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Vecchie console, nostalgia e design

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@Tom Newby

La forza con cui un oggetto inanimato è capace di muovere sensazioni in noi è sorprendente.

La facciata scalcinata di un palazzo d’epoca, un brutto soprammobile, un oggetto qualunque abbandonato su un balcone altrui: in un momento specifico di un giorno specifico la luce li colpisce in modo diverso e la vita di questi oggetti, spiata da una crepa, ci stringe in un laccio sentimentale, ci spinge a fantasticare sugli eventi di cui sono stati testimoni silenziosi, ci sprofonda in un sentimento simile alla nostalgia per una vita mai vissuta.

Questa qualità suggestiva delle realtà materiali, riconducibile ad una proiezione della nostra sensibilità, diventa esplicita e ridondante nel caso delle console, oggetti la cui funzione principale è a ben vedere proprio quella di evocare mondi, come implicato in sede di marketing da nomi come Dreamcast o tagline quali Live in your world, play in ours.

@Fjölnir Ásgeirsson

Il fortuito incontro con un Super Nintendo in ritiro dal mondo sullo scaffale di un negozio di retrogaming fa brillare gli occhi del gamer romantico non solo perché si tratta di un oggetto dal design estremamente piacevole e riuscito, già di per sé emblematico di tutta un’elettronica anni ’90 (e quindi, di riflesso, di quegli anni), ma anche perché è stato il portale per innumerevoli avventure virtuali vissute quando la vita era più semplice e autentica. Oppure non lo è stato affatto, ma avrebbe potuto esserlo in una vita potenziale e ulteriore in cui eravamo altri da noi ma pur sempre noi.

Il pad con i caratteristici quattro tasti colorati, avvolto nel suo stesso cavo, parla tacitamente al nostro immaginario del pomeriggio natalizio in cui abbiamo aggiunto la fatidica stellina 96 al save di Super Mario World. Del giorno piovoso in cui i nostri genitori ci hanno riaccompagnato al negozio di videogiochi perché la cartuccia di Secret of Mana non funzionava e siamo tornati a casa con Super Metroid al suo posto. Della notte lunga eppure brevissima in cui insieme ad un amico copilota abbiamo combattuto e conquistato la Master Sword per la prima volta. Dei sei mesi in cui, seppure malati, abbiamo vissuto infinite avventure e visitato infiniti mondi, senza mai davvero lasciare il letto e il fidato pigiama.

Le vecchie console sono nostalgia allo stato puro.

Una declinazione ancora più fantasmagorica di questa nostalgia viene solleticata, almeno per quanto mi riguarda, dalle console che non ho mai posseduto o magari neanche mai maneggiato per dieci minuti.

Vecchie console: Wondermega

Trovarsi a sfogliare oggi, nel 2015, una vecchia rivista di videogiochi con le inserzioni dei negozi specializzati pubblicizzanti macchine relativamente oscure e di nicchia, diciamo il Neo Geo per esempio, porta con sé il ricordo potenziale di anni vissuti in modo diverso, anni altri, per di più ricamati attraverso la filigrana della sensibilità suggerita dal design delle console stesse, e tutta un’antologia di sogni retroversi sui titoli che avrei giocato, le edizioni che avrei collezionato e il genere di classici che avrei assaporato.

Ed è dolce naufragare in questi pixel.

JVC sferrò un colpo micidiale al mio giovanissimo cuore quando nel 1992 commercializzò Wondermega, unità che combinava in un unico pezzo Sega Mega Drive con il suo lettore ottico dedicato Mega CD. Con le sue linee retro-futuristiche, più che una console sembra un apparecchio elettronico che Creamy potrebbe utilizzare nella sua cameretta per riprodurre dei video musicali olografici. O un MAG, quei fidati assistenti robotici che ci accompagnavano nei meandri delle rovine di Phantasy Star Online.

Victor rilasciò il sistema negli Stati Uniti con il nome di X’eye e un design rivisto (non sto nemmeno a sottolineare che fu impossibile migliorare la perfezione) ma noi europei, come spesso accadeva a quei tempi, rimanemmo a bocca asciutta. E per un bambino di dieci anni, era davvero un sogno impossibile importare una console da Oltreoceano, in un mondo di Internet primordiale e fax.

