Site icon Le Nius

Diritto alla città: cos’è e come viene applicato

Reading Time: 5 minutes

Rivoluzionare le relazioni sociali, politiche ed economiche nelle città. È questo l’obiettivo radicale del sociologo francese Henri Lefebvre quando comincia a scrivere di right to the city, diritto alla città.

Diritto alla città: da dove arriva

Siamo all’inizio degli anni settanta e cominciano a rivelarsi tre tendenze che diventeranno poi prassi, e che stanno alla base della necessità di esercitare un diritto alla città:

1. Rescaling. Le istituzioni nazionali iniziano a perdere importanza, a favore di quelle locali (regioni e comuni) e sovranazionali (Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio ecc.). Queste istituzioni, assieme alle imprese multinazionali, esercitano un’influenza sempre maggiore sulla vita delle persone e dei territori, contribuendo a svuotare di contenuti la partecipazione democratica, fatta eccezione per l’Unione Europea che con le ultime elezioni ha fatto grandi passi avanti in termini di rappresentanza. La cittadinanza, con tutti i diritti ad essa associata, rimane invece associata alla dimensione nazionale, lo Stato.

2. Riorientamento delle politiche da redistributive a competitive. Come abbiamo descritto qui, la competitività su base locale è diventato l’obiettivo principale di molte politiche locali e nazionali. Le politiche puntano perciò a promuovere la competizione tra le città e dentro le città, scavalcando le esigenze di chi le città le abita e le vive.

3. Esternalizzazione dei servizi pubblici. Lo Stato affida un numero crescente di servizi a enti privati, profit e non profit, che svolgono così molte funzioni di governo locale senza rappresentare formalmente i cittadini.

Questi tre processi hanno generato una crisi della rappresentanza e della partecipazione politica nelle città (e non solo), e il diritto alla città è una risposta radicale a questa situazione. Il diritto alla città nella sua formulazione originaria prevede infatti l’applicazione del principio di democrazia deliberativa a tutte le decisioni che influiscono sulla vita delle città, e dunque di chi la vive.

Molte di queste decisioni infatti sfuggono al controllo democratico esercitato dai rappresentanti eletti a livello nazionale o locale. Si pensi ad esempio alle scelte di investimento delle aziende, che possono ricadere in maniera decisiva sulla vita delle città, in termini di impatto ambientale, posti di lavoro creati o dispersi, impiego dello spazio urbano.

Diritto alla città: in cosa consiste

Due sono i diritti che derivano dall’applicazione del diritto alla città:

Il diritto alla partecipazione prevede che i cittadini debbano poter giocare un ruolo chiave in tutte le decisioni che riguardano loro e la città che vivono, da qualunque livello la decisione discenda (stato centrale, amministrazione locale, azienda, organismo internazionale ecc.). La partecipazione dei cittadini dovrebbe essere diretta e centrale, non più mediata come nel caso della rappresentanza nelle istituzioni statali.

La prospettiva del diritto alla città lega la possibilità di partecipare alla vita pubblica a chiunque sia coinvolto dalle decisioni che vengono prese, dunque a chi abita e utilizza la città, indipendentemente dalla residenza formale.

La nuova identità politica derivante dal vivere una città non sostituirebbe quella della cittadinanza nazionale ma ne sarebbe indipendente, ed avrebbe comunque la priorità nell’accesso alle decisioni.

Il diritto di appropriazione riguarda invece il diritto degli abitanti della città di accedere fisicamente, occupare e usare lo spazio urbano. Lefebvre non fa riferimento qui solo allo spazio urbano esistente, ma anche al diritto di produrre nuovo spazio urbano che risponda alle esigenze dei cittadini.

In questo senso il diritto di appropriazione è esplicitamente pensato per contrastare l’uso dello spazio così come teorizzato e praticato dal capitalismo, basato sulla proprietà privata e mercificato per essere valorizzato sul mercato.

