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Cosa è il Kombucha?

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@iris

Lillo lallo lello lullo, lallo lollo lullo lillo, Confucio. Se siete tra gli sventurati ai quali questa filastrocca occupa parte del prezioso e limitato volume neurale, probabilmente negli anni ’80 avevate per casa una sorella un po’ cretina. Oggi però non vi parlo di Confucio, materia che innalzerebbe esponenzialmente il mio eloquio, ma di kombucha, un tè fermentato e zuccherato che contiene una coltura di batteri benefici detti per l’appunto “fungo kombucha”.

Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, partiamo dall’etimologia. Che è chiarissima. Come un riassunto di Guerra e Pace in due minuti. Recitato in ottonari a rima alternata. Al contrario. Da un balbuziente con la bocca piena. Sulla metropolitana. Con i finestrini abbassati. Io vi ho avvisati. Il termine kombucha, dal suono giapponese nonostante le probabili origini cinesi o russe, deriva dal nome di un medico coreano, Kombu, che lo avrebbe utilizzato nel 415 d.C per curare l’imperatore Iniko. “Cha” in giapponese indica il tè in generale (come ad esempio il celebre mat-cha, il sen-cha o il komugi-cha) e quindi il sostantivo indicherebbe semplicemente “tè del Dr. Kombu”. Perché indicherebbe, al condizionale? Perché kombu è anche il nome di un’alga utilizzata spesso e volentieri nella cucina giapponese (quella che si trova comunemente anche nella zuppa di miso, per intenderci) e questo ha portato alla diffusione della nozione completamente infondata che il kombucha sia ottenuto dalla fermentazione di quest’alga. Ad aumentare la già notevole confusione, in Giappone quello che noi indichiamo come kombucha si chiama “kocha kinoko” (fungo del tè occidentale) mentre il termine “kombucha” indica effettivamente un tè che ha tra i suoi ingredienti l’alga kombu. Quindi questo nome di formazione giapponese è arrivato  in qualche modo a designare una realtà che in Giappone ha un nome diverso e ne indica a sua volta un’altra ben precisa e differente.

Confusi? Non vi biasimo.

Cos’è il Kombucha te?

In pratica si tratta di un tè fermentato e zuccherato, purificato da una colonia batterica derivata da alcuni tipi di lievito che vanno a formare un “fungo” dalla caratteristica forma di pancake che proprio di questo zucchero si nutre. Il “fungo” (non lo sottolineerò mai abbastanza, si tratta di lievito e bacilli simili a quelli dello yogurt, non è un vero fungo) in sé non viene bevuto o mangiato, benché non sia nocivo, ma gelosamente custodito per la preparazione di altre colture per la preparazioni di altri tè o per passarlo ad amici desiderosi di iniziare anche a loro la coltivazione.

Il pancake benefico (non è un fungo) prende il simpatico nome di scoby, acrostico di “symbiotc culture of bacteria and yeast”. Alcuni pezzettini dello scoby finiscono immancabilmente per vagare nel kombucha, fatto che disturba psicologicamente molti… ingiustificatamente, in quanto sono innocui e gradevoli al palato (personalmente mi ricordano i pezzetti di polpa che si trovano negli yogurt alla frutta).

Credits Carnivore Locavore

Come preparare il tè Kombucha a casa.

 

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