Quali sono le alternative agli accordi con la Libia per gestire le migrazioni?8 min read

8 Febbraio 2023 Politiche migratorie -

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Giornalista

Quali sono le alternative agli accordi con la Libia per gestire le migrazioni?8 min read

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Il 28 gennaio, a pochi giorni dal rinnovo del memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2 febbraio, Giorgia Meloni si trovava a Tripoli per siglare un accordo sul gas da otto miliardi di dollari. L’incontro con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, è stata però anche l’occasione per ribadire la cooperazione tra i due paesi nel contrasto all’immigrazione irregolare, che, secondo la premier, necessita di soluzioni più efficaci. Una sembra essere stata trovata quello stesso giorno: l’accordo, siglato dai rispettivi ministri degli Esteri, per la consegna di cinque motovedette alla guardia costiera libica.

Queste si aggiungono alle altre forniture che, grazie al memorandum, negli ultimi sei anni l’Italia ha inviato in Libia per rintracciare i migranti in mare e riportarli indietro. Ma i finanziamenti non sono destinati solo alle imbarcazioni. In questo momento sono circa cinquemila le persone detenute arbitrariamente in centri di prigionia disumani, mantenuti anche grazie a denaro proveniente dall’Italia. Una collusione che diverse organizzazioni internazionali ritengono inaccettabile, ma alla quale nemmeno l’attuale governo, così come i precedenti, sembra voler porre rimedio.

L’argomentazione più ricorrente di chi si oppone all’abolizione del memorandum è che in sua assenza l’Italia assisterebbe a un flusso incontrollato di sbarchi. Ma è davvero così? Se l’obiettivo primario dei governi è il controllo delle migrazioni nel Mediterraneo e non la salvezza e accoglienza delle persone migranti, è ipotizzabile quantomeno una revisione degli accordi compatibile con il rispetto dei diritti umani? Quali sono le alternative agli accordi con la Libia?

Le criticità degli accordi con la Libia

La prima e unica richiesta di modifica degli accordi da parte del governo italiano è arrivata nel 2020, quando, in un tentativo maldestro di rispondere alle numerose prove delle violenze subite dai migranti in Libia, erano stati proposti alcuni cambiamenti nel testo del memorandum per «garantire più estese tutele ai migranti». Sebbene si trattasse di cambiamenti formali, la Libia aveva rifiutato la richiesta.

Matteo De Bellis, ricercatore di Amnesty International intervistato da Le Nius, ricorda come «da un punto di vista diplomatico è stato uno smacco per l’Italia. Nonostante ciò, si è deciso di proseguire con il testo originale, pur consapevoli delle atrocità che vengono commesse».

Un’eventuale proposta di modifica, quindi, potrebbe essere ancora una volta rifiutata dalla controparte libica, che non rappresenta, peraltro, un interlocutore affidabile. «Stiamo parlando di un paese in conflitto, nel quale bisognerebbe pensare a percorsi strutturali per la costituzione di uno Stato di diritto».

I civili in Libia, non soltanto i rifugiati, sono esposti a gravissime violazioni: si stima che nel Paese siano 803 mila le persone che avrebbero bisogno di assistenza umanitaria.

La sospensione del memorandum rimane, quindi, l’unica soluzione percorribile. Oltre che per l’insostenibilità delle atrocità commesse, anche perché gli accordi nascono da una premessa sbagliata: quella di un’Europa sotto assedio.

Il memorandum con la Libia, così come gli accordi con la Turchia, con il Niger o con altri paesi di transito, sono la conseguenza di una visione dell’asilo come un flusso enorme e incontenibile di persone, come se tutta l’Africa volesse venire in Europa. In realtà, secondo l’Unhcr, solo il 13% dei rifugiati del mondo trova asilo in Europa, il 70% arriva nei paesi confinanti a quelli d’origine e il resto nei paesi del mondo più poveri in assoluto.

Lo spiega a Le Nius Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università di Milano e consigliere del Cnel, secondo cui «la cultura dell’assedio porta a giustificare ogni tipo di soluzione che possa stornare la minaccia. Il problema, quindi, è prima di tutto di rappresentazione».

