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Le donne di Maleficent: come dire addio al principe azzurro e riprendersi le ali

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Protagonista di Maleficent è una quasi irriconoscibile Malefica, impersonata da Angelina Jolie, diva dal volto ben più elfico che orripilante. Questo è uno di quei film che fanno da spartiacque, non tanto per gli aspetti cinematografici, ma come sanzione del cambiamento di rotta di un certo modo di sentire.

Con Maleficent la Disney decostruisce per ribaltamento la versione tradizionale del suo popolare cartone animato ispirato alla fiaba del ’59. Come a ribadire che ormai i tempi sono cambiati: non c’è più posto per zuccherose e luminose certezze.

Le fiabe non sono solo evasione fantastica, ma brevi racconti di formazione che parlano della realtà in modo semplice. Maleficent, servendosi del repertorio di simboli del format fiaba-fantasy, si fa film psicologico e attraverso la rappresentazione del tormentato paesaggio interiore di una donna ferita dall’uomo che ama, decreta ufficialmente la fine del mito del principe azzurro.

Nel film Malefica non è affatto “malefica”: a descriverla così è chi è terrorizzato dal suo potere. Ma di che potere si tratta? è una fata dalle potentissime ali, cioè simbolicamente una donna con un immaginario e una intensità nel sentire fuori dal comune, che però sono un’arma a doppio taglio.

La perdita delle ali per una come lei è un furto inaccettabile: non produce semplicemente tristezza o rabbia passeggere, ma la furia di un grido inconsolabile, di cui non riesce a liberarsi proprio a causa della sua eccezionale potenza di fuoco. In lei vive il fascino del doppio: fata e strega sono due facce della stessa medaglia, colei che sa proteggere è anche colei che sa distruggere.

L’aspirante re è affascinato dal potere femminile di Malefica legato alla natura, che teme e invidia, per cui la abbandona per cercare un potere terreno che compensi il suo complesso di inferiorità. Ma rimane legato a lei: conserva le sue ali come un trofeo.

Dalla dialettica tra il futuro re e la sua strega pare che entrambi siano prigionieri di un legame di dipendenza affettiva, dove è proprio lui che l’ha abbandonata a essere ossessionato da lei. Il re infatti non riuscirà mai veramente a liberarsi di lei e fino all’ultimo cercherà di tenerla avvinta perseguitandola fin con l’ultimo tentacolo. Sarà lei a dirgli: “è finita”, non lui.

Perché sono tramontati i tempi del principe azzurro? Forse proprio perché in realtà non sono mai iniziati. A ben guardare è stata un’invenzione piuttosto “malefica”, perché il principe è sempre stato un simbolo perversamente contraddittorio. Una figura troppo vicina alla perfezione (cosa che espone alla delusione), ma al contempo ben lontano da un ideale valido.

Maleficent calca un po’ la mano e potrebbe essere accusato di misandria, data la figuraccia che fa fare al genere maschile. Gli uomini sono concepiti come imberbi inutili, ladri assetati di potere, o al massimo come aiutanti non alla pari. Ma quello che sembra denunciare è una gran scarsità di uomini a tutto tondo, con reale coraggio.

Tuttavia, a ben guardare anche le donne di Maleficent non sono poi un granché: si dividono in pochissime con grinta (come Malefica) in grado di dare una svegliata alle giovani buone e non sceme ma ancora inesperte (come Aurora), quelle buone e dolci dalla personalità inesistente (come la regina) e quelle sciocche, sempliciotte e inutili (come le fatine). L’unica che si salva è Malefica, che è ipercelebrata e ruba spazio a tutti gli altri personaggi, che in confronto sembrano comparse.

Uno dei rischi del film è forse l’aver sfruttato troppo l’immagine che Angelina Jolie ha deciso di rappresentare nell’immaginario collettivo: cioè quella di una donna combattiva e materna con un lato dark. Forse, se non ci fosse stata la Jolie il film non avrebbe avuto questo sbilanciamento. Il codice delle fiabe prevede ruoli fissi: eroe, eroina, aiutanti positivi e dall’altra parte eroe negativo con relativi aiutanti. Questo crea un’armonia narrativa. Nel film questo equilibrio si perde, perché Malefica è troppo ingombrante.

Ciò non toglie che Maleficent sia una coinvolgente storia drammatica, che ha molto da insegnare a entrambi i sessi: agli uomini sullo speciale potere femminile che li attrae e atterrisce, alle donne su come risvegliarsi da falsi miti e riprendersi le ali.

Tutta la vicenda non è che un lungo processo di liberazione dalla rabbia e dal dolore provocato dalla delusione amorosa e di riappropriazione dello slancio ideale perduto, che viene spostato da un’immagine amorosa fasulla (il principe azzurro) a un amore più concreto e reale, che nel film è rappresentato dalla difesa del mondo della natura e dalla maternità, ma potrebbe anche essere altro.

Le donne hanno bisogno di un uomo per essere felici? Forse, ma di certo ancor di più hanno bisogno di avere ali immense.

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