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Donald Trump: la fine del mito americano

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@billingsgazette.com

Questa mattina, quando i risultati elettorali davano ormai per certa l’elezione di Donald Trump a nuovo presidente degli Stati Uniti, oltre ad una certa incredulità – legata allo stravolgimento di sondaggi che mi parevano inequivocabili e di una tendenza che l’endorsement di media e personaggi famosi ad Hilary rendevano quasi univoca – mi ha colto un senso di smarrimento. Che fine ha fatto il mito americano?

L’entrata del magnate americano alla Casa Bianca segna certamente la fine di un’epoca. Forse addirittura, come dicevano alcuni commentatori televisivi nel corso delle maratone notturne, “la vera fine del ‘900”, o per lo meno del periodo seguito alla caduta del muro di Berlino, il cui anniversario tra l’altro ricade proprio oggi.

Io, più modestamente, vedo in questa elezione storica e inaspettata anche la fine di una certa idea di Stati Uniti d’America. Per miei personali limiti, senza dubbio, appartenevo ancora al numero di coloro che vedevano negli USA la patria dell’innovazione, della libertà, dei diritti, della felicità, quest’ultima addirittura prevista per i cittadini nella Costituzione.

Pensavo all’America e vedevo integrazione, multiculturalismo, apertura mentale, speranza, accoglienza. Pur senza ignorare alcune contraddizioni ed alcuni limiti della cultura e della politica americana, ritenevo che gli USA dovessero essere in generale un esempio per il resto del mondo.

Per tutte queste ragioni non avevo dubbi che un candidato come Donald Trump, capace di dichiarazioni elettorali fuori dagli schemi, quando non addirittura spaventose, avrebbe ottenuto scarso appoggio. Non perché non sembrasse adatto a guidare un Paese, ma perché non mi sembrava adatto a guidare un Paese come gli Stati Uniti.

La Clinton, che come più analisi hanno mostrato, non era molto meglio, ma comunque meno peggio, doveva avere la strada spianata. Anche fosse solo per il suo essere donna, il che avrebbe sottolineato ancor di più la modernità e l’apertura degli USA, capaci di sostituire con lei il primo presidente di colore: due primati di democrazia.

Invece ha vinto Trump, ha vinto il populismo, ha vinto l’anti-establishment, ha vinto un certo nazionalismo che mi fa pensare a quanto sta accadendo o accadrà nei prossimi mesi ed anni in Europa.

Qui cade il mito americano: non siamo più noi a seguire loro verso la via del nuovo, ma loro che sembrano tornare sui propri passi e riavvicinarsi a noi. Mi si diceva che, in tutti gli ambiti, “l’America è dieci anni avanti a noi”. Forse il gap è stato colmato, almeno politicamente; o forse è ancora così e gli USA anticipano i tempi che, ultimamente, parlano di protesta e opposizione ai partiti tradizionali e alla politica di mestiere, e aprono la strada a stravolgimenti in questa direzione anche in Europa.

L’America dei film e dei sogni dei bambini, che spesso mantiene la sua forma anche nelle menti degli adulti da questa parte dell’Atlantico, è forse una chimera. Come le bagnine formose di Baywatch ed i fusti dei film d’azione non rappresentano la vera popolazione americana, forse anche l’idea di avanguardia culturale e sociale che attribuivamo agli Stati Uniti non ha un riscontro nella realtà.

Una realtà che è fatta, come da noi, di contrasti sociali e razziali, di problemi lavorativi ed economici, di ingiustizie e iniquità, di malcontento nei confronti delle istituzioni e di desiderio di cambiamento. Una realtà che ha condotto all’elezione di Donald Trump e che, in attesa di vedere quante e quali promesse elettorali verranno mantenute, ci rende tutti un po’ più simili. E un po’ meno speranzosi.

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