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Cos’è questa storia del Franco CFA

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Ho letto anche una roba di Sankara a riguardo. È il problema dell’Africa.

È uno dei tanti commenti che trovo su Facebook rispetto alla storia del Franco CFA che sarebbe, secondo i principali esponenti del Movimento 5 Stelle – di cui uno è Ministro del lavoro e dello sviluppo economico nonché Vicepresidente del Consiglio della Repubblica Italiana – il principale responsabile del flusso migratorio dall’Africa all’Europa.

Seguendo questo ragionamento, se la Francia togliesse la garanzia che permette alla loro moneta di non fluttuare le crisi migratorie si fermerebbero e gli stati africani finalmente svilupperebbero classe media, industria, agricoltura e servizi all’avanguardia. Dategli una moneta fluttuante statale e vedrete che in cinque anni faranno tutti come la Cina.

La spregiudicata mossa comunicativa del Movimento 5 Stelle è evidente: individuare una ed una sola causa del mancato sviluppo del continente africano e delle migrazioni e attribuirla ad un nemico ben preciso (la Francia, o meglio Macron) e che già di per sé sta storicamente antipatico a molti italiani. Ma finalmente sono arrivati i giustizieri che non hanno paura di dire le cose come stanno e di rompere gli equilibri geopolitici.

Intendiamoci: il Franco CFA è discusso, ed è ovviamente discutibile. Porta vantaggi e costi, così come qualsiasi scelta legata alla moneta. Vantaggi e svantaggi.

Da dove arriva il Franco CFA?

Di Battista mentre ci sventola in faccia la dura realtà del Franco CFA

Certo si sconta il passato coloniale. Certo le grandi potenze del XIX secolo si sono portate dietro i mercati delle colonie anche in seguito all’indipendenza, utilizzando strumenti più o meno criticabili che hanno loro permesso di mantenere più o meno ampie fette di controllo e potere. Certo questo ha rappresentato in alcuni casi un freno allo sviluppo del continente africano.

La semplificazione estrema delle problematiche però non solo non aiuta, ma rischia di fare ulteriori danni. La politica monetaria è qualcosa di assai complesso. La completa sovranità monetaria, quindi la possibilità di utilizzare le politiche monetarie per incidere sulle scelte economiche, sembra un’idea funzionale ad aumentare il benessere della popolazione. Ma se questa disponibilità porta ad una perdita di valore della moneta tale da indurre crisi finanziarie, ovvero a non avere più liquidità per pagare stipendi e debiti e non trovare chi te li presta, ecco che l’idea si trasforma in un boomerang.

Quando c’erano le colonie i sistemi economici erano chiusi. Non si scambiavano merci e soldi fra sistemi economici concorrenti, come quello francese e quello inglese. Gli inglesi avevano il loro mercato, i francesi il loro, gli spagnoli il loro. Il valore dei soldi era determinato dalle riserve auree dei paesi che emettevano moneta. Gli stati cioè garantivano il valore dei soldi emessi attraverso il loro oro, e gli scambi tra sistemi avvenivano quindi su base aurea. Le colonie “servivano” perché permettevano di stare dentro a questi sistemi chiusi. I paesi europei trovavano nelle colonie materie prime e mercati di consumatori.

Nel 1944 si passò al sistema di Bretton Woods, ovvero un sistema di tassi di cambio fissi fra monete dei vari paesi, fissati in relazione al dollaro il cui valore era fissato in relazione alle sue riserve auree. Questo sistema era garantito da alcune istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale che garantivano e compensavano i cambi fissati dagli accordi fra Stati.

Molti paesi africani giunsero all’indipendenza proprio negli anni in cui il sistema di Bretton Woods stava entrando in crisi, tanto che nel 1971 verrà superato da un sistema di cambi fluttuanti. In questo contesto le colonie francesi dell’Africa subsahariana (cioè quelle che facevano parte dell’Afrique Occidentale Française) hanno ottenuto l’indipendenza senza guerre civili, e hanno potuto scegliere fra una piena indipendenza o un sistema che li tenesse maggiormente legati al sistema economico francese, inclusa la faccenda dell’unione monetaria. Optarono tutti per la seconda strada ad eccezione della Guinea. I responsabili dei nuovi stati credevano che far parte di un sistema economico integrato fosse vantaggioso rispetto a chiudersi in se stessi.

