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Rugby e tradizione: guida al Sei Nazioni 2017

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È una delle competizioni sportive più antiche e al tempo stesso una delle più giovani. Sicuramente, è tra le più ricche di fascino e tradizione. Ed è un’occasione clamorosa per il rugby e per lo sport italiano. Il Sei Nazioni 2017 è la diciottesima edizione del torneo nato ufficialmente nel 2000 quando gli azzurri fecero il loro ingresso nel club ovale più elitario dell’emisfero Nord.

Se si intende il Cinque Nazioni, però, il torneo risale al 1910 con l’ammissione della Francia. Ancor prima, le nazioni erano quattro (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda), e si sfidavano fin dal 1883 nel cosiddetto Home Nations Championship. In pratica, quando in Italia regnava Umberto I e non era arrivato neppure il calcio, loro già giocavano a rugby.

Il Sei Nazioni 2017 (qui il calendario completo) inizia il 4 febbraio con Scozia-Irlanda al Murrayfield di Edimburgo e finisce il 18 marzo con Irlanda-Inghilterra all’Aviva Stadium di Dublino, probabilmente decisiva. Come sempre, girone unico di cinque turni solo andata, con il vantaggio di giocare un incontro casalingo in più che si alterna di anno in anno: stavolta l’Italia disputerà tre match in casa e due fuori, nella prossima il contrario, e così via.

Campione in carica è l’Inghilterra, che con il Grand Slam 2016 (vittoria di tutte e cinque le partite) ha messo fine a un biennio di dominio irlandese a sua volta preceduto da un back-to-back del Galles. La Francia non vince il torneo dal 2010, la Scozia ha vinto vari Cinque Nazioni ma non ha mai sollevato il trofeo nella versione a sei, così come l’Italia.

Il nuovo punteggio

La più importante novità di quest’anno è l’assegnazione dei punti partita. Abolito il sistema classico (2 punti per la vittoria, 1 per il pareggio e 0 per la sconfitta), si passa al sistema internazionale (4, 2 e 0 punti), con 1 punto bonus a chi segna almeno 4 mete e a chi perde con uno scarto di 7 punti o inferiore. Nel Sei Nazioni, inoltre, chi completa il Grand Slam avrà 3 punti extra per garantirsi il primo posto, perché d’ora in poi, con la presenza dei bonus, potrebbe accadere che una squadra che vince tutte le partite non risulti prima in classifica. Tali punteggi dovrebbero incentivare la ricerca continua di mete sia da parte di chi sta vincendo sia di chi è in svantaggio. In caso di arrivo a pari merito in classifica, si tiene conto della differenza punti: la vittoria del torneo ex aequo è stata eliminata nel 1994.

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Innovazioni necessarie per adeguare il Sei Nazioni ai tempi odierni, aumentando la spettacolarità di un rugby ormai sempre più votato al marketing ed esigente di un approccio professionistico. Tuttavia il torneo riesce a mantenere intatto quello spirito antico, in base al quale non sono importanti solo la bravura, la forza e l’organizzazione delle squadre, ma ad avere un grande peso è la tradizione rugbistica di ciascuna nazione. E l’Italia lo sa bene, viste le difficoltà incontrate dal 2000 a oggi a ogni livello nel confronto con i “maestri” del rugby: ognuno dei 12 successi azzurri (e un pareggio, in Galles nel 2006) sugli 85 match totali disputati è stato acclamato come “storico”.

I premi simbolici

La nazionale vincitrice della classifica finale ottiene il Championship Trophy. Unici nel loro genere sono i trofei e premi “interni”, dal valore soprattutto simbolico: la Triple Crown, vinta dalla squadra delle isole britanniche che batte le altre tre (quindi preclusa a Francia e Italia); la Calcutta Cup, discorso a due tra Inghilterra e Scozia che risale addirittura al 1879; il cucchiaio di legno (wooden spoon), assegnato all’ultima classificata, da non confondere con il whitewash (“andata in bianco”) destinato a chi perde tutte le partite e di cui l’Italia è l’attuale “detentrice”. Più recenti sono il Millennium Trophy tra Irlanda e Inghilterra (1988), il Centenary Quaich tra Irlanda e Scozia (1989) e il Trofeo Garibaldi tra Italia e Francia (2007).