Il lettore ottico di Wondermega aveva dei led colorati che non avrebbero sfigurato su un mecha di Robotech, il font ufficiale con cui veniva scritto il suo nome richiamava smaccatamente quello di Ys o di Phantasy Star 2 e tra gli accessori in dotazione c’era una vera tastiera musicale: in questa console la quota stilistica e commerciale dell’elettronica giapponese di fine anni ’80 è espressa al punto tale che potrebbe sembrare un omaggio postumo o una parodia…

La seconda iterazione, rilasciata da Victor sul mercato giapponese nel 1993 (e malauguratamente basata sul design della versione americana), aggiungeva addirittura i controller wireless, una feature davvero fantascientifica per i tempi, che aumentava ancora di più la sensazione che il marchingegno si fosse materializzato da una tavola di Haruhiko Mikimoto o Kosuke Fujima.

Vecchie console: Sega Mark III

Anche il Sega Mark III, commercializzato qualche anno prima, nel 1985, costituisce per gli occhi del videogiocatore occidentale una bellezza piuttosto esotica: pochi di noi ci hanno avuto a che fare. Il design è sostanzialmente quello con cui l’immaginario collettivo degli anime di fantascienza anni ’80 rappresentava le console del futuro. L’idea platonica di console sci-fi. E, a differenza di Wondermega, Mark III è stato effettivamente un MAG di Phantasy Star Online.

MAG Phantasy Star Online

Questa proto-console Sega nasconde tuttavia una storia meno complessa di quella del suo discendente di design spirituale: si tratta semplicemente della versione giapponese del Sega Master System, che qualche eminenza grigia ha deciso bene di ridisegnare prima del suo rilascio in Occidente. Perché, perché cambiare il sublime con il turpe, deliberatamente?

Videogiocatori europei, figli di un dio minore… Un giorno ci sarà una poesia anche per noi, come canta Elisa.

Un affaire simile si riproporrà con il redesign utilitaristico e razionalista del Super Nintendo per il mercato nordamericano, ma da quel crimine di design noi europei ci salveremo in corner, pagandone pegno con orribili bande nere e una velocità di segnale nettamente ridotta.

Vecchie console: Nintendo PlayStation

Sarà che mi lascio incantare dalla luce che filtra dal mondo parallelo in cui, sul finire degli anni ’90, questa scatoletta minimalista è entrata effettivamente in vendita ma trovo che anche la mai commercializzata Nintendo PlayStation, in pratica un Super Nintendo dotato di un’unità ottica sviluppata da Sony, abbia un design in grado di rievocare da solo tutta un’epoca perduta. Semplice e amichevole, è la console che la Apple degli anni ’90 avrebbe realizzato se la Apple degli anni ‘90 avesse deciso di realizzare una console.

Ne vorrei una, anche non funzionante, da tenere in casa solo per coltivarci fiori o erbe aromatiche nello slot delle cartucce ed esporla su una mensola della cucina, da ammirare a guisa di teschio amletico mentre contemplo in che mondo vivremmo se questa idea avesse lasciato il brodo primordiale dei prototipi e avesse iniziato a camminare.

Per altro l’unità che è stata surrealmente ripescata dal mondo dei quanti negli scorsi mesi funziona perfettamente ed è gelosamente custodita dai suoi possessori, con buona pace di chi gridò alla truffa e al falso storico.

Vecchie console: PocketStation

Non una vera console, ma più una sorta di add-on, fu la puccettosa PocketStation, ibrido tra memory card e micro-console ispirato da realtà preesistenti come la VMU di Sega Dreamcast e il benedetto Tamagotchi.

Alcuni giochi per PlayStation (e, curiosamente, Final Fantasy VIII e SaGa Frontier 2 mantengono queste caratteristiche anche nella loro versione localizzata, nonostante la mai avvenuta commercializzazione di PocketStation in Occidente) avevano delle funzioni aggiuntive accessibili tramite PocketStation: da piccoli diversivi per arricchire l’esperienza di gioco a veri e propri mini games che era possibile giocare fuori casa, e il progresso nei quali forniva aiuti e incentivi per il gioco principale, un po’ come accade oggi con le “companion app” per smartphone che accompagnano a volte il lancio di giochi di alto profilo commerciale.

