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Festa della renga: aringa, pesce di passaggio

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In questi giorni il Carnevale impazza ovunque. Maschere, costumi, coriandoli, stelle filanti. E poi galani, frittelle, gnocchi e altre leccornie. Ma passati questi giorni e finiti i bagordi, ci si guarda il girovita e… mannaggia!? La Quaresima quindi arriva a proposito, ad aggiustare gli eccessi della gola.

La chiusura del Carnevale di Verona si svolge a Parona, paese che si affaccia sulle sponde dell’Adige e ha dato il via negli anni settanta ad una tradizione folcloristica e gastronomica: lafesta della renga.
Questo evento segna appunto la conclusione dei festeggiamenti, con l’ultima sfilata dei carri nella storica parata in città, e apre il periodo di digiuno e rinunce che precede la Pasqua.

L’aringa, pesce proveniente dalle coste dell’Atlantico settentrionale, viene qui consumata secondo una ricetta tradizionale: conservata affumicata sotto sale, viene arrostita sulla graticola. Una volta cotta, viene sminuzzata e condita generosamente con olio d’oliva. Alcuni aggiungono anche qualche altro sapore, come i capperi, oppure un trito di verdure. Si tratta di una pietanza molto saporita, che si consuma solitamente con una buona porzione di polenta fumante. I due sapori si sposano alla perfezione e la vera squisitezza è “il puccino” del pesce. Tenete alla larga il pane, o sarà la fine!

Particolarmente pregiate sono le uova, che possono essere consumate insieme, oppure tenute da parte, quasi un caviale nostrano.

Ma come mai un pesce proveniente dai lontani mari del Nord è sbarcato in un paese sulle rive dell’Adige?

@ brian.gratwicke

La storia testimonia che, pescatori trentini, di passaggio lungo il fiume con le loro mercanzie d‘oltralpe, facevano sosta qui e ripagavano l’oste con parte del loro carico di aringhe. Benedetto baratto!

Ogni anno, in occasione della festa mio papà mi racconta di quando e quanto le assaporava da bambino. In famiglia erano sei fratelli, i genitori e i nonni, più qualche altro tra parenti e/o amici che veniva a dare una mano nel lavoro dei campi. Non ci si poteva permettere molta aringa e i commensali erano tanti ma la nonna ovviava al problema aggiungendo per tempo altro buon olio, così che si insaporisse e la polenta che veniva intinta in abbondanza e con gioia da tutti.

Aringhe sott’olio @Skånska Matupplevelser

Io ho nel frigo un bel vasetto di aringhe sott’olio fatto in casa pronto all’uso. Me l’ha preparato Maurizio, il compagno di mia mamma, che ne è molto goloso e che la conserva in modo squisito.

Lui acquista dei filetti affumicati sottovuoto, prepara un misto di  aglio e prezzemolo, copre i filetti disposti nel barattolo di vetro con questo misto e con l’olio extra vergine di oliva.

Una seconda versione delle aringhe sott’olio fatte in case prevede invece cipolla, aceto e succo di limone.

Poi bisogna resistere almeno un paio di settimane prima di gustarle. Non è facile, la tentazione è forte, ma serve il tempo necessario che gli ingredienti si amalgamino e si donino reciprocamente, profumo e sapore.

Quando arriva il momento di aprire il vasetto, le narici sono invase da quel tipico profumo intenso e contemporaneamente, come per magia, una visualizzazione: la “panara” della polenta.

Alla faccia della meditazione trascendentale: poteri della golosità!

Foto in copertina | Maurizio Albissola.com

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