fenomeno calcio e come tale vi partecipo. Ma sapendo di poter vedere una certa partita in tv preferirei in certi casi stare tranquillamente a casa a guardarla, esattamente come succede con la Nazionale o le partite di coppa».

Per non annoiare il telespettatore, però, bisogna cambiare: «Il calcio è troppo uguale a se stesso, mi ricorda l’opera, il melodramma».

@sportmediaset

T come Taumaturgo

Non guarisce dalle scrofole, ma un tocco del presidente può fare molto in uno spogliatoio: «Dicono che una mia stretta di mano trasformi un giocatore, gli regali un entusiasmo incredibile, lo porti a comportarsi diversamente in campo».

U come Urrà

Il grido di battaglia lanciato in una visita a Milanello: «Per El Shaarawy: hip hip urrà, hip hip urrà, hip hip urrà urrà urrà. Per Cerci appena arrivato: hip hip urrà, hip hip urrà, hip hip urrà urrà urrà. Per un Milan vincente nel mille, nel duemilaquindici: hip hip urrà, hip hip urrà, hip hip urrà urrà urrà».

@gazzetta.it

V come Vicino alla porta

L’unico posto dove valga la pena stare, almeno per un attaccante. Berlusconi ci riflette una notte del 2008, mentre fa baldoria al Lotus con amici del nipote di un amico costruttore: «Devo dirlo ad Ancelotti: Ronaldinho è uomo da area. Deve stare in mezzo all’attacco e fare movimento, procurare rigori. È un peccato farlo partire dalla fascia sinistra. Poi si sa che sulla sinistra ci stanno i comunisti…».

Poi tocca a Pato, che al tempo di Leonardo gioca «troppo a destra» e che con Allegri si avvicina alla porta, ma mai abbastanza, perché la porta è un po’ come l’utopia di Galeano, per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. «Pato deve stare di fianco a Ibra, deve giocare più vicino alla porta. Per far gol è l’unica regola che conosco, altrimenti si va incontro a risultati negativi. Per noi è essenziale e non lo vendo per nessuna cifra. Nemmeno al Barça. Ma dev’essere lui il primo a convincersi che deve giocare più vicino alla porta».

Passano gli anni, cambiano gli attaccanti, ma la porta non è mai abbastanza vicina: «Balotelli deve imparare a fare la prima punta, stare più vicino alla porta e segnare. Per vincere bisogna fare gol: un giorno voglio incontrarlo e spiegarglielo».

@gazzetta.it

Z come Zaccheroni

«Mi viene in mente un personaggio della mia giovinezza, che si chiamava Lizzola. Era un bravissimo sarto, e aveva per motto, a proposito della buona stoffa: attenzione a che sarto la dai… Agli schemi credo fino ad un certo punto. L’allenatore serve per tenere unito il gruppo, e alta, tra i giocatori, la voglia di vincere… Poi, la bravura di un allenatore risiede nella capacità di leggere la partita, e di introdurre in corsa i cambiamenti necessari».

Pochi giorni dopo Berlusconi smentirà di essersi riferito all’allenatore del Milan nell’intervista al settimanale Rigore: «Invito a leggere con attenzione il testo dell’intervista che ho rilasciato a Paolo Franchi. Chi è in buona fede si renderà subito e inequivocabilmente conto che il discorso sul sarto a cui affidare la buona stoffa e gli altri sui compiti degli allenatori riguardano, per ammissione esplicita dello stesso intervistatore, tutta la categoria e non specificatamente un singolo allenatore, tanto meno Zaccheroni».

A San Siro, intanto, comprare uno striscione: «Questo allenatore con questa stoffa ha cucito uno scudetto».

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