Parlare di ingressi irregolari è poi un modo sbagliato di impostare la questione. «Quando si parla di richiedenti asilo non ci si interroga primariamente sui modi in cui sono entrati, ma se hanno i titoli per chiedere protezione. Le leggi prevedono che se una persona viene riconosciuta come rifugiata, l’eventuale ingresso irregolare non conta più nulla».

alternative agli accordi con la libia
Italian Coast Guard rescues migrants and refugees bound for Italy. © IOM/Francesco Malavolta 2014

Se si considera poi di primaria importanza il controllo degli sbarchi nel nostro paese, l’esternalizzazione delle frontiere, con il blocco delle persone migranti in Libia, si è rivelata, oltre che disumana, anche fallimentare. «Questo approccio può avere qualche risultato nel ridurre temporaneamente gli sbarchi, ma è una misura insostenibile nel lungo periodo» afferma De Bellis.

A fronte di oltre 360 mila persone sbarcate nel nostro paese dal 2017 a oggi, sono centomila le persone intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione nello stesso periodo. Una cifra immensa se si pensa alle violenze subite da ognuna di queste persone, ma esigua rispetto al numero totale di quelle che riescono ugualmente ad arrivare nel nostro paese.

Il terzo punto da tenere in considerazione è che i flussi migratori nel Mediterraneo centrale non dipendono solo dalla Libia. Le dinamiche migratorie sono strettamente legate agli sviluppi politici, economici e demografici che riguardano vaste regioni dell’Africa e dell’Asia, oltre che condizionate da conflitti armati e cambiamenti climatici.

Se anche la rotta dalla Libia dovesse essere chiusa, le persone in fuga dai paesi di origine ripiegherebbero su altre. Negli ultimi mesi del 2022 la Tunisia aveva superato la Libia per numero settimanale di sbarchi in Italia, mentre l’Algeria diventa sempre di più un paese cruciale per il transito.

Le alternative agli accordi con la Libia

Se l’obiettivo principale fosse, invece, la tutela dei diritti delle persone, le alternative agli accordi con la Libia esistono. Nel 2021, insieme a Human rights watch e Ecre, Amnesty aveva redatto un Plan of action, un documento in 20 punti sulle misure che i paesi europei dovrebbero adottare per far fronte alla situazione nel Mediterraneo centrale.

«Si tratta di gestire meglio i soccorsi in mare – spiega De Bellis -, investendo più risorse ma anche siglando accordi per lo sbarco e il ricollocamento delle persone. Pensiamo che i paesi europei debbano lavorare insieme, facendo sì che non siano solo l’Italia o Malta a offrire asilo».

Sui rapporti con la Libia, si raccomanda di limitare qualsiasi cooperazione con la guardia costiera libica, se non strettamente necessaria a salvare vite umane, e di subordinare eventuali collaborazioni al rispetto di una serie di punti, tra cui il rilascio dei detenuti e la creazione di meccanismi nazionali di monitoraggio dei flussi migratori che siano indipendenti e imparziali.

Un’alternativa è di agire già nei luoghi di transito, quelli che si trovano sulle rotte migratorie. «Come il Libano nel caso dei migranti siriani o il Pakistan per gli afghani – spiega Ambrosini -. Lì il rifugiato trova assistenza ma in misure spesso insufficienti, perché la comunità internazionale investe risorse bastevoli a una protezione precaria. Dopo un periodo di permanenza nel luogo di primo asilo, le persone potrebbero avere la necessità di essere reinsediate altrove. Bisogna fare un passo in avanti, garantendo la presenza di organizzazioni, coordinate dai governi internazionali, che esaminino le domande dei richiedenti asilo, diano rapide risposte e, con un sistema di quote, si occupino del reinsediamento dei rifugiati all’interno dei paesi che accettano di collaborare».

