La vita di Adele2 min read

11 Dicembre 2013 Cultura -

La vita di Adele2 min read

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Vita di AdelePoteva essere un film facile, che ricalcando il fumetto trendy Il blu è un colore caldo, faceva audience per le scene di sesso lesbico. Al massimo poteva fungere da efficace portabandiera ideologico dell’amore gay.

Invece La vita di Adele è finalmente un film universale, in cui si vedono le smagliature, in cui chi piange, piange anche con il naso; in cui capita di parlare con la bocca piena e di innamorarsi di una persona per quello che è, a prescindere da altro.

Attraverso primi piani insistiti e riprese volutamente poco rifinite, un ritratto della verità di quei sentimenti a cui non riusciamo a rinunciare e della voragine in cui si sprofonda in seguito alla rottura dell’ideale, dove l’altro è simbolo infranto che ti spacca la vita. Una vita che nonostante tutto è un’opera d’arte.

Le inquadrature insistono sulla bocca di Adele dal labbro leporino, metafora della sua apertura famelica, anche quando dorme. Non casuale l’insistenza sulle scene dei pasti: quei connubi tra spaghetti al ragù e ostriche, in un tripudio dell’organico e del corporeo.

Il film è stato accusato di rifarsi a cliché, come i genitori benpensanti o le amiche di Adele. Le “amiche” non accettano la diversità di Adele, perché sono delle ragazzine insicure che si nascondono nel branco. Adele va dritta per la sua strada. Una strada solo sua, con pochi lustrini, ma vera.

Adele fa le sue scelte, anche se il resto del mondo sembra non capire, perché al resto del mondo non interessa aprirsi alla vita, se non in situazioni riconoscibili, come le manifestazioni in piazza, o le mostre. Al mondo una che si occupa di bambini non pare faccia qualcosa di esaltante. Si vogliono carriere di prestigio, o tanti soldi, oppure l’espressione narcisistica di sé, travestita da nobile causa a cui sacrificare tutto. Questo fa male alle persone, perché le snatura.

Invece Adele è natura, come gli alberi, come l’acqua, segue cicli propri, la sua forza risiede nella sua stessa fragilità. Adele è un piccolo essere gigante, che vibra in sintonia col cosmo, è pura energia. Dischiude il corpo e l’anima al sole, all’acqua o a ciò che arriva: è permeabile. Non è un caso che sia scelta come modella per quadri che vogliono esprimere qualcosa di intenso e autentico.

La fisicità nella Vita di Adele è così eloquente che prende corpo nelle insistite scene di sesso, in cui la sessualità non è lubrica, ammiccante al voyeurismo dello spettatore, ma è danza, espressione di intensità. Le attrici non hanno bisogno di sedurre lo spettatore: sono ciò che sono.

Si assiste a un sublime che può spaventare, come un mare in tempesta fatto da un groviglio di due serpenti marini primordiali, femmina. Una figura quasi mitologica, un archetipo femminile. Uno scambio in cui il corpo è anima e l’anima è corpo, concetto di una potenza tutta femminile, in cui il maschile spesso annaspa.

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Nata milanese, naturalizzata scozzese, morta veneziana, risorta in riva al Piave. Con alle spalle 12 traslochi e 2 lauree (lingue e arti visive), l'ex poetessa della classe non ha ancora capito cosa farà da grande, intanto si interessa di quasi tutto, a fasi. Qui è amante di cause perse, tipo comunicare.
15 Commenti
  1. fabio

    Non ho visto il film ma dalla tua analisi sembra una pellicola che descrive in maniera non banale un'età che già di per sè è difficile incasellare, oltremodo complicato renderne le sfumature, anche quelle più dolorose, in qualche ora di girato. Da aggiungere alla lista (anche se adesso sono in trip col signor Fellini!)

    • Chiara

      Sì, l'adolescenza, che tra l'altro per una combinazione di fattori oggi si protrae sempre più a lungo … difficile, molto. Il film poi per alcuni difficile da guardare, alcuni spettatori in sala parlavano sopra al film per mettere uno schermo tra sè e lo schermo, alcuni se ne sono andati con aria sdegnata; forse non tutti sopportano di vedere la realtà.