Con oltre 130 anni di storia il Sei Nazioni porta con sé ogni anno il suo patrimonio di storie, leggende, imprese e personaggi e si pone come appuntamento fisso per esaltare i valori intrinsechi di questa disciplina: lealtà, fratellanza, rispetto per l’avversario che consiste anche nel dare il massimo per batterlo sul campo. Un rito collettivo che per l’Italia sportiva è una grande occasione di crescita, non solo per il carattere esclusivo del torneo a cui vent’anni fa è stata ammessa, ma anche per la cultura che custodisce. I sold out dell’Olimpico, in cui la nazionale gioca dal 2012 dopo il trasferimento dal Flaminio, sono una ricchezza morale e materiale dello sport azzurro, un’isola felice in cui le sconfitte non hanno intaccato la fede degli appassionati.

Nelle pagine successive presentiamo il Sei Nazioni 2017 squadra per squadra partendo dalle avversarie dell’Italia in ordine di calendario e concludendo con gli azzurri. 

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Sei Nazioni 2017: il Galles

Non c’è in Europa altra nazione come il Galles così in grado di identificarsi nella sua squadra di rugby. I Dragoni sono il primo avversario dell’Italia nel Sei Nazioni 2017, il 5 febbraio allo Stadio Olimpico di Roma (ore 15). In Galles il rugby è una religione e le radici della sua diffusione affondano nella tradizione carbonifera: era il passatempo preferito dai minatori. Il Galles ha dominato gli anni ’70 grazie all’inarrivabile generazione di talenti dei vari Barry John, Gareth Edwards, Phil Bennett. Negli ultimi dieci anni ha vinto tre volte il torneo (2008, 2012, 2013) esprimendo un gioco spettacolare e brillanti talenti individuali. Quest’anno deve fare i conti con una lunga serie di infortuni, che hanno costretto l’allenatore Robert Howley (che sostituisce Warren Gatland, impegnato con i British & Irish Lions) a convocare sette esordienti.

Il Galles è sempre un avversario tra i più difficili per gli azzurri e una squadra in grado di sorprendere quando non ha i favori del pronostico, come nel 2008. Il nuovo capitano è Alun Wyn Jones, seconda linea di 31 anni con 105 caps. I test match autunnali sono stati un successo, ma il Galles, quinto nel ranking mondiale, sembra avere qualcosa in meno di Inghilterra e Irlanda. Un anno fa un’Italia in smobilitazione cedette ai rossi 67-14 nell’ultima giornata, subendo nove mete a Cardiff: riuscirà a evitare il ripetersi di una simile débâcle?

Sei Nazioni 2017: l’Irlanda

Nel test match di novembre giocato nell’inusuale Chicago, l’Irlanda ha ottenuto uno storico successo sugli All Blacks. Nonostante un Sei Nazioni 2016 non eccelso (in cui ha comunque inflitto all’Italia un impietoso 58-15) e nonostante il rinnovamento dopo il ritiro di O’Driscoll e della vecchia guardia, la vittoria sulla Nuova Zelanda ribadisce che l’Irlanda resta una delle più forti del mondo, quarta nel ranking. La nazionale del trifoglio, quest’anno, è data per seconda solo all’Inghilterra e per l’Italia il pronostico dell’11 febbraio, nonostante si giochi a Roma, appare chiuso. Forte di un sistema funzionante che continua a sfornare talenti importanti e versatili come il mediano d’apertura Carbery, quello di mischia Marmion e il centro Ringrose, il nucleo è composto da giocatori affermati come Murray, Sexton (in dubbio), Trimble, Zibo, Henshaw, O’Brien e capitan Best.

