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Il Pimpa tra Gaza, Aleppo e Homs

Il pimpa gaza
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Quello estivo con Marco Rodari, detto Claun il Pimpa, è un appuntamento. Non tanto il nostro con lui, quanto il suo con i bambini siriani e palestinesi. Che Marco è un clown che va dove non va (quasi) nessuno, dove ci sono conflitti in corso o dove sono appena conclusi. Ci va e ci torna e ci torna, perché “non puoi fuggire da un luogo in cui hai vissuto la guerra: i rapporti personali, quando sono bagnati con il sangue, diventano realmente fraterni”. E quest’anno Marco in Siria è stato anche ad Homs, definita capitale della rivoluzione.

Centro di 800mila abitanti, situato nella parte occidentale centrale della Siria, è ad Homs che nacque la rivolta contro il Presidente Bashar al-Assad, nell’aprile del 2011, e la città subì un durissimo assedio tra il febbraio e l’aprile dell’anno successivo. In questi anni, scrive Fulvio Scaglione, Homs è lungi dall’essere pacificata.

Marco, è trascorso un altro anno e ti ritroviamo in questi giorni a Gaza, quotidianamente bombardata, ma questo non fa notizia da un pezzo. Come ti ha accolto la città?

Un migliaio di Bimbi in festa con il pagliaccio, questa è stata l’accoglienza che mi ha riservato Gaza.

C’era grande voglia di rincontrare il clown, tanto che appena entrato non sono riuscito neanche a poggiare i bagagli perché sono dovuto correre subito dai miei amici clown-gazawi per unirmi a loro e ad un bellissimo evento (Friday of joy) che avviene qui in Gaza tutti i venerdì. E per le mie prime due ore nella Striscia non abbiamo che pensato altro che alla “Joya”.

Nel 2015 parlando di Gaza ci dicevi che non erano arrivati ancora i “soldi grossi” per poter ricostruire intere città: oggi sono arrivati?

Dal punto di vista abitativo la situazione è un po’ migliorata, ma non è assolutamente risolta. Alcune case sono state riparate, altre ricostruite ed ho appena terminato uno spettacolo in un quartiere costruito ex-novo nella zona di Kaniunis che potrà ospitare parecchie famiglie.

Ma per la maggioranza della popolazione che ha perso l’abitazione durante la passata guerra, non è arrivato nulla e non gli resta che vivere in baracche.

Cominciamo dal principio, da maestro e professore di Leggiuno a clown: come è avvenuto?

Si cambia tanto, ovviamente crescendo, ma se mi guardo indietro, al di là dei titoli (professore, maestro, educatore, clown) non riesco a definire una metamorfosi. La costante sono i Bimbi, lo stare con loro, sicuramente divertendomi, possibilmente divertendoli. Poi è davvero una delle poche cose che mi riesce.

A questo credo poco. Comunque in Italia continui a fare spettacoli, anzi in un anno fai ridere più bambini italiani che non, giusto? È stato così anche in questi mesi del 2019?

Purtroppo la sofferenza non ha confini. Tocca i Bimbi della guerra come quelli in pace, tocca i Bimbi poveri come quelli ricchi. E il clown non si può che dare da fare per alleviare la sofferenza che quotidianamente gli capita di incontrare.

Girandoti indietro, cosa ti han lasciato le macerie e i bambini della guerra in questi anni?

Assapori sino all’ultima goccia delle gioie del quotidiano per tenere a bada la rabbia, il dolore che ti si è comunque radicato dentro e che potrebbe esplodere da un momento all’altro.

In attesa di andare a Gaza hai trascorso la prima parte dell’estate ad Aleppo e ad Homs. Come sta la Siria dal punto di vista del Pimpa?

Il clown ha potuto davvero lavorare tanto quest’anno in Siria, nel giro di un mese ho incontrato tantissimi Bimbi in più di 100 spettacoli o momenti di incontro che dir si voglia. E solitamente più riesce a lavorare il clown, più la situazione in termini quantomeno di sicurezza per i Bimbi vuol dire che è migliorata.

Ad Homs non eri mai stato, come hai trovato la città?

Il primo impatto con Homs arrivando sulla grande strada che la attraversa è quello di pensare di essere arrivati in una vecchia città abbandonata del Far West, mancava solo il classico cespuglio che rotolava al vento.

Poi vivendoci riscopri nuovamente come le macerie possano sapere comunque di casa. E quanto è straordinario vedere tanta gente che si raduna per assistere allo spettacolo, mettendo il vestito “bello” ai bimbi, cercando di trovare il luogo più bello (operazione molto difficile ad Homs, visto che praticamente tutte le abitazioni sono state colpite dalla guerra) e ritornando a vivere.

Quando alla fine di uno spettacolo mi si dice che erano 7 anni che non ci si ritrovava tutti assieme per un momento di festa, questo, nell’immediato, ad adrenalina ancora altissima, mi riempie di gioia, ma appena si spengono “le luci della ribalta”, fa emergere tutta la rabbia e il dolore della guerra.

Quindi è sempre buona cosa tenere un po’ di quella gioia nella tasca del pagliaccio per poter combattere tutto questo.

A gennaio ci avevi spiegato che il tuo proposito per il 2019 consisteva nel raggiungere nuovi luoghi, perché avrebbe significato che molte guerre erano finite. È stato così? Hai già previsto nuove mete?

Aver girato buona parte della Siria è già una buona cosa. Mi piacerebbe poterla girare tutta tutta.

E tra tutte le guerre in corso, c’è un conflitto che ti fa particolarmente male?

Tutte le guerre, alla radice, si somigliano e tutte mi fanno particolarmente male.

C’è una storia che ti porti dietro da queste settimane estive?

Sicuramente la gioia di Mohammed. Avere il cancro ad Aleppo di questi tempi è davvero l’apoteosi della “sfiga”. Eppure lui non vedeva l’ora che il pagliaccio arrivasse per potermi rubare cappellino e naso e potersi esibire, lui, per gli altri Bimbi.

E noi non si poteva che restare meravigliati a guardare!

Grazie Marco, alla prossima.

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