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Prostituzione 1/5: cosa è cambiato dalla legge Merlin?

legge Merlin
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@Nina J.G.

Dallo scorso settembre si stanno raccogliendo firme, piuttosto sottotraccia, per abrogare la legge Merlin, la legge n.75 del 1958 che aveva chiuso le case di tolleranza e intendeva lottare contro lo sfruttamento della prostituzione. La volontà di togliere le prostitute dalle strade, con conseguente presunto miglioramento del pubblico decoro, di ostacolare papponi e intermediari e – last but not least – di assoggettare le prostitute alla legge e al fisco sono le motivazioni a sostegno di questa posizione.

Prostituzione di nuovo regolamentata, quindi, come più di cinquanta anni fa. Ai tempi della legge Merlin le prostitute erano per lo più ragazze italiane, di umili origini, “chiuse”, oltre che nelle famigerate case, in una modalità di sbarcare il lunario concepita in un’Italia ingenuamente impegnata nella transizione da società contadina a società industriale. Un modo, però, tanto deteriore quanto incoraggiato.

Deteriore perché contrario ai principi dominanti che rinchiudevano il sesso nel solo involucro della famiglia legittima. Incoraggiato perché conforme ai bisogni psicofisici del genere dominante, quello maschile. In una società ipocrita e maschilista non poteva che andare così.

Da allora qualcosa è cambiato e qualcosa no. Non è bastato approvare la legge Merlin per eliminare il fenomeno, è chiaro. Le professioniste del sesso sono uscite in strada; qualcuna, più abbiente, si è messa a ricevere in casa. Ma il grande sconvolgimento l’ha portato la globalizzazione: negli anni novanta una moltitudine di donne straniere (spesso minorenni) è riuscita a venire in Italia, trovandosi “in cambio” a dover esercitare questa attività. La prostituzione è diventato un fenomeno di ordine pubblico. Il sintomo, devastante e capillare, da eliminare ad ogni costo. Anche se quello che conta è anche solo fingere di combatterlo.

Già, perché quello che non è cambiato dai tempi della legge Merlin è l’atteggiamento di fondo. Si potrà correttamente discutere se la prostituzione sia lecita o meno solo quando sarà reciso il legame tra esercizio dell’attività e condizioni socio-economiche. In altri termini se la prostituzione non è frutto di libera scelta ma è conseguenza più o meno coatta di povertà, clandestinità, ignoranza o violenza strutturale, stiamo parlando delle conseguenze di un altro fatto. Ma non della prostituzione come fatto in sé.

@Ms Janiver

Da questo punto di vista il commercio del sesso è sempre (ufficialmente) sbagliato perché lede la dignità di chi lo esercita, se chi lo esercita lo fa appunto a causa delle condizioni strutturali in cui si trova. Hanno buon gioco dunque i sostenitori della (ri)regolamentazione: operano su una piattaforma già sgombra, data per scontata, intangibile.

“La prostituzione ci sarà sempre”: questa è la piattaforma. Così è il senso comune. Sempre netto, lineare, pure un po’ moralista, e quindi maggiormente condivisibile. “La prostituta fa casino per le strade, quindi mandiamola a casa sua e facciamole pagare le tasse”. E questo è il corollario.

Se l’esercizio della prostituzione torna privato, regolamentato, fiscalizzato, tutto va bene. Potremo uscire felici una sera e dire a nostra moglie: “cara, vado dalla meretrice del terzo piano, sì, mi faccio dare la ricevuta non preoccuparti!”. In Italia? Oggi? In una società che, come dimostrano gli studi dell’antropologo Geert Hofstede, è ancora ampiamente ipocrita e mascolina?

Ho parlato di sintomi. Ma le cause di tali sintomi sono profonde, remote, e su di loro ci sono solo pochi bisbigli. Superati i tempi in cui la prostituta poteva essere “sacra” e agevolare il contatto con il dio mediante il rapporto carnale con lei, come nella Grecia antica, resta da chiedersi oggi cosa implica scambiare denaro con sesso.

Poniamo di rimuovere tutti i motivi che costringono a prostituirsi, e che diventi una mera scelta: è lecita o no? Le risposte delle varie società europee sono le più diverse, a riprova di quanto sia controverso il fenomeno. Una proposta di legge italiana (2007), rimasta inascoltata, auspica che la prostituzione sia libera, dignitosa e tutelata (e non operi distinzioni di sesso).

Già, perché un’altro ostacolo da togliere per una riflessione (il più possibile) serena sull’argomento è proprio la diversità di genere. “Gli uomini possono frequentare prostitute/i, le donne no”. E questa è, ancora una volta, la posizione maschilista ed iniqua che accompagna il fenomeno dalla legge Merlin ai giorni nostri, che si incrocia con quella, ancora spinosissima, sul numero dei sessi e su cosa sia appropriato per ciascuno di loro.

Senza contare che, lo accenno soltanto, gli uomini italiani possono ricercare i/le prostituti/e a causa di un modello culturale che tende a scindere la donna del focolare e della famiglia (la Santa) da quella del piacere e del sesso (la Meretrice), mentre, di solito, le donne cercano le due dimensioni nello stesso uomo, il che le spingerebbe in minor misura a ricorrere ad eventuali prostituti.

Questioni di cultura, insomma. Non di ordine pubblico o di multe ai clienti. La nostra cultura italiana, mediterranea, cattolica vede la prostituzione ancora in un modo solo. Non parte dalla dignità e dalla libertà autentiche della persona – donna e non solo -, diritti umani inalienabili di ognuno come vuole la nostra tradizione liberale, cristiana e progressista.

È guardando a questo cosmo di valori che si può rispondere alla domanda sulla liceità della prostituzione. Domanda che rischia di apparire astratta e superflua, oggi che ci sono le escort su internet (altra questione complessa), le adolescenti sembrano offrirsi con facilità e il corpo, soprattutto femminile, appare in tensione tra la perfezione dettata dal mercato e l’abbandono all’uso del più forte.

Ma è una domanda da farsi. Sempre.

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