  2. Paola

    La vita di Adele è un film particolarmente lungo, aderente alla realtà di oggi, che inquadra la vita di una giovane ragazza, Adele, che si sente 'fuori posto', in una società che non è ancora in grado di capirla. Ella cerca solo amore che troverà in Emma, la ragazza dai capelli blu. Il regista insiste, forse troppo, sui primi piani che risultano particolarmente intensi e passionali, ma aderenti al vero. E' un film che si può capire se si è in armonia con la natura, scevri da ogni preconcetto, quindi in grado di emozionarsi.

    • Chiara

      Questa Paola può essere una chiave di lettura e, naturalmente, ogni film ci fa un effetto diverso, che dipende anche dalla nostra soggettività, esperienza di vita, sentire del momento e l'elenco potrebbe continuare. Quello che trovo stimolante è proprio condividere le sensazione e le riflessioni che mi ha suscitato un film, soprattutto quando il film fa discutere per vari motivi, quando suscita reazioni decise.

  3. lorenzo

    In "La coquille et le clergyman", Antonin Artaud nel 1928, affermava: "La pelle umana delle cose, il derma della realtà, ecco con che cosa gioca anzitutto il cinema". Da ciò che scrivi sembra che questo film, in cui la fisicità o meglio proprio la corporeità "liberata" hanno una parte così importante, intenda aspirare ad una sorta di "purezza" della percezione del corpo e tenda a rifiutare decisamente la mediazione degli stereotipi, di cui abitualmente il cinema (ma anche la fotografia) abbonda. Una visione non così dissimile da quella, fondamentalmente teatrale, di Artaud, grande estimatore della fisicità, di cui considerava perfetta espressione la danza balinese con le sue precisa caratteristiche ritualizzate e codificate.

    • Chiara

      effettivamente quella tra Emma e Adele potrebbe proprio essere vista come una danza balinese nel senso di Artaud, anche se non altrettanto codificata e codificabile. Bellissima questa immagine della pelle umana delle cose, del derma della realtà legato al cinema, e ancor prima, al teatro della fisicità! Non a caso i dialoghi non sono la cosa più riuscita del film, perché più che altro è la teatralità del corpo a parlare.

  4. marisa

    Ci sono molte cose che si possono dire su questo film. Si apre a mille interpretazioni. Si nota, a mio parere, la fortissima presenza di un precedente taglio da "graphic novel" (scelta dele inquadrature, insistenza su alcune immagini - vedi la ripresa dall'alto dei due corpi nudi sul letto e la loro posizione - e cura dei particolari di alcune immagini). Sarebbe interessante fare la comparazione fra le due opere e analizzarne similitudini e differenze.

    • Chiara

      Interessante questo parallelismo con il graphic novel, Marisa. Io l'ho letto sul web, per curiosità, e ho visto che ci sono alcune differenze di trama, ma non sono un'esperta del genere. Ho desunto da recensioni varie che lo stile del novel non è particolarmente innovativo, lo è più l'idea, e pare che nel complesso il film sia più speciale, ma io non me ne intendo.

      • marisa

        Non sono un'esperta in materia Chiara, ma l'argomento mi incuriosisce molto... L'ambito del graphic novel e della loro resa sul grande schermo, come da operazione svolta con Persepolis, sembra una sorta di nuovo ambito da esplorare. Chissà, magari mi do anch'io alla lettura del graphic novel e mi faccio un'opinione! Mi sa però che occorrebbe studiare i codici linguistici, semiotici di tutti gli ambiti coinvolti per non ritrovarmi a dire schiocchezze...

