Il 19 settembre 2013, sfogliando le pagine di un quotidiano, mi imbatto in un trafiletto su Hiroshi Yamauchi. Leggere quel nome fuori da blog e riviste del settore è abbastanza inusuale e un brutto presentimento, tristemente fondato, mi attraversa la spina dorsale mentre proseguo la lettura: a 85 anni Yamauchi è morto. Osservando in una vecchia foto l’immagine dell’uomo che fu il presidente di Nintendo durante la sua epoca d’oro, dell’uomo che fu il presidente della mia Nintendo, ritrovo il volto un po’ severo dei miei ricordi.
Hiroshi Yamauchi è un uomo di un’altra epoca. È nato nel 1927: era un ragazzino durante la seconda guerra mondiale e presumibilmente non ebbe con la cultura americana lo stesso rapporto sereno delle generazioni a cui ha venduto sistemi di home entertainment per decenni. Aveva poco meno di 18 anni quando l’Enola Gay rilasciò la bomba atomica sulla città di Hiroshima, a due ore di treno dalla sua nativa Kyoto, non lontano dalla quale aveva trascorso gli anni del liceo lavorando in uno stabilimento militare, dando in questo modo il suo contributo al Giappone Imperiale, come tutti i suoi coetanei troppo giovani per combattere.
Finita la guerra Yamauchi si iscrisse alla Waseda University di Tokyo per studiare legge. Tuttavia nel 1947 suo nonno, presidente di una società produttrice di carte da gioco hanafuda chiamata Nintendo*, ebbe un infarto che compromise gravemente la sua salute e, in mancanza di un erede diretto, cercò di convincere il nipote a lasciare l’università per assumere il timone della compagnia.
Nonostante questo gesto la dicesse lunga sulla sua mancanza di scrupoli, ad inizio carriera il giovane neo-presidente venne preso sottogamba dai dipendenti, che organizzarono prontamente uno sciopero per trattative salariali pensando di spuntarla facilmente: per tutta risposta Yamauchi licenziò in tronco gli impiegati di lunga data che avevano messo in questione la sua autorità e da quel momento decise in prima persona quali prodotti introdurre sul mercato, dirigendo la compagnia con lo “stile imperialistico” per cui è ricordato, insieme alla voce roca e alla tendenza a parlare informalmente nel dialetto del Kansai – caratteristiche totalmente atipiche per un uomo d’affari giapponese.
La prima novità introdotta sotto la guida di Yamauchi fu quella delle carte da gioco occidentali.
Dopo un viaggio negli Stati Uniti per un sopralluogo presso la più grande compagnia di carte al mondo, Yamauchi, deluso dalle dimensioni tutto sommato modeste dell’azienda visitata, operò dal 1963 in modo da diversificare notevolmente l’offerta della propria compagnia: le conseguenti escursioni di Nintendo nel mondo delle società di taxi, delle emittenti televisive, delle catene dei fast food e dei love hotel, oltre a risultare incredibili al giorno d’oggi, non ebbero molta fortuna e spinsero la società sull’orlo della bancarotta.
Mentre affrontava la crisi aziendale e l’emorragia di fondi, l’attenzione di Yamauchi fu calamitata da una sorta di gancio meccanico che uno degli ingegneri della compagnia, Gunpei Yokoi, futuro creatore del Game Boy, aveva costruito per svago personale durante le pause. Il presidente ordinò a Yokoi di sviluppare ulteriormente quell’idea fino ad ottenere un prodotto commercializzabile. Il prodotto in questione, l’Ultra Hand, fu un tale successo immediato che Yamauchi si convinse a dedicare la gran parte delle risorse aziendali alla produzione di giocattoli. Il periodo poco noto in cui Nintendo fu in primo luogo un produttore di giocattoli (1965-1980 circa) fu di grande importanza per porre la base della grande crescita degli anni successivi e definì alcuni dei tratti salienti che contraddistingueranno la compagnia di Kyoto negli anni: l’approccio prettamente ludico, il presentarsi soprattutto come un’azienda “per famiglie”, l’investimento sull’innovazione o comunque sulla “novelty” dei propri prodotti per diversificare la propria immagine sul mercato.
Dato che i giocattoli elettronici di Yokoi erano ciò che la gente associava più strettamente al brand Nintendo, non sorprende che Yamauchi iniziò a guardare con interesse sempre maggiore al proficuo e nascente mercato dei videogiochi.
Atari aveva già commercializzato un sistema di videogiochi da utilizzare collegandolo al teleschermo, il Color TV Game 6, e Nintendo se ne assicurò i diritti di distribuzione sul suolo nipponico. Il successo della macchina in patria, grazie a giochi come Space Fever, fu abbastanza incoraggiante che Yamauchi decise di commercializzarlo in prima persona anche nel mercato statunitense.
Purtroppo i giochi non incontrarono i favori del pubblico occidentale nella stessa misura e anche il cabinato arcade Radar Scope, un clone di Galaxian che però proponeva una innovativa visuale tridimensionale in terza persona, risultò un buco nell’acqua. In questa occasione Yamauchi, per risollevare le sorti della società, decise di puntare sul gioco da sala di un giovane designer: Shigeru Miyamoto.
Si tratta di Donkey Kong, annata 1981, in cui compare anche un falegname italiano chiamato Jumpman, dalle fattezze piuttosto familiari: è un successo senza precedenti per la giovane industria dei videogames.
Con una mossa rischiosa Yamauchi investì quasi tutti i proventi dello smash hit Donkey Kong e della licenza per le versioni casalinghe (venduta a Coleco) nel trasformare Nintendo in una compagnia dalla struttura del tutto innovativa per l’epoca: fondò ben tre Istituti di Ricerca e Sviluppo in competizione l’uno con l’altro. I frutti di questa radicale riconfigurazione aziendale non tardarono ad arrivare: il team R&D1, capitanato proprio da Yokoi, diede alla luce il primo videogioco LCD portatile basato su un microprocessore chiamato Game & Watch.
L’idea era venuta a Yokoi anni prima, quando aveva visto un businessman giocherellare con un calcolatore elettronico sullo Shinkansen (il celebre treno ad alta velocità): una serie di videogiochi che avevano un loro schermo e non dovevano essere collegati al televisore come il Color TV Game 6.
Nonostante il successo di questa serie di giochi, che continuò ad essere prodotta fino al 1991 incorporando anche titoli iconici di Nintendo creati successivamente, Yamauchi voleva qualcosa che potesse dominare il mercato per un lungo periodo di tempo… Meglio ancora: aspirava a creare un nuovo mercato, sul quale Nintendo avrebbe avuto una sorta di trust fin dall’origine; cominciò così lo sviluppo di quello che sarebbe diventato il Famicom o NES.
Per chi, prima di leggere la parte successiva, volesse indulgere in wiki-walks sulla preistoria di Nintendo consiglio visite lunghe e frequenti al blog Before Mario.
*Il significato generalmente accettato del termine “Nintendo”, dedotto dagli ideogrammi, è “lasciate la fortuna al cielo”.
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