Site icon Le Nius

Proteste in Bosnia: un conflitto sociale non etnico?

Reading Time: 3 minutes
@Igor Todorovski

In Italia ci si appassiona facilmente ai destini della Bosnia. Sarà la vicinanza geografica (uno stretto lembo adriatico ci separa, 165km tra Vieste e Neum), sarà lo shock della guerra del ’92 in cui ci coinvolgemmo appieno, sarà l’economia della cooperazione che da allora ci ha dato dentro alla grande, sarà che è una delle ultime e più gettonate frontiere del turismo low cost.

Dirò forse una banalità, ma del viaggio in Bosnia che feci tre anni fa ricordo soprattutto l’accavallarsi confuso dei popoli. Le chiese ortodosse e il canto dei muezzin, le carovane gitane e il tempio cristiano-commerciale di Medjugorie. È davvero un Paese affascinante quello che presenta un così vario paesaggio umano.

Purtroppo, come spesso capita in queste situazioni, l’accavallarsi è talmente confuso da essere stato usato come pretesto bellico in più occasioni, dalla prima guerra mondiale agli anni novanta. Da allora il leit motiv etnico tende a incunearsi in tutte le dispute collettive.

Proteste in Bosnia: origini e richieste

Oggi la Bosnia torna a interessarci per quello che può essere definito come il più significativo movimento di protesta dalla fine della guerra. Tutto un ribollire che già aveva mostrato i suoi segni l’anno scorso, con la cosiddetta bebolucija (rivolta dei bebè), che si era però volatilizzata in fretta.

Una settimana fa la miccia è esplosa a Tuzla sotto forma di una protesta operaia (sì, avete capito bene: una protesta operaia). Non è un caso: Tuzla, città nell’est del Paese, è un polo industriale e produttivo in decadenza e gli operai protestavano contro la chiusura di alcune fabbriche, fallite dopo la privatizzazione, chiedendo alle istituzioni locali e nazionali di intervenire.

@neverending september

Finora i manifestanti hanno ottenuto le dimissioni del premier del cantone di Tuzla, e ora chiedono l’insediamento di un governo tecnico di esperti non politici. Facile ironia a parte (impensabile per noi che qualcuno possa scendere in piazza per chiedere un governo tecnico…) “i lavoratori e i cittadini di Tuzla” (come si autodefiniscono) vorrebbero una sorta di governo di scopo con obiettivi precisi, che sottoponga ai cittadini pianificazioni e report settimanali e i cui ministri abbiano uno stipendio pari a quello degli operai, senza ulteriori emolumenti e benefit (dopo Monti, vogliono anche Grillo).

L’obiettivo prioritario sarebbe ovviamente quello di rimettere le imprese privatizzate (e poi fallite) sotto il controllo del governo cantonale e farle ripartire restituendo così il lavoro agli operai di Tuzla.

Proteste in Bosnia: motivazioni e prospettive

L’ondata di proteste in Bosnia ha assunto quasi immediatamente la portata di un movimento nazionale, con manifestazioni a Mostar, Banja Luka, Prijedor, Bihac e nelle altre città bosniache. Particolarmente forti sono state le proteste nella capitale Sarajevo, dove hanno preso fuoco automobili e palazzi, tra cui la sede della Presidenza della Bosnia.

L’episodio di Tuzla è dunque la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di disoccupazione (del 30% nel Paese, del 44% a Sarajevo, e del 60% fra i giovani) e conseguente malessere sociale. Potrebbe essere a suo modo un segno di cambiamento. Senza dare a questa lettura (assolutamente prematura) nessun valore di analisi, assistiamo forse a un conflitto sociale portato avanti su base socio-economica e non etnica, che connette le proteste in Bosnia a un movimentismo globale, o quanto meno mediterraneo, che da Atene a Madrid, da Roma a Tunisi, si sta mobilitando attorno alle parole d’ordine dignità, diritti, casa, lavoro. Chissà quindi che il confuso accavallarsi non trovi un po’ di quiete grazie agli operai di Tuzla.

CONDIVIDI
Exit mobile version