Il reinsediamento è una politica che esiste da anni e che consente di fornire una sistemazione definitiva a circa 100 mila rifugiati l’anno. Le domande, però, erano oltre un milione nel 2022 e si stima arriveranno a due milioni nel corso di quest’anno.

Un meccanismo totalmente diverso da quello di redistribuzione europeo, che, continua Ambrosini, «tratta i rifugiati come rifiuti pericolosi, costringendoli a vivere in paesi dove non vogliono stare e che hanno poco da offrire. I rifugiati hanno giustamente le loro aspirazioni, preferenze, legami di parentela e sanno quali sono i paesi con mercati del lavoro più promettenti e welfare più robusti. Una redistribuzione che li mandi in Bulgaria o Romania quando desiderano invece andare in Germania, ed esempio, è un meccanismo inefficace e irriguardoso delle scelte delle persone».

Corridoi umanitari per fronteggiare l’emergenza in Libia

Ma ancor prima, se la condizione dei detenuti nelle prigioni libiche venisse correttamente considerata un’emergenza, si dovrebbe pensare all’attivazione di corridoi umanitari. Si tratta di una soluzione che consente arrivi legali, tramite preselezione dei soggetti vulnerabili, a chi ha il diritto di ottenere protezione.

Dato che la richiesta di asilo può essere presentata solo all’interno del territorio dello Stato e che i canali legali di ingresso sono fortemente limitati, i corridoi umanitari rappresentano una delle pochissime alternative ai pericolosi viaggi nelle mani dei trafficanti. Dal 2017 a oggi, però, tramite voli Unhcr l’Italia ha accolto poco più di un migliaio di persone provenienti dalla Libia. «Se ogni volta che un politico ha usato l’espressione “canali umanitari” almeno una persona ne avesse davvero usufruito – dice De Bellis -, ci troveremmo in un posto migliore di questo. Di canali umanitari ne parlano tutti ma poi vengono aperti con il contagocce».

Un’altra ipotesi che Ambrosini definisce «non utopistica», perché già esistente nell’armamentario legale e delle politiche sociali, è l’estensione a tutti i rifugiati dei diritti di cui hanno potuto godere gli ucraini dall’inizio dell’invasione russa.

Sono stati autorizzati ad attraversare il confine, a insediarsi dove volevano e inserirsi nel mercato del lavoro, nella scuola, nel sistema dei servizi. Se l’abbiamo fatto per 4,4 milioni di persone e non è crollata l’Europa, perché qualche migliaio di afghani e siriani, ad esempio, non potrebbero avere lo stesso diritto? Gli ucraini, inoltre, arrivano principalmente in gruppi di famiglie che hanno a carico bambini, disabili, anziani. Se volessi fare il ragioniere dello Stato potrei facilmente dimostrare che la loro accoglienza è più costosa di quella di uomini africani o siriani, che sono solitamente abili al lavoro e non accompagnati dalle famiglie.

Sul futuro del memorandum, invece, le speranze per Ambrosini «più che in una scelta del governo Meloni, stanno in una nuova visione politica a livello europeo». «Ma solo quando le migrazioni verranno viste non come un problema ma come la soluzione a grandi sfide epocali del futuro, come quella demografica o ambientale, allora capiremo che stiamo tutti meglio quanta più libertà c’è nel mondo» conclude De Bellis.

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Da sempre appassionata di comunicazione, ha studiato tra Palermo, Bologna e Torino. Ha un master in giornalismo e ha collaborato con La Stampa, Il manifesto e altri. Scrive di temi sociali, diritti, marginalità. Per Le Nius si occupa di migrazioni.
1 Commenti
  1. IB

