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Quali sono le alternative agli accordi con la Libia per gestire le migrazioni?

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Il 28 gennaio, a pochi giorni dal rinnovo del memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2 febbraio, Giorgia Meloni si trovava a Tripoli per siglare un accordo sul gas da otto miliardi di dollari. L’incontro con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, è stata però anche l’occasione per ribadire la cooperazione tra i due paesi nel contrasto all’immigrazione irregolare, che, secondo la premier, necessita di soluzioni più efficaci. Una sembra essere stata trovata quello stesso giorno: l’accordo, siglato dai rispettivi ministri degli Esteri, per la consegna di cinque motovedette alla guardia costiera libica.

Queste si aggiungono alle altre forniture che, grazie al memorandum, negli ultimi sei anni l’Italia ha inviato in Libia per rintracciare i migranti in mare e riportarli indietro. Ma i finanziamenti non sono destinati solo alle imbarcazioni. In questo momento sono circa cinquemila le persone detenute arbitrariamente in centri di prigionia disumani, mantenuti anche grazie a denaro proveniente dall’Italia. Una collusione che diverse organizzazioni internazionali ritengono inaccettabile, ma alla quale nemmeno l’attuale governo, così come i precedenti, sembra voler porre rimedio.

L’argomentazione più ricorrente di chi si oppone all’abolizione del memorandum è che in sua assenza l’Italia assisterebbe a un flusso incontrollato di sbarchi. Ma è davvero così? Se l’obiettivo primario dei governi è il controllo delle migrazioni nel Mediterraneo e non la salvezza e accoglienza delle persone migranti, è ipotizzabile quantomeno una revisione degli accordi compatibile con il rispetto dei diritti umani? Quali sono le alternative agli accordi con la Libia?

Le criticità degli accordi con la Libia

La prima e unica richiesta di modifica degli accordi da parte del governo italiano è arrivata nel 2020, quando, in un tentativo maldestro di rispondere alle numerose prove delle violenze subite dai migranti in Libia, erano stati proposti alcuni cambiamenti nel testo del memorandum per «garantire più estese tutele ai migranti». Sebbene si trattasse di cambiamenti formali, la Libia aveva rifiutato la richiesta.

Matteo De Bellis, ricercatore di Amnesty International intervistato da Le Nius, ricorda come «da un punto di vista diplomatico è stato uno smacco per l’Italia. Nonostante ciò, si è deciso di proseguire con il testo originale, pur consapevoli delle atrocità che vengono commesse».

Un’eventuale proposta di modifica, quindi, potrebbe essere ancora una volta rifiutata dalla controparte libica, che non rappresenta, peraltro, un interlocutore affidabile. «Stiamo parlando di un paese in conflitto, nel quale bisognerebbe pensare a percorsi strutturali per la costituzione di uno Stato di diritto».

I civili in Libia, non soltanto i rifugiati, sono esposti a gravissime violazioni: si stima che nel Paese siano 803 mila le persone che avrebbero bisogno di assistenza umanitaria.

La sospensione del memorandum rimane, quindi, l’unica soluzione percorribile. Oltre che per l’insostenibilità delle atrocità commesse, anche perché gli accordi nascono da una premessa sbagliata: quella di un’Europa sotto assedio.

Il memorandum con la Libia, così come gli accordi con la Turchia, con il Niger o con altri paesi di transito, sono la conseguenza di una visione dell’asilo come un flusso enorme e incontenibile di persone, come se tutta l’Africa volesse venire in Europa. In realtà, secondo l’Unhcr, solo il 13% dei rifugiati del mondo trova asilo in Europa, il 70% arriva nei paesi confinanti a quelli d’origine e il resto nei paesi del mondo più poveri in assoluto.

Lo spiega a Le Nius Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università di Milano e consigliere del Cnel, secondo cui «la cultura dell’assedio porta a giustificare ogni tipo di soluzione che possa stornare la minaccia. Il problema, quindi, è prima di tutto di rappresentazione».

Parlare di ingressi irregolari è poi un modo sbagliato di impostare la questione. «Quando si parla di richiedenti asilo non ci si interroga primariamente sui modi in cui sono entrati, ma se hanno i titoli per chiedere protezione. Le leggi prevedono che se una persona viene riconosciuta come rifugiata, l’eventuale ingresso irregolare non conta più nulla».

Italian Coast Guard rescues migrants and refugees bound for Italy. © IOM/Francesco Malavolta 2014

Se si considera poi di primaria importanza il controllo degli sbarchi nel nostro paese, l’esternalizzazione delle frontiere, con il blocco delle persone migranti in Libia, si è rivelata, oltre che disumana, anche fallimentare. «Questo approccio può avere qualche risultato nel ridurre temporaneamente gli sbarchi, ma è una misura insostenibile nel lungo periodo» afferma De Bellis.

A fronte di oltre 360 mila persone sbarcate nel nostro paese dal 2017 a oggi, sono centomila le persone intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione nello stesso periodo. Una cifra immensa se si pensa alle violenze subite da ognuna di queste persone, ma esigua rispetto al numero totale di quelle che riescono ugualmente ad arrivare nel nostro paese.

Il terzo punto da tenere in considerazione è che i flussi migratori nel Mediterraneo centrale non dipendono solo dalla Libia. Le dinamiche migratorie sono strettamente legate agli sviluppi politici, economici e demografici che riguardano vaste regioni dell’Africa e dell’Asia, oltre che condizionate da conflitti armati e cambiamenti climatici.

