In questi cinque anni ho conosciuto L’Aquila dei terremotati (o dei “terremotosti” come amavano definirsi gli aquilani) passandoci prima come volontario in tendopoli, poi come amico e infine per conto della fondazione in cui lavoro, per visitare i progetti di ricostruzione finanziati. Nel corso delle mie incursioni ho raccolto molte testimonianze e impressioni. Ne vorrei restituire soltanto tre, per aiutarci a ricordare.
1. Gli aquilani danno subito del tu
Come Carlo, direttore di un centro di formazione professionale, le cui lezioni fino allo scorso autunno si sono tenute in container mal riscaldati e posizionati in un parco di periferia. Ha gli occhi lucidi quando mi racconta dei suoi ragazzi, alla deriva dopo quel 6 aprile perché privati dei luoghi di incontro, o perché dispersi nelle tante new town che costellano i dintorni della città. In questi cinque anni Carlo non ha mollato il colpo e ha formato e accompagnato al lavoro decine di ragazzi in difficoltà, tra le mille fatiche di un territorio martoriato.
O come Berardo e le birrette bevute insieme al “Mordi e fuggi”, un baretto-container accanto al campo della Protezione Civile. Nell’autunno del 2009 lo hanno trasferito in un “modulo abitativo provvisorio” e ora attende che la sua casa venga abbattuta e poi ricostruita. Assieme a Berardo, sono circa 18.000 gli aquilani che hanno ancora necessità di un sostegno da parte dello Stato a seguito del terremoto. E c’è ancora qualcuno che vive negli alberghi sulla costa o nei dintorni de L’Aquila.
Chi è stato duramente colpito dal terremoto ha subito una separazione dopo l’altra: prima dalla sua casa, poi dalla tendopoli dove si era ricreata una comunità, ora dalle case provvisorie. Non è difficile sentire aquilani che ti dicono “si stava meglio nelle tendopoli”, dove malgrado nessuno si fosse scelto il vicino di branda, almeno ci si aiutava a vicenda, mentre ora la fatica più grande è ritrovare una comunità unita.
2. La paura e il silenzio
Non credo sia descrivibile la paura che si prova ad essere svegliati di notte con le pareti di casa che si muovono furiosamente. Gli aquilani dicono che i primi a sentire il terremoto sono i cani, che percepiscono l’evento imminente e latrano a volte qualche minuto prima. Poi la scossa è accompagnata da un rombo che si diffonde come il passaggio di un aereo a bassa quota. è quella cosa che Maria Teresa, una ragazza de L’Aquila, ha chiamato “mostro” fino a poco tempo fa, quando ancora non riusciva a salire le scale per paura che tornasse il finimondo.
In condizioni normali a L’Aquila e tra i monti circostanti regna un silenzio che ho apprezzato in pochi luoghi, specialmente la notte, quando il cielo è scoperto e l’aria tersa. Ma è anche il silenzio delle vie chiuse e deserte, che riporta alla realtà di una “città fantasma”, e di nuovo ritorna la paura.
3. L’inganno e la speranza di Google
Entrate a L’Aquila con Google Street View e imboccate Corso Federico II; sulla sinistra, all’inizio del centro storico, trovate il Cinema Massimo, chiuso dopo il terremoto. Dietro le transenne potete scorgere le vetrine con la locandina mai rimossa e ingiallita del film “Gli amici del bar margherita”, in programmazione il 6 aprile di cinque anni fa. Se proseguite sul Corso, vi accorgerete che per un breve tratto Google non ha aggiornato le foto dello Street View e vi trovate a passeggiare in una giornata di sole a L’Aquila pre-sisma: turisti in infradito, negozi aperti, cani a passeggio, aquilani al lavoro.
Poi, d’un tratto, prima di Piazza Duomo, Google vi riporta alla realtà e riprendono impalcature e strade chiuse presidiate dai militari. Uscite dallo Street View e guardate L’Aquila dall’alto, tutto pare immutato, comprese le strade accessibili e i sensi di marcia. La realtà è che buona parte delle vie del centro storico, così come molte in periferia, sono chiuse da cinque anni.
La locandina di “Gli amici del bar margherita” è veramente ancora oggi affissa alle porte del Cinema Massimo, mentre Google propone una finzione, un ritorno al passato. In entrambi i casi non ho mai capito se siano gesti voluti o meno, ma mi piace pensare che donino speranza, e credo che alla riapertura del Cinema gli aquilani dovranno avere l’occasione di vedere “Gli amici del bar margherita”.
Immagini | Alberto Barenghi