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Riforma Rai Renzi: le prime indiscrezioni

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@tvdigitaldivide.it

Matteo Renzi non si ferma, e nonostante le perplessità manifestate dai suoi detrattori va avanti spedito, affrontando (quasi) di petto i temi “caldi”, ovvero quelle riforme che tutti ritengono necessarie ma che nessun governo è riuscito, negli ultimi anni, a portare a casa, se non creando assurdi Frankenstein come il Porcellum o la legge Gasparri.

Dalla riforma costituzionale alla scuola, dalla riforma elettorale alla pubblica amministrazione niente sembra spaventare il premier. Stavolta pare abbia deciso di affrontare uno dei temi più dibattuti degli ultimi trent’anni, quella riforma della tv di Stato mille volte promessa e mai attuata. Proprio ieri notte il buon Matteo twittava infatti la conclusione delle riunioni con i parlamentari PD che dovrebbero dare il via alle riforme della RAI e della scuola.

Per entrambi i provvedimenti infatti il presidente del consiglio ha stabilito di affidare l’iter delle leggi al parlamento, anziché agire per decreto. Per quanto riguarda la RAI, si sa, obiettivo della riforma dovrebbe essere quello di sottrarre il controllo della tv pubblica al sistema di lottizzazione interna dei partiti.

Riforma Rai Renzi: dai partiti al governo

Secondo indiscrezioni, il primo provvedimento consisterà proprio nel depotenziamento della commissione di Vigilanza, organo attraverso il quale i partiti sceglievano i propri rappresentanti in seno al consiglio d’amministrazione RAI. Lo stesso consiglio di amministrazione dovrebbe passare da nove a cinque membri, scelti dal governo in seno a prestigiosi organi istituzionali, consultivi o di controllo quali l’Agcom Consiglio dei rettori, la Conferenza Stato-regioni, la Corte Costituzionale.

Di nomina governativa sarebbe anche l’amministratore delegato, una carica di ispirazione privatistica e con ampi poteri decisionali che dovrebbe superare l’attuale diarchia fra direttore responsabile e consiglio di amministrazione. Infine il Premier sembra non aver abbandonato l’idea del canone in bolletta (della luce), anche se parecchio ridotto all’insegna, insomma, del “pagare poco pagare tutti”.

C’è da scommettere che sarà proprio quest’ultimo il provvedimento più inviso all’opinione pubblica mentre è proprio il fulcro della legge a risultare intrinsecamente controverso. Spostare il controllo della tv pubblica dai partiti al governo servirà davvero a rendere un servizio migliore ai cittadini? Quali garanzie, inoltre, verranno attuate in favore della pluralità dei contenuti e della trasparenza delle nomine?

Una riforma insomma che, se sommata all’abolizione del bicameralismo perfetto e alla nuova legge elettorale, chiude il cerchio nella direzione di un presidenzialismo di fatto che garantisca al premier governabilità, velocità dell’iter legislativo, una solida maggioranza e il controllo pressoché totale del servizio pubblico.

Resta da capire se il parlamento lascerà passare l’ennesimo provvedimento volto a depotenziarlo. La sicurezza con la quale Renzi abbandona la strada del decreto per affidarsi al disegno di legge sembra suggerire il suo pieno controllo sulle maggioranze parlamentari, come sembrano dimostrare i 18 “malpancisti” verdiniani.

Se Silvio Berlusconi dopo l’assoluzione “torna in campo” non è certo Renzi a preoccuparsi (forse chi segretamente sperava di più in un altro esito del processo era Matteo Salvini), visto anche, nonostante l’opposizione di facciata, il rapporto sempre più stretto fra i due partiti, testimoniato dalle ormai prossime “primarie del centrosinEstra” ad Agrigento, nel solito “laboratorio Sicilia”, dove il candidato a sindaco di Forza Italia è dato come il più papabile fra i concorrenti alle ormai ex primarie di centrosinistra.

Matteo Renzi può quindi continuare a modellare in tranquillità il suo prototipo di architettura istituzionale, nell’attesa di risedersi in quella stanza arricchita di nuovi e più performanti bottoni.

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