Se anche la rotta dalla Libia dovesse essere chiusa, le persone in fuga dai paesi di origine ripiegherebbero su altre. Negli ultimi mesi del 2022 la Tunisia aveva superato la Libia per numero settimanale di sbarchi in Italia, mentre l’Algeria diventa sempre di più un paese cruciale per il transito.

Le alternative agli accordi con la Libia

Se l’obiettivo principale fosse, invece, la tutela dei diritti delle persone, le alternative agli accordi con la Libia esistono. Nel 2021, insieme a Human rights watch e Ecre, Amnesty aveva redatto un Plan of action, un documento in 20 punti sulle misure che i paesi europei dovrebbero adottare per far fronte alla situazione nel Mediterraneo centrale.

«Si tratta di gestire meglio i soccorsi in mare – spiega De Bellis -, investendo più risorse ma anche siglando accordi per lo sbarco e il ricollocamento delle persone. Pensiamo che i paesi europei debbano lavorare insieme, facendo sì che non siano solo l’Italia o Malta a offrire asilo».

Sui rapporti con la Libia, si raccomanda di limitare qualsiasi cooperazione con la guardia costiera libica, se non strettamente necessaria a salvare vite umane, e di subordinare eventuali collaborazioni al rispetto di una serie di punti, tra cui il rilascio dei detenuti e la creazione di meccanismi nazionali di monitoraggio dei flussi migratori che siano indipendenti e imparziali.

Un’alternativa è di agire già nei luoghi di transito, quelli che si trovano sulle rotte migratorie. «Come il Libano nel caso dei migranti siriani o il Pakistan per gli afghani – spiega Ambrosini -. Lì il rifugiato trova assistenza ma in misure spesso insufficienti, perché la comunità internazionale investe risorse bastevoli a una protezione precaria. Dopo un periodo di permanenza nel luogo di primo asilo, le persone potrebbero avere la necessità di essere reinsediate altrove. Bisogna fare un passo in avanti, garantendo la presenza di organizzazioni, coordinate dai governi internazionali, che esaminino le domande dei richiedenti asilo, diano rapide risposte e, con un sistema di quote, si occupino del reinsediamento dei rifugiati all’interno dei paesi che accettano di collaborare».

Il reinsediamento è una politica che esiste da anni e che consente di fornire una sistemazione definitiva a circa 100 mila rifugiati l’anno. Le domande, però, erano oltre un milione nel 2022 e si stima arriveranno a due milioni nel corso di quest’anno.

Un meccanismo totalmente diverso da quello di redistribuzione europeo, che, continua Ambrosini, «tratta i rifugiati come rifiuti pericolosi, costringendoli a vivere in paesi dove non vogliono stare e che hanno poco da offrire. I rifugiati hanno giustamente le loro aspirazioni, preferenze, legami di parentela e sanno quali sono i paesi con mercati del lavoro più promettenti e welfare più robusti. Una redistribuzione che li mandi in Bulgaria o Romania quando desiderano invece andare in Germania, ed esempio, è un meccanismo inefficace e irriguardoso delle scelte delle persone».

Corridoi umanitari per fronteggiare l’emergenza in Libia

Ma ancor prima, se la condizione dei detenuti nelle prigioni libiche venisse correttamente considerata un’emergenza, si dovrebbe pensare all’attivazione di corridoi umanitari. Si tratta di una soluzione che consente arrivi legali, tramite preselezione dei soggetti vulnerabili, a chi ha il diritto di ottenere protezione.

Dato che la richiesta di asilo può essere presentata solo all’interno del territorio dello Stato e che i canali legali di ingresso sono fortemente limitati, i corridoi umanitari rappresentano una delle pochissime alternative ai pericolosi viaggi nelle mani dei trafficanti. Dal 2017 a oggi, però, tramite voli Unhcr l’Italia ha accolto poco più di un migliaio di persone provenienti dalla Libia. «Se ogni volta che un politico ha usato l’espressione “canali umanitari” almeno una persona ne avesse davvero usufruito – dice De Bellis -, ci troveremmo in un posto migliore di questo. Di canali umanitari ne parlano tutti ma poi vengono aperti con il contagocce».

Un’altra ipotesi che Ambrosini definisce «non utopistica», perché già esistente nell’armamentario legale e delle politiche sociali, è l’estensione a tutti i rifugiati dei diritti di cui hanno potuto godere gli ucraini dall’inizio dell’invasione russa.

Sono stati autorizzati ad attraversare il confine, a insediarsi dove volevano e inserirsi nel mercato del lavoro, nella scuola, nel sistema dei servizi. Se l’abbiamo fatto per 4,4 milioni di persone e non è crollata l’Europa, perché qualche migliaio di afghani e siriani, ad esempio, non potrebbero avere lo stesso diritto? Gli ucraini, inoltre, arrivano principalmente in gruppi di famiglie che hanno a carico bambini, disabili, anziani. Se volessi fare il ragioniere dello Stato potrei facilmente dimostrare che la loro accoglienza è più costosa di quella di uomini africani o siriani, che sono solitamente abili al lavoro e non accompagnati dalle famiglie.

Sul futuro del memorandum, invece, le speranze per Ambrosini «più che in una scelta del governo Meloni, stanno in una nuova visione politica a livello europeo». «Ma solo quando le migrazioni verranno viste non come un problema ma come la soluzione a grandi sfide epocali del futuro, come quella demografica o ambientale, allora capiremo che stiamo tutti meglio quanta più libertà c’è nel mondo» conclude De Bellis.

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