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Uscire dall’euro: soluzione o inutile scorciatoia?

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@Pixabay

A pochi mesi dalle elezioni europee, un virus apparentemente incontrastabile ha ormai contagiato il vecchio continente: il sovranismo antieuropeista. Cinque anni fa i partiti no euro erano più uno spettro, oggi sono vere e proprie forze di governo e opposizione in diversi paesi europei. La storia si ripete: nei momenti difficili vince chi indica più chiaramente il nemico esterno, qualcuno o qualcosa che possa incarnare il ruolo del cattivo. Senza il quale tutto sarà più semplice.

Il governo in Italia sembra averlo capito benissimo. Il nemico è rappresentato dai migranti, dall’Unione Europea, dai “poteri forti” e, più in generale, da chi si oppone al governo del cambiamento. L’uscita dalla moneta unica ha rappresentato in realtà il tema cruciale nei giorni della formazione del governo giallo verde, con Mattarella a dire no a Savona all’economia per il suo “chiacchieratissimo” piano B per un’uscita dall’euro come minore dei mali..

Il governo, a parole, ha cambiato posizione sia nella componente 5 stelle che in quella leghista, visto che nel 2013 entrambe le fazioni auspicavano una possibile uscita dall’euro. Nei fatti, però, le azioni dell’esecutivo vanno spesso in una direzione di scontro e frattura con le regole condivise all’interno dell’Unione. Soprattutto rispetto ad alcune “imposizioni” economiche.

Vale la pena, dunque, tornare sull’argomento: rompere con l’Europa e uscire dall’euro aiuterebbe l’Italia a intraprendere un percorso di crescita solido e duraturo? Ci libererebbe dal giogo di Bruxelles, dove vale la pena ricordarlo l’Italia è comunque sempre il terzo paese per importanza, tanto avversato da alcuni elementi di questo governo?

Coloro che sostengono a gran voce i vantaggi di un’uscita dall’Unione, puntano in particolare su due cavalli di battaglia: il ritorno alla sovranità monetaria (possibilità di stampare moneta a piacimento) e il guadagno di competitività dei prodotti e servizi made in Italy (grazie alla possibilità di svalutare la nuova moneta nazionale). Uscendo dall’euro l’Italia sarebbe, dunque, artefice del proprio destino, libera dai diktat di Bruxelles, e tornerebbe a crescere grazie a manovre economiche espansive e significative svalutazioni della “nuova Lira”. Ne siamo certi? Assolutamente no.

Uscire dall’euro: pro e contro

Riprendendosi la sovranità monetaria, la Banca d’Italia tornerebbe a stampare moneta decidendone la quantità in circolazione. Ciò permetterebbe di attuare politiche monetarie espansive che, attraverso la riduzione dei tassi di interesse e l’acquisto di titoli di stato italiani da parte della banca centrale, consentirebbero nel breve periodo, da un lato, di stimolare l’offerta di moneta delle banche alle imprese rilanciando gli investimenti e la produzione di beni e servizi; dall’altro, di “monetizzare” il debito pubblico comprimendo il costo del servizio sul debito.

Tuttavia, l’aumento della quantità di moneta circolante finirebbe prima o poi per esercitare forti pressioni inflazionistiche (i prezzi aumenterebbero più velocemente e significativamente) mentre la monetizzazione del debito favorirebbe comportamenti poco virtuosi in fatto di bilancio pubblico, come se ce ne fosse bisogno, data la possibilità di ricorrere liberamente alla banca centrale per l’acquisto di titoli di Stato.

La possibilità di adottare un regime di cambio flessibile condurrebbe immediatamente ad una svalutazione della nuova moneta nazionale capace, nel breve periodo, di rendere i prodotti italiani altamente competitivi sui mercati internazionali. L’effetto positivo, tuttavia, andrebbe ad esaurirsi nel medio-lungo periodo, per colpa dell’inflazione che ne seguirebbe (in caso di svalutazione molto significativa accompagnata da probabili politiche monetarie espansive) oppure a causa della diminuzione del potere di acquisto delle famiglie italiane che si troverebbero a fare i conti con beni stranieri sempre più cari. Basti pensare alla storia del nostro paese dagli anni ’70 fino all’ingresso nell’euro, una storia fatta di svalutazioni e fiammate inflazionistiche ma certamente non di memorabili periodi di crescita prolungata.

Uscire dall’euro rimarrebbe l’ennesima scelta di un paese che non vuole affrontare i problemi che lo affliggono da tempo e che si accontenta di una scorciatoia. Una crescita duratura, infatti, può essere favorita esclusivamente da un programma di riforme che aggredisca i veri mali dell’economia italiana: la bassa produttività del lavoro, il lavoro sommerso e l’evasione fiscale. Solo per citare quelli più evidenti. La sfida sta proprio nel rimanere all’interno dell’Unione Europea e contribuire a renderla il contesto ideale nel quale realizzare le riforme di cui abbiamo bisogno. La sfida non è semplice ma è l’unica che abbia senso intraprendere.

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