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Un sociologo a Natale

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@Hect

Un sociologo a Natale ha poche chance. Anzi, praticamente due: assumere un atteggiamento radicale e chiudersi a riccio in un ermetismo consapevole oppure chiudere a chiave in un cassetto anni e anni di formazione e vivere il Natale come se niente fosse.

Il sociologo radicale

Analizziamo la prima situazione. Il nostro sociologo ha deciso che quello che ha studiato ha un senso. Di conseguenza il Natale non ce l’ha. Il Natale è un nemico. Il Natale va boicottato con ogni mezzo.

Va denunciata l’ipocrisia di una società che, crogiolandosi nella mondanità delle messe di mezzanotte, finge di non capire cosa significhi che Maria dovette dare alla luce Gesù in una mangiatoia perché non c’era posto per loro negli alberghi.

Il sociologo qui si guadagna l’inimicizia di sei generazioni di parenti e l’accusa di pesantezza di tutti gli amici che conosce (compresi gli iscritti al Partito Comunista dei Lavoratori) sostenendo continuamente che il liberal-cattolicesimo è riuscito a trasformare una storia di marginalità urbana in un misto indigeribile tra pedagogia della compassione e marketing virale.

Inaspettatamente però il sociologo radicale eviterà di sostenere la teoria di Gesù rivoluzionario palestinese (che pure sembra corretta da un punto di vista letterario). Di fatto è una figura la cui esistenza è dubbia e non è il caso di legittimarla.

Eviterà anche di elencare i posti dove nascerebbe Gesù oggi (a Lampedusa, in un CIE, in una banlieue, in un campo rom, di nuovo a Betlemme che va sempre bene perché è in Palestina) perché innanzitutto cadrebbe di nuovo nel tranello di legittimarne la prima presunta nascita e secondo non vuole fare brutte figure nel caso decidesse poi di nascere in via Monte Napoleone o a Wall Street per dare un messaggio ai potenti della terra.

Infine, solo e abbandonato da tutti, il sociologo radicale si troverà a vagare ramingo per le vie illuminate della città, maledicendo se stesso per la propria intransigenza e sfogandosi a manganellate contro tutti i Babbi Natale che gli capitano a tiro.

Il sociologo farfallone

Nel secondo caso il sociologo fa finta di non esserlo. Nega anni e anni di formazione e recita la parte di un essere innocente e inconsapevole, regredendo ad un’infanzia remota. L’8 dicembre, puntuale, fa l’albero e scrive una lettera a Babbo Natale chiedendo in dono un completo di Marx and Spencer o un barbecue Weber.

@kurainisei

Si comporta come se tutto fosse autentico e non frutto di cerimonie e rituali prefissati. Si commuove quando il Tg riporta la notizia del pranzo di Natale con i poveri a cui hanno partecipato 157 cittadini tra cui 154 candidati Sindaco.

Assiste eccitato all’apertura dei regali da parte del nipotino, che stremato piagnucola perché al 720esimo pacco scartato non ha ancora trovato il plastico del Solar Sailer, senza il quale non può inseguire Magor nelle terre remote di Gorm.

Intanto accetta senza battere ciglio le continue lamentele di tutti i parenti sull’eccessiva portata del pranzo natalizio (pure il dolce!?) mentre in tv danno un documentario sul Natale al Kilimangiaro dove 7.500 bambini si devono sfamare con un agnello e due meloni.

Passa sopra con nonchalance anche alla proposta dello zio che, sotto l’effetto di 14 bicchieri di uno spumante imbevibile che ha ricevuto col pandoro da un datore di lavoro di quando fece l’impiegato in una ditta di elettrodomestici da giugno a settembre del 1982 (a giugno e luglio l’ufficio chiuse per Mondiali e ad agosto per ferie ma lo zio continua a ricevere pacchi perché i colleghi hanno attribuito al suo arrivo la vittoria dell’Italia), convince tutti ad andare a vedere il Cinepanettone.

“è un’idea originale e di grande portata culturale” è la risposta alla domanda “e il nostro sociologo, cosa ne pensa?”. Già, perché per quanto nessuno sappia realmente di cosa si occupa c’è l’idea diffusa che il sociologo debba avere un’opinione su tutto. Salvo poi non essere libero di esprimerla, pena la solitudine eterna espiata in caso risponda con radicalità (cioè con sincerità).

È così che il nostro sociologo farfallone è costretto a trascorrere 13 ore nel traffico per 47 minuti di film i cui autori, già sa, risponderanno alle accuse di pochezza dicendo “è quello che vuole la società”.

Ma lui, entusiasta, a cena dirà che in fondo hanno ragione, che è quello che vogliamo e che il film era fichissimo. Se è il prezzo che bisogna pagare per vedere una volta all’anno Le dodici fatiche di Asterix, allora non c’è coerenza sociologica che tenga.

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