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Le meraviglie: il cambiamento secondo Alice Rohrwacher

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@Nick Grosoli

Da qualche parte nell’Appennino, intorno agli anni Novanta, una famiglia di donne gestisce duramente un’azienda agricola.
Fiore all’occhiello è il miele, prodotto all’antica. Intanto fuori il mondo sta cambiando nel film Le meraviglie di Alice Rohrwacher.

Sta cambiando l’agricoltura. La purezza intangibile e ideologica del padre (parecchio) padrone, ancorato a una visione sia post-hippy che post-atomica (nel film lo sorprendiamo a dire allucinato ”il mondo sta per finire”), è destinata a scontrarsi con una vita dei campi più meccanizzata, aperta al nuovo, alla scienza.
Meno poesia, forse, ma più igiene.

Sta cambiando l’Italia. La televisione arriva dappertutto, una piovra. Ma anche una finestra sul mondo. Così, è una trasmissione sulle italiche bellezze, Le meraviglie appunto, a stanare, letteralmente, i nostri vetero-agricoltori, a metterli a confronto con la realtà, sicuramente volgarotta e patinata (qui menzione per la bravura di Monica Bellucci, tanto iconica nel rappresentare questa nuova-eterna Italia paesana, quanto coraggiosa nel mostrare le sue rughe) ma – appunto – reale. E non è poco.

Sta cambiando soprattutto la maggiore delle figlie del patriarca. Gelsomina, un nome, come il fiore omonimo, che attira le api, con le quali ha un contatto viscerale, totale.

La responsabilità senza la libertà vigilata ma spensierata dell’adolescente. L’investitura del padre a continuare l’azienda, la Missione, l’Utopia.

Questa è la vita interiore di Gelsomina, lo snodo principale del suo cuore. E infatti Le meraviglie si centra e vive proprio di questo rapporto padre-figlia, e in questo risiede il suo maggior interesse.

Decisamente autobiografico (il padre delle sorelle Rohrwacher è veramente un apicoltore tedesco insediatosi in Umbria), è la storia di un cambiamento, di una (ricerca di) autonomia. Gelsomina assorbe su di sé il peso doppio dell’eredità familiare (la responsabilità, incardinata negli orizzonti chiusi e ripetitivi del ciclo agricolo) e l’incontro coll’esterno (la libertà possibile, fluttuante negli incerti del nuovo anche pericoloso), ma lo sopporta coraggiosamente, e guida la famiglia alla svolta.

Il miele, non più segreto prodotto di una fatica secolare ma obsoleta, ora finalmente gestibile con gli attrezzi della modernità, è pronto per girare il mondo, per aprire la rigorosa comune agricola che ne è madre ai suoi spifferi. L’utopia sacrificale e sacrificante lascia il posto a un tentativo di libertà, che può salvarla dalla teca cristallizzante, e quindi dalla scomparsa.

Un film dal di dentro, rigoroso, sobrio, che parla di cose vissute, subite, ribellate. Di una campagna molto concreta, esperita, affatto bucolica. Un film che è molte meraviglie.

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