Il ct neozelandese Joe Schmidt guida un gruppo forte e in crescita, che pratica un gioco con grandissima disciplina, è insomma una solidissima realtà. Qualche difficoltà può arrivare dal calendario che propina subito due trasferte. Sul piano della tradizione, immutato il fascino della nazionale che rappresenta l’Irlanda unita, compresa quella del Nord: infatti ha un suo inno (il breve ma emozionante Ireland’s Call) e una sua bandiera. L’Aviva Stadium, aperto nel 2010, è un’astronave che svetta sui tetti di Dublino senza perdere un minimo di eleganza. I verdi hanno vinto il torneo nel 2009, 2014 e 2015.

Dylan Hartley | @rugbystuff.com

Sei Nazioni 2017: l’Inghilterra

Da quando nel novembre 2015 Eddie Jones, il sanguigno tecnico australiano che ha fatto le fortune della nazionale giapponese, ha assunto l’incarico di commissario tecnico dell’Inghilterra, il quindici della rosa rossa non ha mai perso. Anche a costo di ricorrere a un gioco eccessivamente duro, ai limiti del regolamento, accompagnato da una spavalderia un po’ alta per gli standard rugbistici e per la tradizionale signorilità inglese (il capitano Dylan Hartley, di origini neozelandesi, ha vari episodi di scorrettezza alle spalle). Ma c’è poco da discutere: di questi tempi, l’Inghilterra è difficilissima da battere. Se lo ricordano bene gli italiani, che un anno fa all’Olimpico, dopo un discreto inizio, si sono ritrovati sotto di brutto senza quasi accorgersene.

L’Inghilterra, campione in carica con tanto di Grand Slam, è la favorita assoluta del Sei Nazioni 2017, forse solo l’Irlanda può insidiarla. Le uniche incognite provengono dagli infortuni, che hanno condizionato le convocazioni, ma resta un team più che completo in ogni reparto. Nel ranking mondiale gli inglesi sono secondi, alle spalle degli All Blacks. Coach Jones chiede a tutti una leadership ancor più forte e in preparazione ha fatto ricorso a sistemi poco convenzionali come l’impiego di tecniche di wrestling e arti marziali. L’Italia farà visita al tempio di Twickenham, il più prestigioso stadio di rugby al mondo, il 26 febbraio.

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Sei Nazioni 2017: la Francia

La Francia approda al Sei Nazioni 2017 portandosi appresso il solito carico di incognite che l’accompagna da ormai diversi anni. L’11 marzo i Galletti scenderanno a Roma, dove per due volte nella storia del torneo ci hanno lasciato le proverbiali penne (2011 e 2013) ma hanno confezionato agli azzurri anche un doloroso cappotto nel 2015 (0-29). Il quindici allenato da Guy Novès, piuttosto cambiato e sceso all’ottavo posto nel ranking mondiale, non è considerato tra i favoriti per la vittoria finale, ma la Francia è tipicamente una squadra che può benissimo vincerle tutte oppure rimediare un tonfo clamoroso, come accaduto in Scozia lo scorso anno, tra l’altro dopo aver rischiato grosso contro l’Italia allo Stade de France nel match di apertura.

Capitano è Guilhem Guirado, Picamoles una certezza in terza linea, mentre torna tra i convocati, per la prima volta dalla Coppa del Mondo 2015, il centro Mathieu Bastareaud, per ovviare all’infortunio di Wesley Fofana. Il pilone Xavier Chiocci sostituisce invece l’infortunato Eddy Ben Arous. Calendario non facile con trasferte a Londra e Dublino (più Roma): la Francia ha chance se riuscirà a mostrare una crescita durante il torneo, ma queste partite potrebbero pure dimostrare che non è ancora pronta.

