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Mille giorni Renzi: una difesa a colpi di accuse

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Qualcuno temeva che l’appuntamento di Matteo Renzi con le due camere sui “mille giorni” potesse risolversi nell’ennesimo sintomo della malattia che sembra affliggere il nostro dal suo insediamento a Palazzo Chigi, quella che qualche commentatore ha definito come “annuncite”, un’orribile parola che noi non useremo più e che speriamo evapori presto come la maggior parte degli altri orribili neologismi coniati dal giornalismo italiano.

In realtà quella di Renzi è una parabola strana. Prima del voto alle europee metteva d’accordo partiti, giornalisti e commentatori, l’unica incertezza (escluse le primarie) consisteva nel suo reale appeal con gli elettori. Dopo il voto ed il clamoroso 41% messo a segno (e dopo, bisogna pur dirlo, il fallimento del suo cronoprogramma) l’incognita è diventata il suo punto di forza mentre tutto il resto cominciava ad andare male.

Mille giorni Renzi: una difesa a colpi di accuse

Così quello di martedì in Parlamento è apparso un Renzi sulle difensive, pronto ad agitare la clava del suo consenso personale contro i parlamentari, i giornalisti, i magistrati.

A deputati e senatori ha ripetuto quello che va dicendo da un po’, ovvero che non si farà cambiare le carte in tavola da quelli che vorrebbero rallentare il cammino delle riforme, che la sua priorità rimane la riforma elettorale (che darebbe più chance di governo in solitaria alle sue percentuali) seguita dalla riforma del lavoro. L’alternativa è il voto, del quale lui non ha, ovviamente, paura.

La novità in questo caso è che si sia detto pronto a fare riforme dolorose e impopolari se questo servirà al Paese e di mettere quindi a rischio se stesso alle prossime elezioni (cosa che pare francamente antitetico rispetto all’essenza stessa del renzismo per come lo conosciamo).

Ha poi accusato i giornalisti, rei di avere cambiato in molti casi atteggiamento nei suoi confronti, di essere sostanzialmente delle cassandre della crisi ma di essere stati incapaci di vederla arrivare quando ce ne sarebbe stato bisogno.

Infine l’affondo sui magistrati, con la tiritera ormai vecchia di venti e più anni sul fatto che la politica (non solo) economica del governo non può essere decisa da un avviso di garanzia, riferimento palesemente rivolto alla vicenda ENI ma anche ai guai dei renziani in Emilia Romagna.

Un premier alla corda, insomma, che reagisce però con foga ai tanti colpi ricevuti. Peccato che le sue mosse rischino di assomigliare un po’ troppo a quelle dei campioni che lo hanno preceduto. La combo parlamento lento, giornali faziosi, magistratura ad orologeria risulta una cantilena un po’ stantia per gli Italiani soprattutto in momenti complicati come quello che stiamo vivendo.

È anche possibile che in Italia alcuni poteri ti facciano meno sconti quando il tuo, di potere, diventa troppo ingombrante. Il problema, per Renzi è che la maggior parte delle volte questo è la dimostrazione che stanno svolgendo finalmente bene il proprio lavoro.

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