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Donne che amano il calcio. Parte II

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“Ma quindi, non ho capito, se una donna è interessata al calcio, per te diventa più o meno interessante?”

“Se è una persona intelligente è meglio. Se è stupida è peggio.”

Taglia corto il pensiero semplificatore maschile di fronte alle domande stupide che mi sorprendo alle volte di fare. È che io per anni durante le partite sono stata usata solo come un talismano della buona o della cattiva sorte. Del tipo: esci dalla sala che appena sei arrivata tu siamo andati sotto di un gol. Oppure: resta seduta lì per favore che l’altra volta così abbiamo vinto i mondiali. Per carità, non è molto appagante rispetto ai principi femministi con cui mi ha tirato su mia madre, ma suvvia per 90 minuti si può anche sopportare.

E ho sempre pensato che una donna appassionata davvero di calcio rappresentasse la perfezione per tutti gli uomini che nella vita mi hanno rinfacciato il peccato originale dell’essere donna e quindi del “tu non puoi capire”. E invece scopro con sommo sbigottimento che il calcio è un’arma a doppio taglio che va maneggiata con cura. Se ci si autodefinisce delle tifose, bisogna dimostrarlo con una serie di piccole prove inconfutabili. Ecco qui un tre brevi consigli per le finte tifose, stilato con le mie amiche calciofile che avete già conosciuto, per evitare l’effetto boomerang.

1. È assolutamente necessario chiarire sin da subito che la vostra passione non si leghi all’aspetto estetico dei calciatori. Secondo gli uomini il calcio è l’unica cosa per cui valga la pena piangere e quindi vanno banditi commenti quali: che bicipiti Balotelli, che figo Osvaldo, Dio fammi incontrare Borriello ubriaco una notte in giro per Milano. È abbastanza normale che queste osservazioni vi vengano in mente durante una partita ma tenetele per voi e ricordate che siete sotto osservazione.

2. È molto utile mostrare di conoscere il vocabolario tecnico. Nota bene: sapere che la palla entrata in rete si definisce GOL non è dimostrare di conoscere il vocabolario tecnico. Si consiglia invece di usare il più possibile termini inglesi: almeno una volta dribbling, due o tre volte cross, due o tre volte pressing. Anche a caso. In generale però non rischiate troppo. Mai chiedere cose quali “Ma esattamente dove si trova la zona Cesarini?” in quanto essa non è una parte del campo, ma una porzione di tempo. E poi ricordatevi che il dodicesimo uomo non è l’arbitro e neanche l’allenatore, ma i tifosi. E che il pallonetto non indica che si gioca con un pallone più piccolo del solito, come logica vorrebbe.

3. Ma ciò che fa la differenza è la temutissima definizione del fuorigioco. È la vera linea di demarcazione tra chi sa di calcio e chi non ne capisce una mazza. Chiariamo una volta per tutte che un giocatore si dice in posizione di fuorigioco quando – nel momento in cui un compagno giochi il pallone – si trova al di là della linea del pallone e tra di lui e la linea di porta avversaria non ci siano almeno due giocatori avversari. Facile, no? Cioè basta vedere se un giocatore – nel momento in cui un compagno giochi il pallone – si trova al di là della linea del pallone e tra di lui e la linea di porta avversaria non ci siano almeno due giocatori avversari. Non avete capito? Ribadisco con una certa impazienza che il fuorigioco è quando un giocatore – nel momento in cui un compagno giochi il pallone – si trova al di là della linea del pallone e tra di lui e la linea di porta avversaria non ci siano almeno due giocatori avversari.

Sembra che conoscere il fuorigioco migliori il rapporto uomo-donna, come una chiave in grado di aprire un sacco di serrature. Ecco, io quella chiave mi sa che non ce l’ho.

Immagine|Fabbrica Inter

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