La Francia concesse nei trattati per l’indipendenza di questi paesi il diritto di emettere moneta e di centralizzare le loro riserve auree in una Banca Centrale degli Stati dell’Africa dell’Ovest (BCEAO), la quale fu incaricata dagli stati appena indipendenti di emettere il Franco CFA, che così diventava Franco della Communauté Financière Africaine e non più franco delle colonie francesi d’Africa.

Come funziona il Franco CFA?

La moneta che fu scelta è una moneta legata ad un sistema di tasso fisso con la Francia. La Francia si impegna (ancora oggi) a garantire il tasso fisso, chiedendo la compartecipazione alla BCEAO: quando deve impiegare riserve per garantire il cambio, chiede il 50% alla Banca centrale africana e cosi si sono formati i 10 miliardi di riserve della BCEAO attualmente impiegate presso la Banca Centrale Francese.

Accanto a questi tre principi (cambi fissi, garanzia illimitata del Tesoro Francese per garantire il tasso e centralizzazione delle riserve su due livelli), l’unione monetaria si basa sulla libera circolazione di capitali tra i paesi aderenti. Dal 1994, in seguito ad una svalutazione l’Unione si è anche data parametri per far convergere le economie dei paesi aderenti.

Il Mali scelse inizialmente di avere una sua Banca Centrale, ma nel 1967 chiese di entrare in seguito alla crisi finanziaria (quando la domanda di denaro è superiore alle disponibilità, e stamparne non risolve il problema perché ne abbassa il valore) e fu definitivamente riammesso nel 1984. La Mauritania ne è uscita nel 1973. La Guinea è ancora oggi fuori. La Guinea Bissau è entrata a farne parte volontariamente nel 1997.

Mali, Guinea Bissau, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Niger, Senegal e Togo sono dunque gli otto paesi riuniti nell’Unione Economica e Monetaria dell’Africa dell’Ovest (UEMOA), e le scelte di politica monetaria sono decise dal consiglio dei ministri di questi paesi, che però due volte l’anno devono coordinarsi con il Tesoro Francese (i garanti del tasso fisso).

Allo stesso modo, il Franco CFA è adottato da altri sei paesi – Camerun, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Ciad, Guinea Equatoriale – che fanno parte di un’altra unione, la Comunità Economica e Monetaria dell’Africa Centrale (CEMAC), il cui Presidente si produce in questo grazioso messaggio di auguri:

Gli auguri di buon anno del Presidente della CEMAC

Qual è quindi l’impatto che l’adesione al Franco CFA ha avuto sullo sviluppo di questi paesi e sui flussi migratori verso l’Europa?

Praticamente nullo.

Se paragoniamo le performance in termini di Indice di Sviluppo Umano, notiamo che tutti questi paesi sono in fondo alla graduatoria, ma la realtà è che tutti i paesi africani sono in fondo alla graduatoria, che adottino o meno il Franco CFA.

Come è già stato fatto notare poi non è certo da questi paesi che proviene la maggior parte dei migranti africani che arrivano in Europa. Nel 2018 sono arrivate in Europa soprattutto persone dalla Guinea (che beffa, quella che aveva scelto di star fuori dall’Unione), Marocco, Mali, Siria, Afghanistan, Iraq, Algeria, Costa d’Avorio, Tunisia.

Ci sono insomma Mali e Costa d’Avorio in mezzo a tanti altri paesi che non hanno mai avuto il famigerato franco CFA. Pare quindi da escludere una correlazione diretta tra adozione del Franco CFA e flussi migratori.

Ricapitolando: i paesi adottano il Franco CFA su base volontaria e chi ha voluto uscirne ne è uscito senza problemi. Il livello di sviluppo di chi ne fa parte è di chi ne rimane fuori è di fatto molto simile. Le decisioni di politica monetaria sono prese di concerto con il Tesoro francese, ma dal consiglio dei ministri di questi paesi. Non c’è alcuna correlazione tra adozione del Franco CFA e migrazioni.

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