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Quattro storie di esordienti in Serie A

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Kamil Wilczek

@sport.se.pl

Venti gol sono sempre venti gol, a prescindere se segnati in Italia o in Polonia.

Non sono in molti a pensarla come Sean Sogliano: certamente non gli organizzatori della Scarpa d’Oro, che moltiplicano per due i gol segnati nei cinque maggiori campionati e per 1,5 le reti realizzate dalla sesta alla ventunesima lega europea, cosa che ci obbliga a guardare con rimpianto ai tempi in cui Zviad Endeladze e Arsen Avetysian potevano ritagliarsi il loro quarto d’ora di gloria e rassegnarci all’eterno trionfo di Messi e Ronaldo.

Vincere la classifica marcatori dell’Ekstraklasa, di per sé, non è garanzia di successo: negli ultimi dieci anni ci sono riusciti Robert Lewandowski e Artjoms Rudnevs, ma anche i più oscuri Tomasz Frankowski e Takesure Chinyama. Wilczek, peraltro, arrivato a parametro zero a Carpi per vestire la maglia numero 9, non è mai stato particolarmente prolifico in vita sua prima della stagione 2014-2015: cresciuto con il coetaneo Kamil Glik nel settore giovanile del Wodzisław Śląski, con il difensore del Torino ha condiviso le esperienze al Silesia Lubonia e all’Horadada, in Spagna, dove le strade dei due si sono separate (uno al Real Madrid, l’altro all’Elche), per poi riunirsi al Piast Giwice nella stagione 2009-2010.

Proprio a Gliwice, dove è tornato nel 2013, la carriera di Wilczek ha preso una svolta decisiva: qualcuno potrebbe dire che l’attaccante ha semplicemente raggiunto l’età della maturità, ma sappiamo che non sempre la fredda ragione può aiutare a spiegare venti gol nel campionato polacco. Accade infatti che lo scorso ottobre il giocatore si rompa il naso durante una partita e debba successivamente scendere in campo con una maschera: a fine stagione ha segnato come mai in carriera, vince premi su premi, riceve offerte da Germania e Inghilterra, arriva in Italia e viene anche convocato dalla nazionale polacca, per la quale deve però ancora esordire.

Possiamo anche immaginare come sarà la sua avventura emiliana, iniziata con il dizionario in spogliatoio per farsi capire dai compagni: gli inizi difficoltosi, la concorrenza di Borriello, la squadra che flirta con la retrocessione; quindi Zaccardo che un giorno, alla fine di un allenamento, nella penombra del centro sportivo, gli spiega che quella maschera non era per nulla magica e che quello che conta davvero è avere fiducia in se stessi.


Raffaele Bianco

@calciospezzino

Pur essendo a tutti gli effetti un personaggio minore, che si appresta a fare il suo debutto in Serie A a ventotto anni compiuti, Raffaele Bianco è stato quasi sempre al momento giusto nel posto giusto: seguendo la sua biografia si potrebbe scrivere la storia degli ultimi dieci anni di calcio o quasi. Prendiamo Calciopoli, per esempio: Bianco, che con la Primavera della Juventus ha vinto tutto, compreso un Torneo di Viareggio con gol in finale, è tra i giovani bianconeri che approfittano della retrocessione in Serie B per esordire in prima squadra. Colleziona quattro presenze, che potrebbero non sembrare molte, ma in un Juventus-Spezia 2-3 si toglie lo sfizio di scrivere il finale della storia, segnando l’ultimo gol della Juventus nella serie cadetta.

A quel punto i suoi compagni tornano in A, alcuni destinati a diventare giocatori di una certa rilevanza come Marchisio: il suo viaggio nel lato oscuro del calcio italiano porta invece un po’ più lontano, al Bari di Conte, con cui nel 2008-09 ottiene la promozione e vive un altro scandalo, questa volta legato alle scommesse, uscendone con una squalifica di tre anni e sei mesi, poi ridotta a sei mesi in appello nel 2013.

