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Francia del Sud: da qualche parte una facciata

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@Thomas Ronchetti

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@Thomas Ronchetti

Non snobbo il reportage per principio. Anzi.
La fotografia è per principio reportage, cronologicamente, tecnicamente ed escatologicamente.
È che mi piacciono le sfide. Limiti, artistici e non. Vediamo dove arrivano.
Alla fine di un bel reportage, c’è solo un reportage?
È possibile iscrivere da qualche parte una traccia dell’io che l’ha realizzato, da qualche parte, che non sia nelle singole foto o nella loro somma?
Una testimonianza del processo, del cantiere reportage? Una meta-foto che racconti della macchina dietro di essa e della persona ancora dietro?
A volte troviamo una soluzione nel gioco dei riflessi, delle ombre, degli specchi. Ma è un’offerta esterna, contingente.
Un’altra via può essere sperimentare. Giocare con il “corpo” macchina, con la materialità del digitale. Vedi i filtri vintage, vedi il quadrato fotografico di Instagram, l’HDR, il tilt-shift. Pura tecnica.
Altri hanno un dono.
C’era un artista russo, prima scultore, poi cineasta, poi fotografo.
Il filo conduttore era la luce. Vederla era tecnica innata. Impossibile copiarla e ripeterla ad uso di massa.
Scultore prima, fotografo poi. Dal corpo alla sua rappresentazione. Si può invertire il percorso, senza sovvertire il risultato?
Dal “piatto” della foto, ad un’idea a 3 dimensioni, che spezza i bordi e crea nuovi spazi.

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