Site icon Le Nius

5 cose che ci insegnano le emoji di WhatsApp

Reading Time: 4 minutes

Emozioni, professioni, attività, sport, gesti, oggetti, numeri, simboli: le centinaia di emoji di WhatsApp, complice la diffusione planetaria della chat, sono diventate un linguaggio alternativo che abbiamo imparato ad usare con disinvoltura.

Là dove non arriva la parola, o dove il tempo non permette di esprimere un concetto per iscritto, ecco l’icona che fa per noi e che esprime alla perfezione ciò che volevamo dire.

Come tutte le lingue, anche quella grafica delle emoji ha dei limiti espressivi e funziona perché fa riferimento ad una base condivisa. Una base che non può essere né storica né geografica e che è piuttosto culturale ed ideologica.

Le emoji di WhatsApp sottendono infatti un mondo ideale e utopistico per molti aspetti, che potrebbe però, quasi inconsciamente, rivelarsi come reale a chi ne fa uso massiccio.

Esse rendono manifesto anche ai più recalcitranti un concetto molto semplice: siamo tutti uguali, siamo tutti compagni di viaggio. Lo fanno in modo caricaturale, e proprio per questo efficace.

Cosa ci insegnano le emoji di WhatsApp?

Le emozioni sono universali

Qualcuno potrebbe darlo per scontato, ma il concetto che le emozioni di base siano universali ed universalmente riconoscibili in base a determinate espressioni del volto (contrazione involontaria di determinati muscoli) è stato oggetto di importanti studi e test. Prima ancora di Inside Out della Pixar, fu lo psicologo americano Paul Ekman a dimostrarlo. Su questo importante aspetto si basano le tipiche faccine di WhatsApp.

Sopracciglia arcuate e sorriso esprimono gioia per noi come per gli indigeni della foresta amazzonica, labbra all’ingiù denotano tristezza e la fronte aggrottata suggerisce rabbia al nigeriano come allo svedese o al giapponese. Un indizio in più per capire che siamo tutti fratelli.

La parità dei sessi

Nel mondo delle emoji di WhatsApp l’umanità ha compiuto qualche passo in più nel processo evolutivo e non ha più alcun dubbio che ciò che può fare un uomo lo possa fare anche una donna, e viceversa. Chi ha detto che lui deve andare in ufficio, dirigere il traffico, domare incendi o portare avanti grandi aziende, mentre lei deve stare ai fornelli, cucire o fare pulizie?

Le icone insegnano che un detective vale quanto una detective, che una cuoca non è necessariamente più brava di un cuoco, che scienziati e scienziate miglioreranno il mondo con uguale merito e che persino nei viaggi spaziali c’è parità dei sessi.

In Italia siamo relativamente aggiornati in questo senso, ma altrove queste emoji rappresentano a tutti gli effetti una sfida e al tempo stesso un possibile orizzonte verso cui tendere.

L’amore è amore

Se siete tra coloro che ancora credono alla fantomatica teoria gender e al complotto internazionale per la sua subdola diffusione tra i banchi di scuola, probabilmente storcerete il naso ogni volta che vedete questa serie di icone.

Gli sviluppatori di WhatsApp, e non solo loro, hanno capito che l’amore è amore, che la famiglia è famiglia a prescindere dall’orientamento sessuale.

Nell’universo delle emoji, una coppia può essere eterosessuale o omosessuale, può avere padre e madre come due padri o due madri, senza dimenticare le situazioni in cui, per scelta o per tragedia, il genitore è uno solo.

Non si tratta di un tentativo di fare lavaggi del cervello e definire nuove regole, ma di descrivere la realtà. E di favorire, come si diceva, un’evoluzione mentale e culturale necessaria.

Razzismo: cos’era?

Quanto era semplice l’idea di proporre, per ogni gesto delle mani e per ogni volto rappresentato nell’elenco delle emoji, un diverso colore della pelle? Eppure credo che l’aggiornamento con cui venne implementata questa funzione sia stato uno dei più importanti, proprio per la sua semplicità. È nelle piccole cose, nei minimi dettagli che trovano spazio le più grandi verità.

Una verità che ci insegna che non più solo nei film ambientati nelle grandi metropoli, ma anche nel nostro minuscolo paesino di provincia la multiculturalità è un dato di fatto.

I movimenti migratori, checché se ne pensi, hanno portato un arricchimento, un potenziamento della nostra struttura sociale, umana, culturale e anche economica.

Perché WhatsApp avrebbe dovuto ignorare che per le strade, negli uffici, nelle scuole le mani che si stringono, i volti che si osservano, non sono più esclusivamente rosa? Perché dovremmo ignorarlo noi?

La guerra è stupida

Sotto questo aspetto forse WhatsApp ha ancora qualcosa da sistemare, ma qualche segnale si vede. In particolare, tra le icone è impossibile trovare fucili o pistole e ci si deve accontentare di un’innocua pistola ad acqua di colore verde. La scelta, al tempo in cui il simbolo di una vera pistola venne sostituito da una giocattolo, non trovò tutti d’accordo, sia perché ritenuta poco utile a fini pratici, sia perché non venivano eliminate altre immagini di armi.

In effetti, alla pistola si affiancano una bomba (molto cartoonesca, a dire il vero) e spade che riconducono all’idea di guerra, sebbene quella all’arma bianca dei tempi andati. Discutibile la presenza del coltello in questa sezione, dove può essere interpretato solo come arma anziché come semplice attrezzo da cucina.

In ogni caso, è da apprezzare e da prendere come ultimo insegnamento il fatto che queste icone, insieme a quella della sigaretta, siano immediatamente precedenti al simbolo della bara. Come a dire che sì, la realtà del mondo è anche questa, ma la fine a cui essa porta è poco incoraggiante.

CONDIVIDI
Exit mobile version