Nel frattempo il cartellino di Bianco, a metà tra Spezia e Juventus, viene disputato alle buste e torna al 100% della Juventus: a suo modo Bianco fa parte anche della Juve di Conte, con la quale passa due mesi estivi nel 2012 e un altro semestre nel 2013 per scontare la squalifica. Già passato da un prestito al Carpi in Lega Pro, ci torna a titolo definitivo: quando, a ventuno anni dall’arrivo di Reggiana e Piacenza, la Serie A torna ad accogliere due debuttanti assolute, Bianco è ancora una volta in prima pagina. Poteva trasferirsi all’Entella, ma ha rifiutato per chiudere un cerchio e poter risentire allo stadio la musica di Paolo Belli, autore del nuovo inno del Carpi, che il giorno di Juventus-La Spezia tenne un concerto all’Olimpico di Torino.


Nathaniel Chalobah

@chelsea

Le venti squadre di Premier League hanno prestato ben 133 giocatori per questa stagione: a fare la parte del leone è il Chelsea, che ha ceduto a titolo temporaneo ben 33 calciatori, per i quali ha speso in totale circa 100 milioni di sterline. È stato calcolato che entro il 2050 un abitante della terra su quattro avrà un parente di proprietà del Chelsea.

Chi non trova posto tra gli amici del Vitesse può tentare la fortuna nel resto d’Europa, sapendo che la chiamata per tornare alla casa madre potrebbe non arrivare mai. Tra i tanti che sgomitano per farsi notare da Mourinho c’è Nathaniel Chalobah, arrivato a Napoli nelle ultime ore del calciomercato con una mossa probabilmente decisa da un generatore automatico di trasferimenti: il centrocampista nato in Sierra Leone, capitano dell’Under 21 inglese, ha finora militato per lo più nella Championship, sfiorando appena la Premier League con il Burnley (quattro presenze) e cambiando cinque squadre nelle ultime tre stagioni.

Ora l’arrivo alla corte di Sarri, che invece di fare il nerd e guardarsi di soppiatto un paio di video su YouTube, come avremmo fatto tutti noi, ha candidamente ammesso di non saperne alcunché: “Non lo conosco. Se la società l’ha preso mi fido. Non riesco a occuparmi di tutto, se lo facessi sarebbe in maniera superficiale e allora preferisco non farlo”.

A Zola, che l’ho allenato ai tempi del Watford, piaceva parecchio; poi, a dar retta all’agente di Magic Box, il giocatore non ha rispettato le attese, scombinando forse i piani dello stesso Mou, che nel 2013 aveva annunciato il suo arrivo in prima squadra per la stagione 2014-15. Al classe ’94 il compito di trovare spazio nel centrocampo partenopeo, impresa per ora non riuscita, tanto che il Chelsea stesso avrebbe chiesto spiegazioni al Napoli in merito al mancato impiego.


Joan Verdú

@lornutsport

Passano gli anni, cambiano gli allenatori, ma ogni estate Pradè riesce a portare alla Fiorentina almeno un esemplare del suo tipo di giocatore ideale: un individuo introverso, dalla tecnica sopraffina, di lingua spagnola, non più giovane, quasi alle ultime esperienze calcistiche, con un aspetto lievemente decadente e un passato buono, ma che avrebbe potuto essere molto più importante.

Quest’anno è il turno di Joan Verdú, uno di cui Osvaldo, suo compagno di squadra all’Espanyol, ha sempre parlato bene, tanto da consigliarne l’acquisto alla Roma. Reduce da una stagione sotto il sole di Abu Dhabi, Verdú ha tutti i requisiti per infilarsi l’elegante maglia di Le Coq Sportif: un soprannome elegante, El geni de L’Eixample; un curriculum di tutto rispetto, almeno per quel che riguarda i suoi primi anni, passati alla Masia in compagnia dei futuri campioni del Barcellona; un gol olimpico segnato anni fa; tante belle storie da raccontare.

Sostiene, per esempio, che inizialmente Messi non fosse un granché e che il giovane Joan fosse allo stesso livello del giovane Lionel: i due hanno anche debuttato in Champions League lo stesso giorno, l’8 dicembre 2004 in una trasferta a Donetsk finita con una vittoria dello Shakhtar (2-0, doppietta di Aghahowa) e, anche se poi Verdú non è mai più sceso in campo in maglia blaugrana, ha conservato una serie di aneddoti che non si possono raccontare.

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