Sei Nazioni 2017: la Scozia

Da quando l’Italia è stata ammessa al Sei Nazioni, ha spesso atteso con impazienza il match con la Scozia, in quanto il più delle volte si presentava come l’unico abbordabile. Non a caso, dal 2000 a oggi, i blu delle Highlands non hanno mai vinto il torneo e sono stati l’avversario con cui gli azzurri hanno ottenuto la maggior parte dei loro successi, tra cui gli unici due fuori casa. Recentemente le cose sono un po’ cambiate: nel 2016 la Scozia ha vinto nettamente a Roma e prima ancora aveva fatto suoi altri due test match. Una crescita che, quest’anno, potrebbe rendere proibitivo per l’Italia il viaggio a Murrayfield. La Scozia, guidata da un allenatore neozelandese al pari di Galles e Irlanda, Vern Cotter, sta attraversando uno dei migliori periodi di sempre, è salita al settimo posto nel ranking mondiale e ha fatto vedere ottime cose nei test match autunnali.

Una grande fase di crescita nell’impostazione del gioco d’attacco, suo storico limite, che va ad aggiungersi a una difesa tradizionalmente solida e alla precisione nei calci, appannaggio di capitan Laidlaw. L’estremo Stuart Hogg, 24 anni, è l’elemento più forte, nominato miglior giocatore dello scorso Sei Nazioni: i suoi break possono far male. La Scozia, nonostante un cambio di tecnico in vista (dopo il torneo arriverà Gregor Townsend), ha tutte le premesse per incentivare i suoi progressi e sta inoltre sviluppando giovani interessanti come Watson, Gray, Fagerson. Sarà dura per gli azzurri, attesi a Edimburgo il 18 marzo.

Che Italia sarà al Sei Nazioni 2017?

Per certi versi, l’Italia è la nazionale più attesa a questo Sei Nazioni. Le disfatte del 2016 hanno fatto storcere la bocca a molti, alimentando ancora una volta i dubbi sul merito degli azzurri di far parte del torneo. E mettendo a nudo le debolezze di un intero sistema. L’arrivo del nuovo commissario tecnico, l’irlandese Conor O’Shea, ha risvegliato l’ottimismo, soprattutto dopo la bella vittoria sul Sudafrica nel test match di Firenze. La successiva sconfitta con Tonga, invece, ha di nuovo evidenziato i limiti dell’organico, che difetta in profondità, e la difficoltà a essere competitivi senza Sergio Parisse, il capitano che va ormai per i 34 anni. Le urgenze principali consistono nel trovare affidabilità e stabilità, almeno nel gioco, visto che per i risultati ci vorrà comunque molta pazienza. E magari evitare altre sconfitte epocali.

Con insospettabile lungimiranza, la Federazione ha dato carta bianca a O’Shea (quattro anni di contratto, rinnovabili) e al suo connazionale Stephen Aboud (sei anni), che ha il compito di riorganizzare tutto il settore giovanile. Lo staff tecnico dell’Italia è di alto livello, ma alla squadra dovrà essere concessa la possibilità di sbagliare. La priorità per O’Shea è costruire una cultura di gioco e dare consistenza alla squadra, attraverso quell’attenzione ai dettagli che spesso è mancata. Si punta su carattere, difesa e mischia, come ai vecchi tempi, e come O’Shea ha messo in chiaro fin dalla prima conferenza stampa, gioca solo chi è preparato al cento per cento, altrimenti ne risente l’intera squadra.

Certo, qualche vittoria pesante porterebbe altro entusiasmo di cui c’è un gran bisogno e velocizzerebbe il processo, ma quest’anno vincerne soltanto una sarebbe già un esito positivo. Il calendario è abbastanza benevolo, con tre partite in casa su cinque. Nel frattempo insieme alla Nazionale è chiamato a crescere tutto il sistema ovale italiano, dalle franchigie del Pro 12 (a proposito, le Zebre sono messe male e rischiano la chiusura) alle Accademie federali, dai club ai vivai, dalla preparazione dei tecnici alle scuole.

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