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Decreto lavoro governo Renzi: cambiano contratti a termine e apprendistato

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Dei temi del famoso Jobs Act ci siamo più volte occupati, quando però Matteo Renzi era “solo” sindaco di Firenze e candidato alla segreteria del Pd.

Diciamo subito che nella versione originale del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è un acronimo che sta per Jumpstart Our Business Startups Act.

Da quei progetti, sicuramente ambiziosi, si è passato con un occhio attento alla comunicazione e un altro alla realpolitik alla presentazione in slides del 12 marzo: come spesso accade il Premier ha ancora una volta repentinamente cambiato opinione perché da nessuna parte infatti aveva mai posto l’accento su una di fatto liberalizzazione dei contratti a termine, avendo detto in passato di puntare sul contratto di inserimento a tutele progressive.

Intanto chiariamo il distinto iter, a due velocità, che dovrebbero avere le riforme in ambito lavoristico: un disegno di legge dovrebbe recepire un vecchio pallino di Renzi, fin dall’epoca in cui era suo fidato consigliere il giuslavorista Pietro Ichino, vale a dire un codice del lavoro, che riunisca in un solo testo tutte le principali norme: in effetti la legislazione lavoristica è molto complessa e di non immediata comprensione ai non addetti ai lavori; sempre alla discussione parlamentare dovrebbe essere affidato il disegno di legge sulla rappresentanza sindacale, tema sul quale si era registrata la “strana” convergenza con il leader della Fiom Maurizio Landini.

È di questi giorni invece il cosiddetto decreto legge Poletti (dal nome del neo ministro del lavoro, presidente della Legacoop) entrato immediatamente in vigore, che contiene rilevanti disposizioni in tema di contratto a termine e apprendistato.

È bene precisare una cosa: il contratto a termine è un contratto di lavoro subordinato, con i medesimi diritti e la stessa retribuzione del tempo indeterminato, con la sola (grande) differenza che è prevista una scadenza; questo tipo di contratti esiste fin dagli anni 60.

Un boom di rapporti a termine si è avuto dopo il 2001, quando la disciplina nazionale ha recepito la direttiva europea sul tema.

Ma per poter stipulare rapporti di questo tipo occorre una causale, cioè devono essere specificati i motivi di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, per cui si assume con questa tipologia contrattuale e non con il contratto a tempo indeterminato che – con una dichiarazione dal sapore più politico che giuridico, sostanzialmente disattesa – per il nostro ordinamento rappresenta invece la «forma comune» di contratto di lavoro subordinato.

Già la Riforma Fornero del giugno 2012 aveva previsto la possibilità che fino a un anno la causale non fosse richiesta: adesso tale limite passa a 3 anni, si aggiunge «il limite del 20% dell’organico complessivo» per il numero massimo di lavoratori a termine e le proroghe consentite vengono fissate nel numero massimo di 8.

Anche l’apprendistato cambia: all’estero, in Germania ad esempio, è un contratto che rappresenta la forma tipica attraverso le quali si assumono i giovani, mentre nel nostro paese non è mai decollato: viene ora prevista una semplificazione di alcuni adempimenti inoltre l’assunzione di nuovi apprendisti non è più subordinata all’assunzione di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo (il precedente limite era del 30% di assunzioni prima di poter avviare nuovi contratti di apprendistato).

Il decreto infine contiene anche una novità rispetto alle anticipazioni: un finanziamento di 15 milioni di euro per i c.d. contratti di solidarietà, vale a dire quelli nei quali si riduce l’orario di lavoro, al fine di evitare i licenziamenti; si tratta di un intervento di sostegno (anche) alla vertenza Electrolux di cui si è molto parlato nelle scorse settimane.

Immagine| pixelbros.altervista.org; si24.it

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