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Gli errori non sono orrori: erro ergo sum

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@strange little woman on stream

[quote align=”center” color=”#999999″]Errore. Hai sbagliato. Page not found. La transazione non è stata accettata. Carta Sim non inserita correttamente. Numero inesistente. Chi sbaglia paga. System error. Un cruscotto che brilla improvviso di spie…[/quote]

La nostra vita è costellata di frasi così, che ci dicono che stiamo sbagliando. Soprattutto la tecnologia, con la sua pretesa di una razionalità controllabile e prevedibile, finisce col farci sentire spesso in colpa.

Ma che c’entra la colpa, che è un attributo psichico e morale, con lo sbagliare la 17° password creata nel mese, digitata nella posta elettronica invece della banca online? Non c’entrerebbe un bel niente, se la nostra cultura degli errori fosse un po’ più sana.

A me sembra che funzioni così: procediamo più o meno fiduciosi, poi ecco l’inevitabile errore, un po’ di smarrimento, e rimediamo in qualche modo. Reset mentale e siamo daccapo. D’altra parte l’errore è sempre grave se seguiamo l’etimologia: ci rimanda nientemeno alla “deviazione” da quella “diritta via” che abbiamo “smarrita”. Erro, ergo mi perdo.

Da bambini possiamo essere stati più o meno fortunati nel nostro imparare (o non imparare) a sbagliare. Non so quanti di noi abbiano fatto la conoscenza col ”Signor Errore” di ascendenza montessoriana. Per la pedagogista, medico di formazione e più avvezza alla commistione anima/corpo dei suoi illustri predecessori e contemporanei tendenti a isolare l’errore nel campo delle azioni umane (e a tingerlo, ahimè, di sfumature morali!), l’errore era importantissimo. Tanto da personificarlo, da dargli nome e cognome. Utopico o realistico?

Spostiamoci nel campo in cui siamo chiamati ogni giorno a prendere decisioni, piccole o grandi, rilevanti per la nostra vita: quello economico. Per un sacco di tempo si è fatto finta che esistesse questo ”Homo oeconomicus”, cui tutti dovevamo uniformarci, perfettamente razionale e in grado di massimizzare il suo utile individuale. Naturalmente, non era previsto l’errore!

Il modello è stato poi giustamente criticato (ma molti lo credono ancora valido ) per la sua assenza di realismo, da varie teorie, tra cui alcune che si ispirano al pensiero sociale cristiano. Una voce originale in questo caso, perché parte dal presupposto della fallibilità umana anche in campo economico, per cui l’errore è reso, realisticamente, intrinseco alle decisioni economiche, e d’altra parte già Agostino distingueva l’errore dall’errante.

Insomma, abbiamo un obiettivo, ci impegniamo tenacemente nel perseguirlo, e poi va come va: le variabili sono infinite! Abbiamo sbagliato? Forse. Soprattutto, abbiamo sbagliato nel non considerare che le conseguenze inintenzionali del nostro agire sono tantissime (vedi la scuola austriaca in tema), siamo sì artefici e demiurghi ma anche umanissimi animali emotivi. Possiamo fare bellissimi piani sulla nostra giornata, poi arriva la vita reale e vince lei.

Quindi, un modesto e sorridente fatalismo verso gli errori. Certo, se prendo male una curva in macchina, o il chirurgo che mi opera mi dimentica i suoi occhiali nel pancreas, non va certo bene. Ma spesso sono errori emotivi, in cui l’emozionalità entra a gamba tesa nell’asettica freddezza procedurale che, proprio per iperazionalismo o iperpianificazione, non ne ha tenuto conto.

E cerchiamo di abbandonare i moralismi. Se diciamo a Tizio ”sei un fallito!”, facciamo un’indebita equiparazione tra un complesso percorso di vita e una specifica situazione economica. In Europa il fallimento dell’impresa è visto come una tragedia e uno stigma, negli Stati Uniti (peraltro non da imitare in molti altri aspetti della vita economica) invece è normale che l’imprenditore passi per molti fallimenti, è il pragmatico” provando e riprovando” di galileiana memoria in salsa made in USA.

Insomma, se errare è umano, non accettare di errare è diabolico.

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