    Questo articolo avrebbe la pretesa di analizzare "le alternative agli accordi con la libia per gestire le migrazioni", ma non penso che l'obiettivo sia stato effettivamente raggiunto. Da questo articolo ci si aspetterebbe l'analisi della situazione attuale, l'identificazione dei problemi, la formulazione delle azioni, la stima degli effetti. Il problema principale è che l'analisi iniziale è pesantemente parziale e superficiale. Questa è una fallacia della brutta china che innesca errori a cascata. Innanzitutto, confonde in modo colposo il significato di migrante, profugo, richiedente asilo e sfollato. Questo è evidente in frasi come "solo il 13% dei rifugiati del mondo trova asilo in Europa, il 70% arriva nei paesi confinanti". Gli sfollati si fermano prevalentemente a poca distanza dal luogo da cui partono proprio perché il presupposto è di volerci tornare appena viene meno il motivo che li ha spinti ad allontanarsene. È proprio quello che abbiamo visto succedere con la larghissima maggioranza degli ucraini che sono vicini al confine. Il problema è che i dati del ministero, il cruscotto migranti, ci dicono che gli sbarcati, in grandissima maggioranza, non sono sfollati, non sono profughi ma migranti economici. Non persone che fuggono temporaneamente da guerre o catastrofi, ma persone in cerca di un lavoro e/o una vita migliore che non vogliono tornare al loro paese. È un desiderio assolutamente legittimo e comprensibile, ma comunque contrario alle leggi vigenti. Da questo falso presupposto, vediamo gli effetti dello slippery slope in diverse frasi come "Le leggi prevedono che se una persona viene riconosciuta come rifugiata, l’eventuale ingresso irregolare non conta più nulla". Questa avrebbe senso se effettivamente sbarcassero solo profughi, ma questi sono circa solo il 15% degli sbarcati. Quindi è chiaro che è lecito porsi la questione del reato di immigrazione clandestina. Si vorrebbe far passare il sillogismo: sbarcano profughi, i profughi hanno diritto di arrivare per legge, quindi è giusto che arrivino. Però non sbarcano profughi e la legge dice che i clandestini devono essere espulsi. Allora con una piroetta parecchio ipocrita, la stessa legge cui ci si aggrappava per dire che possono arrivare diventa ingiusta proprio perché dice che non possono rimanere. Per un esempio concreto, basta vedere l'articolo su questo stesso sito sul migrante climatico pakistano. La stessa considerazione vale per "estensione a tutti i rifugiati dei diritti di cui hanno potuto godere gli ucraini". Però è falso affermare che la legge preveda profughi di serie A, gli ucraini, e altri di serie B. Un profugo ucraino ha gli stessi diritti di un profugo bengalese. La differenza è che tutti gli ucraini sono profughi, ma non tutti i bengalesi sono profughi. Quindi è decisamente ragionevole che i primi siano considerati tali in automatico, mentre i secondi siano soggetti alla valutazione delle commissioni territoriali per poter determinare se la loro domanda di asilo sia legittima. Limitarsi a citare "qualche migliaio di afghani e siriani" non fa che aumentare la confusione sulla questione. Il passo successivo dello slippery slope è la presentazione di azioni correttive. Il Plan of action di Amnesty è a dir poco ridicolo. In sostanza si limita a dire che chiunque va in Libia deve essere portato il prima possibile in Italia. Un piano che sarebbe corretto solo se il presupposto fosse proprio che sbarcano solo profughi che erano già presenti in Libia. Una specie di piano di evacuazione di un paese in guerra. Ma abbiamo già visto che è falso! Sopratutto, non si pone minimamente la questione di chi siano effettivamente queste persone. Gli sbarcati più numerosi del flusso ovest libico sono bengalesi. Cioé persone che hanno iniziato il loro viaggio a 8000km dalla Libia, pagando 8-10'000$ per entrarci e naufragare. Se formalizziamo il trasporto dalla Libia all'Italia di chiunque si trovi lì, l'effetto è quello di aumentare il numero di persone che decideranno di entrare in un territorio in guerra, con un grosso rischio di essere messi in carcere con l'accusa di immigrazione clandestina (e non "detenute arbitrariamente" come scritto nell'articolo). Quindi il problema non è il flusso che esce dalla Libia, ma quello che entra lì. Quindi, proprio per i rischi di entrare in un territorio in guerra, l'ipotesi che "la rotta dalla Libia dovesse essere chiusa" deve essere vista come una vittoria per salvaguardare la vita invece che l'opposto. In altri termini, attuare i 20 punti di Amnesty risolverebbe realmente il problema delle persone in Libia o farebbe solo aumentare il numero delle persone che ci vogliono andare? La risposta dovrebbe essere ovvia anche perché abbiamo già osservato il fenomeno durante la crisi dei migranti del 2015-2016, quando decine di migliaia di persone sono accorse di Libia per essere salvate. Con questi presupposti, viene spontaneo chiedersi perché la soluzione dovrebbe essere automatizzare il trasporto dalla Libia invece che consentire il libero ingresso in EU direttamente da Dhaka, con un semplice volo aereo. Sopratutto questo costerebbe meno di 8000$ e non verrebbero dati ai trafficanti. Questa prospettiva rende anche più intuitivo ragionare sulla dinamica causa-effetto del semplificare l'ingresso in EU. In altri termini, se fosse molto più semplice arrivare in Europa, quante persone arriverebbero? Dissertare sui metodi statistici per arrivarci certamente non si presta a un commento. Mi limito a dire che le stime sono possibili. Ad esempio, si potrebbe partire dalla curva della "gobba migratoria" ("Does Development Reduce Migration", Clemens, 2014). Dopo, si potrebbero considerare i paesi che si stanno approssimando all'apogeo della gobba e avremmo un dato grossolano di partenza. Comunque, per questa discussione, limitiamoci a considerazioni più semplici. Quali sono i paesi con la maggiore spinta migratoria verso l'Europa? Bangladesh (popolazione 167 milioni), Pakistan (230m), Egitto (110m) Nigeria (217m). Questi soli paesi assommano a 724 milioni, cioè quasi il doppio di tutta l'EU. Quanti sono i migranti che potremmo aspettarci da queste nazioni? Il 5%? 36 milioni di persone? Penso non sia necessario commentare su cosa significherebbe realmente. Con questo arriviamo in fondo allo slippery slope: le conseguenze. Queste vengono sì considerate, ma solo dalla prospettiva dei migranti. Un esempio è "I rifugiati hanno giustamente le loro aspirazioni {...} un meccanismo inefficace e irriguardoso delle scelte delle persone". È una cosa molto bella e auspicabile, ma è anche plausibile? Sarebbe come dire che vogliamo consentire la mobilità incondizionata. È sostenibile? Che conseguenze avrebbe? Anche a molti italiani piacerebbe vivere negli USA, Canada, Australia, Svizzera, ma non è possibile farlo incondizionatamente. Perché non è possibile? Che impatto ha sulla societa? In altri termini, è vero che "le migrazioni verranno viste non come un problema ma come la soluzione a grandi sfide epocali del futuro, come quella demografica o ambientale, allora capiremo che stiamo tutti meglio quanta più libertà c’è nel mondo"? Occorre essere molto chiari. De Bellis non sta dicendo che i migranti vanno accettati per un dovere etico o costituzionale. Questo potrebbe pure essere vero. Dice proprio che queste persone migliorerebbero la nostra società. Questo è decisamente più opinabile. È vero che la società sarebbe migliore? Se guardiamo alla situazione attuale, possiamo dire con certezza che è vero il contrario. Gli sbarcati sono mediamente un costo economico e sociale. È vero che alcuni presunti esperti (es. fondazione Moressa) affermano il contrario, ma le loro tesi sono talmente pretestuose da poter essere confutate facilmente da chiunque. La maggioranza assoluta degli sbarcati è destinata ad alimentare l'esercito dei clandestini ed è chiaro che questi sono un costo netto. La minoranza ottiene una qualche forma di protezione. Quindi persone con gli stessi diritti di un autoctono. Ciononostante, ISPI ci dice che in tutta Europa impiegano mediamente 15 anni a trovare lavoro. Quindi, anche questi per 15 anni sono un costo. Purtroppo, anche quando finalmente trovano lavoro non aiutano l'economia. Infatti, le statistiche ci dicono che il