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La rigenerazione urbana come resilienza – Parte II

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La scorsa volta abbiamo visto i tre grandi cambiamenti che hanno caratterizzato le grandi città nell’ultimo decennio.

Queste città sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese, producendo l’80% del PIL e garantendo il debito pubblico con le milioni di casa di proprietà acquistate grazie ai risparmi delle famiglie.

Per non vedere ridotto il valore di questi edifici è necessario oggi investire per la messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato.

Per dare qualche numero in Italia il 70% degli edifici ha oltre 40 anni ed è stato costruito nel dopoguerra con tecniche e materiali ormai a fine vita; a questo va aggiunto che nelle zone a rischio sismico vivono oltre 24 milioni di persone e altri 6 milioni in zone a rischio idrogeologico.

Per aumentare la consapevolezza dei proprietari di casa, bisognerebbe dotare le abitazioni di una “patente” che certifichi le prestazioni, le condizioni e le “scadenze” delle medesime. In particolare quando parliamo delle prestazioni degli edifici.

Quando si parla di smart cities non si dovrebbero adottare solo misure tecnologiche ma è necessario intervenire per la drastica riduzione dei consumi degli edifici, energetici e idrici, così come del consumo del suolo, promuovendo “distretti energetici ed ecologici” (energia distribuita).

Questa necessità emerge guardando i consumi energetici degli edifici a uso civile: per il riscaldamento, raffrescamento e l’acqua calda sanitaria, è stato nel 2013 di 29,0 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente) ovvero oltre il 20% del consumo energetico totale.

Per ridurre questi consumi e per favorire la resilienza dei territori, diventa vitale la valorizzazione degli spazi pubblici, la salvaguardia dei centri storici, del verde urbano, dei servizi di quartiere per ricondurre la vita quotidiana a un benessere normale oltre a investire sulla risorsa fondamentale del Paese, la cultura. Oggi la cultura dell’efficienza e della restituzione deve avvenire considerando prioritario la realizzazione delle infrastrutture digitali innovative, con la messa in rete delle città italiane, favorendo l’home working e riducendo così spostamenti e sprechi.

Ed è proprio intervenendo sugli sprechi che si possono liberare gli investimenti pubblici e privati necessari a realizzare questi interventi. Esistono infatti risorse che potrebbero essere usati in modo più efficace, vediamo quali:

1) la messa a sistema delle risorse dei programmi comunitari sui quali l’Italia continua a procedere in modo irrazionale, senza la guida di una strategia complessiva e un’adeguata organizzazione;

2) il riequilibrio degli investimenti pubblici tra grandi infrastrutture e città, dove gli investimenti sono scesi a meno di € 7 miliardi, a fronte dei 50 del programma francese: gli stessi investimenti in infrastrutture devono essere integrati con le politiche urbane, o diventano mero strumento di “occupazione” di breve respiro, incapaci di aumentare la competitività del Paese e la qualità dell’habitat;

3) il risparmio derivante dalla messa in sicurezza degli edificati da terremoti ed eventi calamitosi derivanti dalla condizione idrogeologica, estimabile in 3 miliardi all’anno (dal 1944 al 2009 oltre 200 miliardi);

4) la razionalizzazione dei contributi o incentivazioni pubbliche sull’energia già in essere, ora destinati a politiche settoriali fuori da un progetto sintetico e generale: dal 2006 al 2011 sono stati investiti 69 miliardi sul fotovoltaico, di cui 8,5 sono andati ai produttori esteri (Germania, Cina, Giappone). All’interno di un Piano di rigenerazione gli investimenti dovrebbero essere più razionalmente ripartiti tra risparmio e produzione energetica, tenendo conto che gli obiettivi 2020 comporterebbero, per sistemare il “colabrodo” del patrimonio edilizio italiano, una spesa di 56 miliardi;

5) la messa a sistema degli investimenti pubblico privati per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, oggi condotte sulla scorta dell’emergenza e senza finalità né di ordine energetico, né coordinate in un disegno generale, per un valore complessivo nel 2011 di 133 miliardi;

6) mettere a frutto le dismissioni del patrimonio pubblico per raggiungere gli scopi del Piano, facendone il volano delle trasformazioni urbane sostenibili;

7) la creazione di strumenti finanziari ad hoc che mettano a reddito il risparmio energetico, idrico, sulla manutenzione e bonus volumetrici a fronte di un impatto ambientale vicino allo zero e di innovazioni tecnologiche utili all’efficienza delle città.

Nelle prossime puntate vedremo come le città europee e italiane stanno declinando la resilienza urbana nella sua pratica, a partire dal futuro resiliente di Piazza Castello a Milano, dove un Sindaco non ha paura ad affrontare gli shock che la rigenerazione urbana può comportare su una parte delle società altamente resistente e poco resiliente.

Immagine|climatenet.blogspot.com

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