Matteo Renzi e il mondo del lavoro4 min read

16 Dicembre 2013 Politica Politica interna -

Matteo Renzi e il mondo del lavoro4 min read

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Matteo Renzi
Ma quali sono le ricette che il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, ha in mente per l’economia e il lavoro? Prima di provare a rispondere, occorre una premessa: un errore da evitare nell’analizzare il “fenomeno” Renzi è ignorare le sue evidenti mutazioni in termini di proposte, per cui senz’altro il Renzi di oggi – toni a parte – non appare in alcuni ambiti il rottamatore di una volta.

Questa velocità nel cambiare idee e persone a lui più vicine (che un tempo forse sarebbe stata considerata opportunismo) è stata già ben evidenziata in un articolo di Claudio Cerasa, brillante commentatore di politica, dalle pagine del Foglio. E che la velocità di pensiero sia un pregio di Matteo Renzi, basti leggersi questo articolo, scritto da Lapo Pistelli, esponente del Pd, con cui Renzi ha iniziato la sua carriera politica, facendogli da collaboratore.

Un esempio plastico della capacità di Renzi di sparigliare è data da quella che possiamo definire Renzinomics: l’attuale pensiero economico sembra davvero avere poco che spartire con la furia rottamatrice che portava ad esempio il sindaco di Firenze a schierarsi senza sé e senza ma con Marchionne, all’epoca delle dura vertenze nelle fabbriche Fiat, oppure che faceva ritornare direttamente da Chicago per farne ospite di riguardo della Leopolda del 2011 l’economista Zingales, molto apprezzato dai conservatori americani e in modo particolare da Sarah Palin, l’ex candidata alla vicepresidenza, in tandem con  John McCain nelle elezioni Usa del 2008.

Nel corso delle Primarie del 2012, uno degli degli ispiratori di Renzi, in materia di lavoro, era Pietro Ichino (da cui si può dissentire sul merito della sua lettura law and economics del diritto del lavoro, ma la cui competenza è innegabile) e oggi approdato dopo una legislatura come senatore del Pd, a Scelta Civica.

Ichino dà una lettura del mercato del lavoro diviso in insiders e outsiders e – insieme ad altri studiosi – proponeva un contratto di lavoro unico di ingresso, da stipularsi a tempo indeterminato, ma il cui tasso di protezione si accresceva col  tempo.

Ma la rottura con Ichino è pesata molto a Renzi il quale nel suo ultimo libro, Oltre la rottamazione (è autore prolifico oppure più probabilmente dotato di una bella squadra di ghostwriters) scrive con un po’ di acidità che «il lavoro è il terreno di gioco preferito di giuslavoristi e sindacalisti, niente di personale contro i giuslavoristi e i sindacalisti, sia chiaro. Sono persone perbene, mediamente perbene, tra loro ci sono vere e proprie eccellenze. Ma in Italia sono più numerosi che in ogni altro Paese europeo. Troppi, dunque. E troppo ampio il confine del loro potere. Ogni volta che si parla di lavoro, si parla di loro».

Ci siamo dilungati sul Matteo Renzi di una volta… e quello di oggi?

Negli scorsi mesi si è imposto come nuovo maître à penser del renzismo economico Yoram Gutgeld, economista di origine israeliana, ex senior partner e direttore di McKinsey, nota multinazionale di consulenza di direzione, e attuale deputato del Pd: come è stato ben evidenziato però sul Sole 24 ore «un programma economico renziano ancora non esiste, se per questo si intende «un documento serrato e cifrato con introduzione, capitoli, grafici, tabelle e conclusioni».

In ogni caso in un testo pubblicato a giugno scorso dallo stesso Gutgeld, intitolato “Il rilancio parte da sinistra. Come fare ridere i poveri senza fare piangere i ricchi”, segna comunque una discontinuità col primo Renzi, non fosse altro perché viene quantomeno rivendicato un essere di sinistra che il liberismo esasperato ad esempio di Zingales (non a caso poi finito nella fallimentare avventura di Fermare il declino, il partito di Oscar Giannino) aveva fatto del tutto dimenticare.

Nella mozione congressuale possono leggersi solo generiche prese di posizione in ordine, ad esempio, a una normativa in tema di lavoro troppo complessa, della necessità di rivedere il sistema della formazione professionale, dalla necessità di incentivare le assunzioni di giovani a quella di proteggere chi perde il posto di lavoro a cinquant’anni, e via discorrendo.

Ma forse l’inizio di un’ulteriore giravolta si è compiuta proprio negli scorsi giorni, con la nomina della nuova segreteria del Pd, che vede attualmente quale responsabile economico vede Filippo Taddei, economista negli scorsi mesi  vicino alle posizioni di Pippo Civati, che non ha mancato di criticare negli scorsi mesi il programma di Renzi: «offre buone proposte, ma mancano idee condivisibili su riforma fiscale e mercato del lavoro».

Meno innovativa, nonostante si tratti di una 32enne,  è invece stata la scelta del responsabile Lavoro, Marianna Madia: già catapultata da Veltroni nel 2008 quale capolista del Pd nel Lazio, dotata di solide entrature trasversali nel mondo della sinistra romana, e che negli ultimi anni ha cambiato più volte “corrente” all’interno del Pd: la recente lettera aperta scrittale da Chiara Geloni, responsabile (in uscita) di Youdem, ha fatto molto discutere negli scorsi giorni.

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Libero Labour è nato nei primi anni Ottanta – l’inizio della fine – nel profondo Sud. Prima di “salire” come migliaia di suoi simili a Milano della suddetta aveva ben in mente solo lo spot dell’Amaro Ramazzotti (ma preferisce quello del Capo). Si occupa di diritto del lavoro, in un'epoca senza diritti e senza lavoro. In pratica ha sbagliato tutto.
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