loro introito lordo medio annuale è di circa 11 mila euro. In altri termini, mediamente, quasi non pagano tasse. Allora i conti della Moressa, effettivamente, cosa dicono? I conti sembrano tornare perché i migranti sono mediamente giovani e quindi non percepiscono alcuna pensione, ma effettivamente quasi non contruiscono nemmeno a pagarle. In altri termini, i conti seppure di molto poco, sembrano essere favorevoli, ma nel momento i cui anche i migranti andranno in pensione, la situazione peggiorerà parecchio. Questo è solo l'effetto diretto. L'effetto indiretto è che l'immissione di profughi, da un punto di vista sociale, NON equivale a immettere lavoratori che aiuterebbero l'economia. Bensi equivale a immettere disoccupati. È il famoso "esercito industriale di riserva" Marxiano che PEGGIORA l'economia e fa abbassare i salari. Certo, non li fa abbassare a tutti. I profughi nostrani entrano in compezione salariale e sociale con le fasce più deboli già presenti nella nostra società. È la famosa "guerra tra poveri". Per questo non stupisce che siano queste stesse fasce sociali a votare per FdI invece che PD, come sarebbe lecito aspettarsi. Quando si parla di "sfide epocali del futuro, come quella demografica o ambientale", occorre capire che l'EU NON ha bisogno di persone, ma di LAVORATORI. Al contrario, i loro paese di partenza hanno bisogno di diminuire le persone e non aumentarle, ma per ora è abbastanza utopico. L'articolo si chiude con "stiamo tutti meglio quanta più libertà c’è nel mondo". Finalmente si scoprono le carte. Si parla dell'abbattimento incondizionato delle frontiere, libertà totale, un livellamento globale. Innanzitutto, l'assenza di regole è libertà o anarchia? La risposta ci viene dall'analisi delle conseguenze. In un mondo perfettamente omogeneo, etico e giusto, sarebbe libertà, ma il mondo di oggi non è nè omogeneo nè etico nè giusto... OGGI tutti vorrebbero vivere in quei pochi posti dove sappiamo si vive meglio. In pratica, signica che se una persona oggi vive in una baraccopoli africana, anche solo vivere in una baraccopoli alla periferia di una città europea sarebbe un miglioramento per questa persona, ma un peggioramento per chi già vive in Europa. In questo stesso scenario, se un industriale pubblicasse un'offerta per un lavoro non qualificato, ci sarebbero centinaia o anche migliaia di persone disposte a farlo. L'incubo di qualunque lavoratore e il sogno di qualunque industriale. L'inserimento nella società di fette sempre più consistenti di poveri avrebbero l'effettivo di aumentare di poco il PIL totale (più consumatori), ma anche di abbassare il PIL pro-capite. Il problema è che è quest'ultimo e non il primo che impatta sul welfare e sui servizi di base. Questo accade perché ci sono più persone che usano la sanità, ma ci sono meno soldi pro-capite per pagarla. La conseguenza, già visibile in diversi paesi, è l'insostenibile della sanità pubblica e la sua progressiva privatizzazione. È chiaro che l'immigrazione è solo una delle ragioni. La speculazione è un'altra ragione anche più preponderante. Ciò però introduce anche una questione diversa cioè l'immigrazione come un fenomeno pilotato o comunque sfruttato dai poteri forti: politica, industriali, mafia etc. L'immigrazione è un perfetto strumento di distrazione di massa che altera gli equilibri della società. Altera gli equilibri delle contrattazioni: aumenta la disponibilità di manodopera, quindi il datore di lavoro acquisisce potere contrattuale a discapito dei lavoro e questo innesca il dumping salariale o comunque una perdita dei diritti dei lavoratori. Chi arriva non ha proprio niente. Così i poveri nostrani si ritrovano a non essere più i più poveri in assoluto e rivolgono le proteste verso il basso invece che verso l'alto. È un meccanismo che aumenta la polarizzazione della società con ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri e un ceto medio che si assottiglia sempre più schiacciato dall'impossibilità di sostenere tutto. È un mondo migliore? Sì, ma solo si è tra i pochi fortunati che fanno parte dell'elite.

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