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La vita di Adele

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Poteva essere un film facile, che ricalcando il fumetto trendy Il blu è un colore caldo, faceva audience per le scene di sesso lesbico. Al massimo poteva fungere da efficace portabandiera ideologico dell’amore gay.

Invece La vita di Adele è finalmente un film universale, in cui si vedono le smagliature, in cui chi piange, piange anche con il naso; in cui capita di parlare con la bocca piena e di innamorarsi di una persona per quello che è, a prescindere da altro.

Attraverso primi piani insistiti e riprese volutamente poco rifinite, un ritratto della verità di quei sentimenti a cui non riusciamo a rinunciare e della voragine in cui si sprofonda in seguito alla rottura dell’ideale, dove l’altro è simbolo infranto che ti spacca la vita. Una vita che nonostante tutto è un’opera d’arte.

Le inquadrature insistono sulla bocca di Adele dal labbro leporino, metafora della sua apertura famelica, anche quando dorme. Non casuale l’insistenza sulle scene dei pasti: quei connubi tra spaghetti al ragù e ostriche, in un tripudio dell’organico e del corporeo.

Il film è stato accusato di rifarsi a cliché, come i genitori benpensanti o le amiche di Adele. Le “amiche” non accettano la diversità di Adele, perché sono delle ragazzine insicure che si nascondono nel branco. Adele va dritta per la sua strada. Una strada solo sua, con pochi lustrini, ma vera.

Adele fa le sue scelte, anche se il resto del mondo sembra non capire, perché al resto del mondo non interessa aprirsi alla vita, se non in situazioni riconoscibili, come le manifestazioni in piazza, o le mostre. Al mondo una che si occupa di bambini non pare faccia qualcosa di esaltante. Si vogliono carriere di prestigio, o tanti soldi, oppure l’espressione narcisistica di sé, travestita da nobile causa a cui sacrificare tutto. Questo fa male alle persone, perché le snatura.

Invece Adele è natura, come gli alberi, come l’acqua, segue cicli propri, la sua forza risiede nella sua stessa fragilità. Adele è un piccolo essere gigante, che vibra in sintonia col cosmo, è pura energia. Dischiude il corpo e l’anima al sole, all’acqua o a ciò che arriva: è permeabile. Non è un caso che sia scelta come modella per quadri che vogliono esprimere qualcosa di intenso e autentico.

La fisicità nella Vita di Adele è così eloquente che prende corpo nelle insistite scene di sesso, in cui la sessualità non è lubrica, ammiccante al voyeurismo dello spettatore, ma è danza, espressione di intensità. Le attrici non hanno bisogno di sedurre lo spettatore: sono ciò che sono.

Si assiste a un sublime che può spaventare, come un mare in tempesta fatto da un groviglio di due serpenti marini primordiali, femmina. Una figura quasi mitologica, un archetipo femminile. Uno scambio in cui il corpo è anima e l’anima è corpo, concetto di una potenza tutta femminile, in cui il maschile spesso annaspa.

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