Site icon Le Nius

E basta, con sta storia del business dell’immigrazione

Reading Time: 3 minutes
@Les Champs Libres

Era uno slogan elettorale già di per sé molto antipatico. Ma finché è uno slogan elettorale, vale tutto. Poi è entrato nel contratto di governo, e va bene, è un contratto iper generico, c’era poco tempo, è solo un canovaccio.

Poi è entrato in Parlamento. E a pronunciarlo non sono stati più i due campioni della campagna elettorale – Salvini e Di Maio – ma un’istituzione della Repubblica, il neo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che in un passaggio breve e molto ripreso del suo discorso al Senato ha detto che:

metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà.

Che si usi uno slogan elettorale diventato luogo comune come fondamento di un programma di governo presentato al Parlamento mi sembra non più accettabile. Che lo si usi per di più senza apparente consapevolezza alcuna, di cosa significhi e di chi e cosa si vuole accusare di cosa.

Partiamo da una domanda di base: ma cosa significa business dell’immigrazione? Chi fa business con gli immigrati, secondo il Presidente del Consiglio? Chi gestisce centri di accoglienza in maniera criminale speculando sui migranti e sullo Stato? Non dando servizi e intascandosi i soldi? Oppure facendo pressioni più o meno mafiose per ottenere in gestione i centri di accoglienza?

No perché Presidente Conte questo non è business, questa è criminalità. Gestire un’azienda è business, falsificare i bilanci è reato. Se ci riferiamo a questi soggetti quando usiamo l’espressione “business dell’immigrazione” è il caso di smettere di usare la parola business, e impegnarsi a quantificare il fenomeno, e fare i nomi di organizzazioni e persone che rientrano in questa categoria, e dire che percentuale rappresentano di tutte le migliaia di organizzazioni e le decine di migliaia di persone che lavorano nel sistema di accoglienza dei migranti in Italia.

No perché Presidente Conte ammetterà che c’è il rischio che tutte quelle migliaia di organizzazioni e decine di migliaia di persone vengano considerate come criminali e speculatori anche se non rientrano nella categoria come lei la intende.

O forse rientra nella categoria del “fare business con l’immigrazione” chiunque gestisca un servizio di accoglienza non rimettendoci di tasca propria? Cioè praticamente tutti?

Allora vorrei chiedere a Conte: gestirebbe un servizio in perdita? L’università per cui lavora svolge attività di didattica e ricerca o è impegnata “nel business dell’istruzione”?

Le associazioni e cooperative che gestiscono servizi per disabili pensa che non abbiano dei margini di guadagno? Direbbe che svolgono attività di grande rilevanza sociale oppure che sono impegnate “nel business dei disabili”?

Le associazioni e cooperative che gestiscono asili nido pensa che non abbiano dei margini di guadagno? Direbbe che svolgono attività sociali ed educative primarie oppure che sono impegnate “nel business dei bambini”?

Perché questo strano accanimento solo sui servizi per i migranti? Perché forse il vero business in gioco qui è quello politico?

Nel discorso di Conte al Senato si dice poi che questo non meglio identificato business dell’immigrazione sarebbe “cresciuto a dismisura”. Un atto di fede, un dato di fatto che dobbiamo prendere come tale, visto che il fenomeno non è definito, figuriamoci quantificato.

E si dice anche un’altra cosa, infine: che il non definito e non-quantificato-ma-certamente-cresciuto-a-dismisura fenomeno del business dell’immigrazione cresce, lievita, minaccia la nostra società “sotto il mantello di una finta solidarietà”.

Ecco un Presidente del Consiglio capace di vedere il buono e il cattivo che si annida sotto i mantelli. In grado fin dal primo giorno di distribuire patenti di vera e finta solidarietà. Di delegittimare il lavoro quotidiano, faticoso, inventivo e passionale di migliaia di organizzazioni che operano senza secondi fini e soprattutto di decine di migliaia di persone, molte donne, molti giovani, che si spendono per trovare e sistemare appartamenti, gestire corsi di lingua, mediare con i padroni di casa e i vicini, andare al pronto soccorso il mercoledì notte o la domenica pomeriggio, costruire relazioni tra le persone straniere e i territori, offrire servizi il più possibile all’altezza.

Un esercito di finti solidali, impegnati a fare business con le genti venute dal mare. Sotto il mantello.

CONDIVIDI
Exit mobile version