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L’affluenza è un fatto secondario

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L’affluenza deve preoccupare, ma è un problema secondario

Il commento di Matteo Renzi alle regionali emiliane fa discutere l’opinione pubblica. Il rottamatore ricorda le cinque regioni su cinque conquistate dall’inizio dell’era del boy scout, annoverando questi risultati (e il 40% conquistato nelle anch’esse non molto partecipate europee) fra quelli che confermerebbero il consenso generale alle sue riforme.

Chi non la pensa così è ovviamente la minoranza PD. I Bersaniani ricordano ormai con nostalgia l’Emilia Romagna con il suo 88% di affluenza, serbatoio inesauribile di voti per gli eredi del glorioso PCI, lamentando lo sgretolamento della base elettorale del partito che ha visto dimezzare clamorosamente i suoi consensi in meno di sei mesi.

Il mood bersaniano fa il paio con le lacrime versate da Livia Turco per la poca considerazione data da Matteo Renzi agli iscritti storici, alla famosa “base”, a dire il vero sempre evocata dalle minoranze del partitone per attaccare i suoi vertici, anche quando questi erano occupati proprio dalle Turco e dai Bersani.

Ma se l’Unità non esiste più, dopo che anche l’ultimo dei suoi distributori porta a porta della domenica ha ormai i capelli bianchi, e le Feste ad esso dedicate hanno da tempo perso significato trasformandosi in fiere di musica peruviana e magliette del Che o scomparendo, se le sezioni chiudono per mancanza di iscritti e le federazioni devono abbandonare le sedi storiche per mancanza di fondi la colpa non è certo (o non è solo) dell’ex sindaco di Firenze.

L’affluenza è un fatto secondario: il modello anglosassone e americano

Per anni si è parlato di partito liquido, mentre si faceva finta di non vedere che, soprattutto al sud, le sezioni e i circoli si trasformavano in comitati elettorali dei Ras del voto. E nel partito liquido emerge chi sa nuotare più forte e più veloce, magari perché più giovane. Renzi non è che il risultato di una transizione arrivata a suo compimento con la trasformazione dell’elettorato stesso in un corpo liquido, pronto ad essere travasato da un contenitore all’altro, o a rimanere dentro la bottiglia, a secondo della contingenza.

E fanno bene infine, i Renziani, a ricordare le (bassissime) percentuali di voto dei Paesi anglosassoni, chiedendo provocatoriamente se quelle non siano da considerare democrazie. Dimenticano però, forse, che i successi dei democratici a stelle e strisce si sono sempre avverati puntando proprio sull’aumento del quorum, sul coinvolgimento decisionale delle minoranze e degli ultimi tradizionalmente e sistematicamente esclusi dal gioco politico. E che in Inghilterra l’aumento dell’astensionismo ha significato l’avanzata dello xenofobo e antieuropeista Ukip di Nigel Garage.

Il Premier si è insomma impegnato in un gioco pericoloso perché meno persone votano e più si fa sentire il peso delle formazioni come la nuova Lega di Salvini, capace di intercettare il dissenso degli astensionisti canalizzandolo in una delle poche ideologie sopravvissute alla fine del ventesimo secolo, quel nazionalismo 2.0 che tanto successo miete in Europa.

I risultati elettorali infine hanno dimostrato come il Movimento 5 Stelle avesse fatto la migliore domanda possibile a questa politica, interpretando il sentimento di milioni di elettori scontenti. La fortuna di Renzi, fino a questo momento, è quella che a questa domanda è stata data la peggiore risposta possibile ingaggiando una improbabile rincorsa a destra destinata ad essere interrotta quando da quelle parti fosse emerso un leader come Salvini pronto a mettere la freccia e a sorpassare il Movimento in ferocia e determinazione.

Saldo sul ponte di comando capitan Matteo può quindi continuare a veleggiare verso nuovi orizzonti, nonostante il calo fisiologico dei rematori ingaggiati, almeno fino a quando i ghiaccioli incontrati finora non si trasformeranno in pericolosi iceberg.

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