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Perché l’ora di religione è un’occasione persa

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Da studentessa musulmana cresciuta in Italia, vorrei affrontare una questione che riguarda la scuola italiana e che, come tanti altri studenti, ho vissuto sin dall’infanzia: l’ora di religione cattolica.

La normativa attuale si basa sul Concordato tra Stato e Chiesa cattolica del 1929, siglato da Benito Mussolini e modificato dal Concordato del 1984 che ha reso l’ora di religione cattolica nelle scuole facoltativa e non più obbligatoria.

Oggi la società italiana è cambiata, ma la legge non si è adeguata. Gli studenti con cittadinanza straniera iscritti all’anno scolastico 2016/2017 sono 826 mila. Di questi, oltre 300 mila sono musulmani. È dunque giusto che la scuola non affronti l’attualissimo tema dell’islam, su cui i media spesso veicolano informazioni sbagliate e controproducenti?

@PresidenciaRD

L’ora di religione è una questione molto delicata perché può creare divisioni tra gli studenti in classe. Quando frequentavo le superiori uscivamo dall’aula in tre o quattro ragazze: io perché musulmana, le altre invece perché cristiane non cattoliche. Non avevamo un’ora alternativa né un tutor, semplicemente vagavamo per la scuola in cerca di un’aula vuota dove fare i compiti, ripassare o chiacchierare.

Ho sempre vissuto quell’ora come buttata via, perché il tempo non era impiegato in qualcosa di proficuo. Solo una volta il professore di religione mi chiese se potevo restare in classe per rispondere alle domande dei ragazzi sull’islam, molte delle quali riprendevano i clichés sulle “settanta vergini” e il hijab. Col senno di poi ho capito l’importanza di avere figure preparate in grado di mettere in discussione certi miti.

Recentemente a Bologna ha fatto scalpore la notizia di un progetto pilota portato avanti in alcune scuole con forte presenza di alunni di origine straniera: invece del tradizionale insegnamento della religione cattolica, viene adottato un approccio centrato sul più ampio concetto di cultura religiosa; gli alunni restano tutti in aula per discutere di tematiche sociali e fedi del mondo, favorendo così l’integrazione e il dialogo interreligioso.

A dicembre 2017 sono stati organizzati a Milano e Napoli alcuni tavoli di discussione, i “Dialoghi pubblici con i giovani musulmani”, all’interno di un progetto per l’integrazione e l’inclusione dei cittadini di origine straniera promosso dal Ministero dell’Interno in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.

Nella giornata di Napoli, a cui ho partecipato, giovani di fede islamica, accademici e sociologi si sono incontrati nel dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II per discutere di tematiche riguardanti le nuove generazioni di musulmani nella società: le problematiche della scuola pubblica, la libertà religiosa e l’attivismo civico.

Tra le proposte emerse – riportate all’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, presente all’evento – vi era quella di ripensare all’ora di religione cattolica come momento di studio e confronto sulla storia delle religioni, per favorire il dialogo interreligioso e quello intrareligioso, anche con il supporto di figure preparate di riferimento per le diverse religioni – preti, imam, rabbini ecc. – per rispondere adeguatamente ai dubbi degli studenti.

Proposte come queste appaiono tuttavia ancora lontane dall’essere adottate su ampia scala. Sono passati alcuni anni dalla mia esperienza al liceo e, curiosa di capire se la situazione fosse cambiata, ho parlato con Lubna, nata in Italia ma di origine marocchina, che frequenta la mia vecchia scuola. Purtroppo nulla è cambiato negli anni: chi non usufruisce dell’ora di insegnamento di religione cattolica esce dall’aula senza che gli/le sia offerta alcuna attività alternativa. Questi ragazzi e ragazze, musulmani, atei, cristiani non cattolici o di altre religioni, studiano da soli o restano con un insegnante che ha il solo compito di controllarli.

È come un’ora persa.

Mi dice Lubna, ed è la stessa cosa che pensavo io qualche anno fa. Il problema è che si tratta di un’ora alla settimana per i cinque anni delle elementari, i tre delle medie, i cinque delle superiori. Tredici anni di ore vissute come perse. Possiamo davvero permettercelo, in una società che ha un disperato bisogno di occasioni di conoscenza, dialogo, reciproca comprensione come quella attuale?

Quanti sono, da dove vengono, dove studiano gli studenti stranieri in Italia?

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