        • Chiara

          Per me le contaminazioni sono quasi sempre interessanti, hanno di per sé un potenziale creativo dovuto all'apertura all'apparentemente diverso. Se senti questo interesse portalo avanti, c'è sempre un motivo se qualcosa ci prende in modo speciale, forse ti rivelerà qualcosa di te. Fai bene a non essere semplicista e a volerti informare, però ogni parere rivela qualcosa, anche se sembra sciocco, per cui non avere paura di esprimere qui o altrove le tue impressioni. Tanto in questi ambiti nessuno ha oro colato in mano, si esplora, si fanno ipotesi, si fa un volo con poche reti ogni volta che si prova a interpretare qualcosa, ma non esistono risposte univoche. Il film avrà un seguito, magari nel frattempo tu leggerai il fumetto e tornerai qui a lanciare splendidi fili nell'aria. Grazie, Marisa.

  5. Pier

    Di solito il cinema è messa in scena, rappresentazione, posa -ci sono infatti i ''teatri di posa'' - , cioè ''azione'' -gli ''atti'' dello spettacolo teatrale- ma qui il regista Kechiche sembra lasciare, togliersi, fare un passo indietro. Uno sguardo autenticamente rispettoso, accettante, non manipolatorio, che lascia vivere e fluire i personaggi nel loro quotidiano. Uno sguardo che sembra non intervenire, né giudicare. Anche nella sua ''Venere nera'' (2010) il vedere era fondamentale, ma in quel caso un vedere lubrico, voyeuristico, meschino, proprio di una società, quella ottocentesca, tutta impegnata a costruirsi -e a chiudersi -, e perciò desiderosa di isolare, condannare, creare mostri -come la povera Venere ottentotta - rispetto ai quali dichiarare la propia sedicente purezza

    • Chiara

      bello e durissimo da vedere quel film sulla Venere nera, mi ha lasciato il segno. Terribile scoprire come l'antropologia, nelle sue fasi embrionali, sia passata anche da lì, dall'esposizione dei "selvaggi" come animali da circo. Di questo film ho apprezzato che non ci sono i soliti tentativi di sedurre lo spettatore, le attrici son poco pettinate, quasi niente truccate, non ammiccano allo spettatore in pose sexy, vivono e basta. Certi film ci hanno abituato a zuccherini (quelli sentimentali e romantici con happy end) o a ali di pollo piccanti (penso a quelli di action e violenza), altri a torte a 5 strati (c'è dentro tutto e di più: troppo e troppo veloce ma lungo). Qui a volte è lungo e insiste senza voler sedurre, per cui può annoiare, come può essere noiosa la vita nel suo scorrere. Mi sembra sana cucina casalinga insomma, comprese le verze bollite di contorno, che non piacciono molto ma fan bene.

      • Chiara

        (…) ma non mi fraintendete, non ci son solo le verze, ci sono anche le lasagne, ma non per forza solo quelle alla bolognese, magari anche al pesto. e pollo arrosto un po' unto o pizza margherita da mangiare rigorosamente come la Regina Margherita, cioè con le dita!

  6. Giulia

    Brava Chiara! Avevo "in lista" il film tra quelli da non perdere... Mi è piaciuto moltoil tuo commento che sento molto autenticamente tuo, intenso, vero, soprattutto quando apprezzi, in questo film, il tentativo di superare gli schemi, andare oltre le "situazioni riconoscibili" e l' uso di codici "altri". Ho apprezzato anche i contributi di Marisa, Lorenzo, Pier... Insomma sono ancora più motivata ad andare a vederlo!

    • Chiara

      Sì è uno di quei film che prima di tutto vai a vedere per curiosità. Non scrivo spesso di film perché per farlo come si deve so che avrei bisogno di vederli almeno due volte a causa della mia scarsa capacità di distacco. Per notare certi dettagli è necessario rimanere fuori dal film, cosa che non mi riesce di fare alla prima visione. Quindi son consapevole dei pregi e del rischio di offrire una chiave di lettura molto personale e epidermica, anche se cerco di evitare di proiettare troppo di me nel film. In questo caso scrivere un commento è stata un'esigenza che non ho potuto frenare, quindi l'ho seguita, correndo questo rischio.

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