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I fratelli scemi di D&D: “Kata Kumbas” e…

kata kumbas

@Diacritica

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@Diacritica

[divider scroll_text=”il culo di Rubik”]
Due settimane fa
ho cominciato un discorso sui roleplaying game in generale e sono finito a parlare solo di Dungeons & Dragons. Ma era inevitabile: se quella dei giocatori di ruolo è una nicchia, quella di chi gioca a qualcosa di diverso da Dungeons & Dragons è una nicchia nella nicchia, e molto piccola.

Del resto la creatura di Gary Gygax e Dave Arneson non è egemone per caso. Regole semplici e bilanciate, combattimenti rapidi, calcoli ridotti al minimo indispensabile: stiamo parlando di un prodotto che applica al gioco di ruolo virtù tipicamente americane quali pragmatismo e senso dell’entertainment.

E la concorrenza? Diciamo che nei miei anni da giocatore di ruolo ho provato diversi titoli che si proponevano come alternative dirette a Dungeons & Dragons, e ogni volta ho capito che se quasi nessuno li conosceva c’era un buon motivo. Di solito più di uno. Qui di seguito, tre di questi giochi.

Tunnels & Trolls

Creato nel 1975 da Ken St. Andre, sembra consapevole della sua natura di sottoprodotto fin dal titolo, nel quale la parte – i Tunnels – prende il posto del tutto – i Dungeons – e gli iconici Dragons sono rimpiazzati dai più modesti Trolls.

In Italia è stato pubblicato da Mondadori con una decina d’anni di ritardo, in volumetti di carta riciclata dalla qualità scadente che certo non contribuivano a valorizzarlo. Ha due grossi punti di forza: può contare su un buon numero di avventure giocabili in solitaria, veri e propri librogame ufficiosi, e contempla un elenco sterminato di armi utilizzabili dai personaggi. Perché accontentarsi di una generica lancia quando puoi scegliere tra un pilum, un brandistocco e un’assegai africana?

I problemi

Volendo cedere alla tentazione di scovare una metafora in tutto, si potrebbe dire che Dungeons & Dragons è il gioco di ruolo dell’America tecnicamente perfetta che conquista il mondo, mentre Tunnels & Trolls è l’altra America, quella rozza e facilona che vive in roulotte e crede ai predicatori in tivù.

Di emblematica insensatezza il sistema di gestione della magia: in Tunnels & Trolls per lanciare incantesimi bisogna spendere punti di Forza, perciò i maghi sono costretti ad avere un punteggio di Forza superiore a quello dei guerrieri. Va a finire che al mago conviene più tirare sganassoni che palle di fuoco.

O meglio, sarebbe così se non ci fosse un incantesimo del primo livello, indicato con la pittoresca denominazione Beccati questo, demonio, abbastanza potente da stendere ogni avversario. Il che rende di fatto inutili tutti gli altri.

Uno sguardo nel buio

@robert.linden

Uno sguardo nel buio – titolo originale: Das Schwarze Auge – si distingue dagli altri giochi citati in quest’elenco perché, almeno per qualche tempo, ha incontrato un certo riscontro di pubblico. Concepito nel 1984 da Werner Fuchs e Ulrich Kiesow, nella natia Germania arrivò addirittura a superare in popolarità Dungeons & Dragons.

Anche in Italia, dove arrivò un paio d’anni dopo, si conquistò la sua fetta di fan. Per molti ragazzini italiani, me incluso, rappresentò il primo incontro con il gioco di ruolo. Credo che sul suo successo in terra italiana abbia pesato il fatto che fosse distribuito dalle Edizioni EL, le stesse dei Librogame, che all’epoca andavano per la maggiore.

Uno sguardo nel buio scomparve dall’italica scena appena Dungeons & Dragons iniziò a diffondersi in modo capillare nel nostro Paese, e questo mi sembra significativo.

I problemi

Il grosso problema di Uno sguardo nel buio è che rispetta in pieno i luoghi comuni nazionali sulla Germania: quindi funziona, ma è noioso. In Dungeons & Dragons il combattimento contro l’avversario più tosto si risolve, in un modo o nell’altro, nel giro di una manciata di round della durata di qualche secondo ciascuno. In Uno sguardo nel buio, quando attacchi qualcuno, devi prima lanciare un dado per stabilire se l’hai colpito; poi lanciare un altro dado per stabilire se lui ti ha parato; poi, nel caso, devi lanciare un terzo dado per stabilire quanti danni gli hai inflitto e infine detrarre il suo valore di protezione. Anche stendere il più macilento dei goblin richiede comunque una mezz’oretta.

Se ne devono essere accorti pure i realizzatori, perché nel 1988 uscì una seconda edizione del gioco nella quale si cercava di dungeons&dragonsizzare Uno sguardo nel buio, col risultato di snaturarlo senza renderlo all’altezza del celebre competitor.

Kata Kumbas

Il secondo gioco di ruolo prodotto in Italia – in precedenza c’era stato I Signori del Caos, che però era poco più di una traduzione ufficiosa di Dungeons & Dragons – e il primo basato su un concetto totalmente originale.

Sia chiaro: se un gioco di ruolo si giudicasse solo dalla forma, questo titolo firmato nel 1984 da Agostino Carocci e Massimo Senzacqua e poi rieditato nel 1988 dalla solita EL meriterebbe senza dubbio la qualifica di capolavoro. Non mi riferisco soltanto alle splendide illustrazioni che accompagnano i manuali, ma anche all’ambientazione del gioco: siamo in un medioevo alternativo che, per una volta, non si rifà a Tolkien e alla mitologia anglosassone ma al folklore mediterraneo, ai racconti picareschi e a film come Brancaleone alle Crociate.

Per la cura con la quale riproduce queste atmosfere Kata Kumbas – è greco antico, vuol dire “nei sotterranei” – porta a casa un dieci e lode. Per il resto, tuttavia…

I problemi

Kata Kumbas è il gemello speculare di Uno sguardo nel buio. Se il gioco tedesco era lo specchio dei cliché sulla Germania, suo cugino meridionale è afflitto da una profonda italianità; e com’è l’italiano nei luoghi comuni? Elegante, affascinante, ma all’atto pratico confusionario e superficiale. Certo, la lista degli oggetti magici che possono capitare in sorte ai giocatori è suggestiva, ma ce ne fosse uno del quale è spiegata la funzione. E poi, che senso ha prevedere due diversi sistemi di combattimento, uno per la singolar tenzone e uno per la mischia? Non proprio il massimo della giocabilità, specie se sono entrambi astrusamente antintuitivi.

Va detto comunque che dagli appassionati Kata Kumbas è considerato un piccolo cult. Fama meritata, perché se come gioco di ruolo zoppica non poco, come opera letteraria è notevole.

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