Anche il design di PocketStation evoca un mondo e un modo di intendere l’elettronica di consumo: si tratta in pratica di un razzo costruito dai tamagotchi per tornare sul loro pianeta madre o di un parente stretto del congegno con il quale Andrea misurava la compatibilità romantica tra Mirko e Licia. Con anche qualcosa dello specchietto magico di Stilly. Insomma: un accessorio indispensabile ma assolutamente frivolo, un po’ da maghetta. Un vero peccato che Sony abbia deciso di non commercializzare questo buffo congegno in Occidente nonostante il successo travolgente in patria.

Vecchie console: Neo Geo X

Al polo opposto dello spettro del design, il Neo Geo X non aveva nulla di giocattoloso. Per l’osservatore moderno è istintivo rintracciarvi retroattivamente alcune linee di PlayStation Portable e iPhone: il suo aspetto esteriore cerca inequivocabilmente di identificarlo come un congegno di intrattenimento per adulti, persone tech-savy appassionate di gingilli elettronici all’avanguardia. In realtà si trattò di una meravigliosa stranezza e, da splendida farfalla che era, ebbe vita tragicamente breve.

Da bambini forse conoscevate qualcuno con un Neo Geo. O qualcuno che conosceva qualcuno con un Neo Geo.

Contemporaneo di Mega Drive e Super Nintendo, questo sistema casalingo aveva un costo appena superiore al milione di Lire e utilizzava di fatto le medesime cartucce presenti nei cabinati da sala giochi della SNK, ognuna a sua volta con un prezzo variabile tra i 200 e i 500 $. Magari eravate proprio voi quel bambino che ho sempre immaginato giocare alla versione arcade-perfect di Fatal Fury 3 seduto sul suo trono di soldi… E lungi da me biasimarvi anche solo per un istante.

Otto anni dopo che la produzione hardware di questa plutocratica macchina dei sogni era stata interrotta, quando la nostalgia per un’epoca e una sensibilità ben precisa nell’intendere i videogiochi era al suo massimo storico, SNK tirò fuori dal cappello questa eccentrica versione portatile del suo storico hardware, ora estremamente più accessibile, che veniva venduta con una ventina di giochi preinstallati e il supporto per le schede SD.

Il dettaglio che più alimenta le mie fantasie di retro-possesso sta nel fatto che la piccola unità portatile veniva venduta assieme ad un dock di carica con le fattezze di un originale Neo Geo AS che poteva essere collegato alla tv, munito di un arcade stick di tutto riguardo con il quale giocare quando si utilizzava la console in questa modalità casalinga. Che amore.

Chissà se i piani di Nintendo per NX sono per qualche verso simili?

Purtroppo lo scarso successo commerciale, dovuto anche al fatto che i giochi SNK erano ormai disponibili su una varietà di altre piattaforme, fece sì che la produzione del Neo Geo X venisse interrotta già l’anno dopo, nel 2013.

Sperando di avervi fatto struggere almeno un po’ e avervi fatto fantasticare su vite videoludiche parallele, vi lascio con un’idea: viste le feste ormai alle porte, se tra le persone che vi stanno più care c’è un giocatore un po’ romantico, perché non regalargli proprio un frammento di nostalgia imprigionato in una di queste scatole del tempo? Quale occasione migliore delle feste di Natale per un regalo del genere?

In un gioco infinito di echi e rimandi sarà contemporaneamente la mattina di Natale 2015 e Natale 1989. E infinite altre mattine natalizie.

Assieme alla console (o al gioco, il gadget) potreste incartare qualche rivista di videogiochi d’annata, dei retro-snack della vostra infanzia (anche della vostra infanzia non vissuta), magari cercare su YouTube gli spot pubblicitari originali e tenerli a portata di mano su tablet o telefono da mostrare al momento della consegna del regalo per amplificare la forza evocativa del vostro oggetto inanimato. E poi fare piani per condividere tutta questa meraviglia e questa nostalgia insieme. Indossando una vostra t-shirt degli anni ’90 e rimanendo in piedi tutta la notte.

Ci sono poche cose che battono la sensazione di aprire uno scrigno pieno di tesori salvati da un’altra vita possibile. Parlo per esperienza personale.

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