Il diritto alla città, almeno nella formulazione originaria di Lefebvre, è dunque uno degli strumenti giuridici, e sociali, più rivoluzionari degli ultimi decenni. La sua applicazione infatti promuoverebbe al tempo stesso una trasformazione dell’idea di cittadinanza nazionale così come concepita nelle democrazie liberali, e delle relazioni sociali, politiche ed economiche prodotte dal capitalismo.

Diritto alla città: critiche

La teorizzazione di Lefebvre non è certo priva di contraddizioni ed è stata oggetto di critiche che ne hanno svelato alcuni punti di debolezza. Tuttavia il sociologo francese aveva centrato nel segno: la mercificazione dello spazio (urbano in particolare) ha rappresentato una strategia chiave per l’accumulazione di capitale, ed è oggi al centro del conflitto globale, come vedremo più avanti.

La critica più significativa che è stata mossa al diritto alla città così come teorizzato da Lefebvre è che non necessariamente la sua applicazione avrebbe un impatto positivo sulla città. Le modalità di applicazione dei diritti di partecipazione ed appropriazione sarebbero oggetto di conflitti di potere in grado di produrre output non ottimali. Si tratta insomma di uno di quei costrutti che necessitano di una messa alla prova empirica per poter essere valutati.

Non è inoltre chiaro chi dovrebbe avere voce e in quali decisioni. L’intenzione di costruire un centro commerciale in un quartiere periferico di una città dovrebbe essere discussa da tutti gli abitanti della città o solo dai residenti del quartiere? Oppure questi ultimi dovrebbero avere più peso?

Un’altra critica riguarda l’indefinitezza della definizione di città nella formulazione di Lefebvre, e di conseguenza di chi ne fa parte. Una persona può appartenere a più di una città in base alle decisioni che ci sono da prendere? Se sì, ha pieno diritto di partecipazione e appropriazione in tutte le città?

Tuttavia il valore oppositivo del diritto alla città è indiscutibile. Ed in realtà ha senso proprio perché nasce in opposizione alla modalità di produzione dello spazio capitalistica. Trovo sia ingiusto attribuire a Lefebvre una mancanza di delineazione concreta delle procedure di applicazione del diritto alla città. Il compito dei visionari è aprire strade, far intravedere possibilità, mobilitare altre menti. E Lefebvre è certamente un visionario.

Quello che conta è che la sua intuizione ora stia mobilitando azioni e pensieri in tutto il mondo, e stia contribuendo alla riflessione su come possa essere prodotto e utilizzato lo spazio urbano. Citiamo ad esempio la protesta di Hong Kong, l’occupazione di Gezy Park a Istanbul, il nuovo movimento politico Guanyem a Barcellona, o le esperienze di Macao e del Teatro Valle in Italia. Esplorare le strategie e migliorare le procedure per dare corpo a queste idee è il compito degli uomini e delle donne che da queste visioni stanno traendo linfa per le loro azioni.

Diritto alla città: bibliografia minima

Harvey D., 1981, The urban process under capitalism: a framework for analysis, in Dear M. and Scott A. (eds), Urbanization and urban planning in capitalist society, pp. 91–122, Methuen, New York.
Harvey D., 1989, From managerialism to entrepreneurialism: the transformation of urban governance in late capitalism, Geografiska Annaler 71B: 3–17.
Lefebvre H., 1968, The right to the city (ed. or. Le droit à la ville, Anthopos, Paris).
Lefebvre H., 1973, Space and politics, (ed. or. Espace et politique, Anthropos, Paris).
Lefebvre H., 1991, The production of space, Blackwell, Oxford.
Lefebvre H., 1996, Writings on cities, Blackwell, Cambridge, MA.
Purcell M., 2002, Excavating Lefebvre: The right to the city and its urban politics of the inhabitant, GeoJournal 48: 99-108.

Immagine | Jesse Clockwork

CONDIVIDI
Exit mobile version